BUSANA (27 febbraio 2011) - “Sono una donna che crede nella forza della creatività e nel senso che questa attitudine restituisce alla vita”. Si presenta così in questa intervista esclusiva a Redacon Marina Coli, una delle poche persone che riesce a vivere in Appennino facendo l’attrice ma che, prima ancora, ha deciso di lasciare la ricca Bolzano e venire a vivere a Marmoreto di Busana.
Da dove partiamo, da dove sei cresciuta?
“Sono nata e cresciuta in Alto Adige, da genitori italiani di diversa provenienza. Mio padre era emiliano e mia madre è veneta. Sono entrambi approdati in Sudtirolo con le rispettive famiglie nell'immediato dopoguerra”.
In un contesto nel quale era forte la contrapposizione tra due popoli…
“Crescere in questa terra è stata una grande opportunità di confronto con altre etnie (tedesca e ladina), in un'ottica di apertura verso un cosmopolitismo insediatosi nel mio sangue a partire dall'ascolto in tenera età di linguaggi diversi, quando ascoltare lingue ‘straniere’ dalla propria lingua madre non era così comune come oggi”.
Si parla di unità d’Italia… tu la hai vissuta sulla propria pelle…
“Tutto questo non è maturato senza dolore, giacché l'Alto Adige è una terra meravigliosa per gli aspetti paesaggistici e talvolta culturali e tradizionali, ma controversa per quelli sociali e politici. Quando torno comunque, respirare un certo clima Mitteleuropeo, che si avverte soprattutto negli spazi architettonici e tradizionali del centro storico, è una rinnovata iniezione di aria di mondo, di aperture europee, di consapevolezza che esistono realtà diverse”.
Poi Marina Coli intraprende la strada di attrice…
“Fare l'attrice è una naturale conseguenza delle esperienze che hanno dato forma all'intuizione già scoperta da bambina: la mia attitudine alla trasformazione e all'arte”.
Come ci sei arrivata?
“Prima di far diventare professione questa attitudine, ho svolto molteplici lavori, dalle più disparate sfaccettature, arricchendo il mio bagaglio umano di esperienze così colorate e diversificate da poter paragonare la mia vita lavorativa a un gigantesco caleidoscopio. Tra il diploma e la laurea ho avuto la fortuna di incontrare e vivere situazioni così diverse fra loro da farmi pensare, con il senno di poi, di aver calcato la scena del mondo assumendo molteplici ruoli”
Una scelta che senti dentro?
“Sì: è per questo che affermo come sia stato naturale fare l'attrice; con un'unica professione posso assumere molte forme, mentre prima ciò avveniva attraverso molte professioni e conseguentemente in modo più faticoso e spesso doloroso, perché ogni cambiamento, per quanto anelato, comporta anche un senso di perdita. Pertanto, l'avvio della mia attuale forma lavorativa, si è manifestato tardivamente: ho iniziato ad esprimermi prima come cantastorie e poi come attrice e cantante quando avevo già superato quella che si considera l'età collocata ‘nel mezzo del cammin di nostra vita’. In effetti a quel tempo mi trovavo in una ‘selva oscura’, nel senso che intorno a quell'epoca molti cambiamenti stavano rivoluzionando la mia esistenza. Primo fra tutti il trasferimento da Bