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Vivere senza rete

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Riceviamo e pubblichiamo.

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Precari. Quel tabù del rapporto tra organico di diritto e organico di fatto

Mediamente ogni anno, se pur con attenuazione negli ultimi tempi, vengono nominati circa 100mila docenti precari (nomina annuale o fino al termine delle attività) e circa 50mila Ata (nomine annuali o fino al termine delle attività). Chi è fuori dal mondo della scuola non riesce a capire come sia possibile una quantità così elevata, e ripetuta nel tempo, di fabbisogno di nomine per personale precario e può pensare che tutto possa dipendere dalla mancanza di assunzioni regolari in ruolo del personale (per concorso o per graduatorie).
In minima parte la ragione è questa della mancata assunzione, ma nella maggior parte dei casi tutto dipende dalla non coincidenza tra organico di diritto e organico di fatto.
Il primo (il diritto) è quello ufficiale che individua chiaramente posti e classi con determinazione puntuale del personale da utilizzare; il secondo (il fatto) è la situazione vera e reale del fabbisogno di posti e classi con effettiva individuazione all’inizio dell’anno scolastico di tutto il personale che serve per garantire il servizio. E la differenza tra diritto e fatto è ogni anno sempre notevole.
Ma, mentre sui posti di diritto, può andare soltanto il personale titolare (quasi tutto di ruolo), succede che sui posti di fatto istituiti in più vadano soltanto precari.
Il costo che la scuola sostiene ogni anno è quello di fatto, non quello di diritto.
Poiché tutti gli anni si ripete questa storia di un organico teorico soppiantato da quello reale, il tema di oggi è perché non infrangere questo tabù e stabilizzare tutto il personale (di ruolo e non) che assicura effettivamente il funzionamento della scuola?
Tradotto in soldoni: perché non assumere tutto il personale che di fatto serve, visto che già, comunque, lo si paga?

10 anni di precariato confermano una patologia stabile

Se si confrontano i dati di organico di fatto del 2000-01 con quelli del 2009-10 (gli ultimi pubblicati dal Miur) si può rilevare che nel corso di un decennio il precariato docenti è rimasto sostanzialmente stabile: un aspetto patologico duro a morire.
Tra docenti con contratto annuale o fino al termine delle attività erano 117.685 i precari nel 2000-01; dieci anni dopo sono risultati 116.973, con un calo soltanto di 712 unità (circa mezzo punto in percentuale in meno).
Mentre il numero complessivo è rimasto sostanzialmente stabile, vi sono state, tuttavia, variazioni interne non da poco tra i settori scolastici e tra i territori.
La scuola dell’infanzia ha registrato un calo dell’1% del numero di docenti precari, mentre la scuola primaria, al contrario, ha avuto un aumento di quasi il 7%.
È andata peggio per la scuola secondaria di I grado che ha registrato dopo un decennio un incremento della precarietà che ha sfiorato il 12% (11,7%), mentre il numero di professori precari della secondaria superiore ha avuto una flessione del 10%.
Le variazioni più significative si sono, tuttavia, registrate nei territori con un andamento fortemente contrapposto tra centro-nord e mezzogiorno. Vi sono state regioni come la Toscana dove, a distanza di dieci anni, si sono registrati quasi 3mila precari in più, con un incremento pari al 51,7%, e l’Emilia-Romagna dove l’aumento ha superato complessivamente le 3.500 unità, con un incremento del 46,3%.
Per contro, nelle regioni del Mezzogiorno il numero di docenti precari, dieci anni dopo, è risultato inferiore di oltre 13 mila unità, facendo segnare percentuali significative di decremento in Sardegna (-40,4%), in Basilicata (-43,1%), in Campania (-35,1%), in Sicilia (-33,7%).
Il precariato, insomma, ha cambiato casa ma è rimasto come patologia del sistema.

Un docente ogni 7 è precario

Dieci anni fa i docenti precari (annuali o fino al termine delle attività) in servizio nella scuola statale italiana erano 117.685; l’anno scorso erano 116.973, cioè più o meno la stessa quantità.
Tanti o pochi? Una quantità fisiologica o patologica rispetto al totale dei docenti in servizio?
Nel 2000-01 vi erano in cattedra complessivamente 824.178 docenti, di cui, appunto, 117.685 con contratto a tempo determinato. Il tasso medio nazionale di precarietà era, quindi, del 14,3%, equivalente ad un docente precario ogni sette.
Dieci anni dopo i docenti in servizio erano scesi a 795.342 (circa 29mila in meno), ma il numero di quelli con contratto a tempo determinato, come si è visto, era stato quasi confermato, facendo registrare un tasso di precarietà pari mediamente al 14,7%, confermando il rapporto di un docente precario ogni sette.
Non si tratta, quindi, di una quota fisiologica di precariato, ma di una incidenza patologica. E, visto, che resta confermata nel tempo, si tratta di una patologia strutturale del nostro sistema scolastico, il cui rimedio non può che essere di natura strutturale.
Il dato di un docente precario ogni sette costituisce la media nazionale della precarietà; ma è tutto così nei diversi settori e nei territori oppure la patologia si annida in modo virulento da qualche parte in particolare?
Nel 2000-01 erano sotto la media nazionale del 14,3% le regioni del Sud e del Centro, mentre le regioni del Nord Ovest superavano il 18,5%. Dieci anni dopo, il Mezzogiorno scendeva sotto la media nazionale in modo consistente, mentre nel Centro Nord si accentuava il tasso di precarietà con l’incremento notevole delle regioni del Nord Est che sfioravano quasi il 20% (un docente precario ogni cinque docenti in cattedra).

Infanzia: docenti in aumento con tasso di precarietà critico

Dieci anni fa il tasso di precarietà nella scuola dell’infanzia, con 10.103 docenti non di ruolo, era mediamente dell’11,7% rispetto agli 86.068 docenti in servizio; nel 2009-10, con 10.001 docenti precari, il tasso era sceso all’11%, calcolato sui 91.198 in servizio (5mila in più rispetto a dieci anni prima), rimanendo, quindi, a livelli critici.
Allora era l’Emilia Romagna ad avere la percentuale più elevata di docenti precari (20,2% del totale dei docenti in servizio), seguita dalla Lombardia con un tasso del 19,2%, mentre ben altra era la situazione di precarietà di scuole dell’infanzia di alcune regioni meridionali o centrali, come, ad esempio, quelle della Calabria con il 2,4% di docenti non di ruolo, quelle dell’Umbria con il 4,5% o della Basilicata con il 5,5%.
Nel 2009-10 la precarietà si è spostata ulteriormente nel centro-nord tanto che in quelle aree si sono concentrati i tre quarti dei precari dell’infanzia.
L’Emilia-Romagna ha conservato il negativo primato della percentuale più elevata di docenti precari (19,4%), ma quasi tutte le regioni del Nord e del Centro hanno fatto registrare un tasso di precarietà al di sopra di quello medio nazionale.
La Calabria, con il 3,6% di docenti non di ruolo, è rimasta ai livelli più bassi della precarietà del personale docente delle scuole dell’infanzia, seguita dalla Campania che, con il 3,9%, è rimasta, comunque, sotto il 4% di precarietà.
In questo sostanziale ulteriore spostamento della precarietà dal sud al nord ha avuto, da una parte, un peso considerevole l’aumento di sezioni della scuola dell’infanzia al nord per aumento di iscrizione dei bambini figli di extracomunitari e, dall’altra, la flessione di iscritti (e di sezioni) nei territori meridionali per effetto del decremento demografico.

Percentuale di precarietà ai minimi nella primaria del mezzogiorno

Nel confronto tra i dati del 2000-01 e quelli del 2009-10 della scuola primaria statale emerge una situazione di aumento di quasi duemila docenti precari e un incremento di un punto percentuale del tasso di precarietà.
Dai 25.471 docenti di scuola primaria con contratto a tempo determinato del 2000-01 (9,5% del totale docenti in servizio nel settore) si è passati, infatti, ai 27.241 di dieci anni dopo (10,5%).
Le regioni centrali, con quasi 4 punti di incremento percentuale sono state quelle che hanno subito il peggior andamento della precarietà nel periodo, pur rimanendo quelle del Nord Est e del Nord Ovest ai livelli più elevati rispettivamente con il 19,7% e il 18,7%. Le regioni insulari, che nel 2000-01 avevano sfiorato il 15% di docenti con contratto a tempo determinato, sono scese sotto l’11%.
Tutte le regioni del Mezzogiorno (la Calabria ai minimi con il 2,1% di tasso di precarietà) nel 2009-10 hanno fatto registrare i più bassi livelli di presenza di precari tra i docenti di scuola primaria con percentuali comprese tra il 6,3% e il 2,1%. Con l’eccezione del Molise che nel decennio considerato ha avuto un lieve incremento del tasso di precarietà, tutte le regioni del Mezzogiorno hanno registrato un sensibile abbassamento del tasso di precarietà, favorite indubbiamente anche dalla chiusura di molte classi (e disponibilità conseguente di docenti titolari) a causa del decremento demografico in atto.
L’Emilia Romagna e la Lombardia, rispettivamente con il 17,8% e il 16,7% di docenti precari rispetto alla totalità dei docenti in servizio nelle scuole primarie di quei territori, hanno raggiunto nel 2009-10 i vertici più elevati di questa poco invidiabile classifica della precarietà.
Veneto e Piemonte si sono attestati oltre il 13% di tasso, seguiti da Lazio e Toscana.

La Toscana incrementa di 10 punti il tasso di precarietà tra i professori di scuola media

Nella scuola secondaria statale di I grado il numero di professori precari nel 2009-10 risulta aumentato di oltre tremila unità rispetto a dieci anni prima, passando infatti da 29.243 a 32.677 unità con un incremento di oltre 3 punti in percentuale (dal 14,9% al 18,1%) del tasso di precarietà rispetto al totale dei docenti del settore in servizio.
L’aumento del tasso di precarietà è stato favorito non solo dall’aumento in valori assoluti dei docenti con contratto a tempo determinato, ma anche dal contestuale decremento del numero di docenti titolari.
Dieci anni fa la percentuale più alta di docenti precari nel settore della scuola secondaria di I grado era stata registrata nelle regioni del Nord Ovest con una media del 19%; nel 2009-10 sono state le regioni del Nord Est, nel loro complesso, a far registrare la percentuale di precarietà più alta, toccando il 24,3%, un valore superiore di quasi un punto del tasso percentuale del Nord Ovest.
Ancora una volta, come in altri settori, è stata l’Emilia Romagna a trascinare verso l’alto il tasso di precarietà di questi territori, raggiungendo il 26% (era al 18% dieci anni prima), un tasso che corrisponde mediamente ad oltre un professore precario ogni quattro in cattedra.
Veneto, Lombardia e Toscana, aumentando sensibilmente il tasso di precarietà già registrato nelle scuole secondarie di I grado nel 2000-01, hanno superato tutte il 23% di indice di precarietà.
In particolare la Toscana ha fatto registrare il più alto incremento nel tasso di precarietà passando dal 13% del 2000-01 al 23% del 2009-10.
Campania e Puglia, se pur di poco, sono scese al di sotto del 10% nella percentuale di professori precari in servizio lo scorso anno.

Ancora molto alta la precarietà tra i prof. delle superiori

Sono diminuiti di oltre 5mila unità i professori con contratto a tempo determinato che nel 2000-01 avevano toccato quota 52.267. Scendendo a 47.054 unità nel 2009-10, i docenti precari degli istituti superiori hanno contribuito a far scendere la percentuale di precarietà in questo settore dal 19,2% al 17,8%. Sono state le Isole, in particolare la Sardegna, a contribuire maggiormente a questo decremento della precarietà che, è bene dirlo, resta comunque alta. Nell’isola sarda la flessione del numero di professori precari in servizio negli istituti di istruzione secondaria superiore, dal 2000-01 al 2009-10, è stata superiore al 10%, attestandosi ora al 14,9% che resta, comunque, ad un livello complessivo abbastanza critico.
Sensibili decrementi si sono avuti anche in Basilicata, in Sicilia e in Piemonte, mentre in alcune regioni, soprattutto del centro-nord, il tasso di precarietà si è comunque innalzato, contribuendo a determinare, anche per gli istituti superiori, una situazione fortemente sperequata tra i territori in ordine alla percentuale di professori precari.
In Toscana vi è stato un innalzamento del 5,7% della percentuale di precari (arrivata l’anno scorso al 22,5%); in Emilia Romagna l’innalzamento in dieci anni è stato del 5,2% raggiungendo l’anno scorso quota 24% che costituisce in assoluto il livello di precarietà più alto tra tutte le regioni per quanto riguarda i professori degli istituti statali di istruzione secondaria superiore.
L’Emilia-Romagna con questi dati sui professori precari della secondaria superiore (24%) e con quelli dei professori di scuola media (26%) ha raggiunto nel 2009-10 il non invidiabile primato della più alta precarietà nell’istruzione secondaria del nostro Paese: un professore precario ogni quattro.

(Cgil Reggio Emilia)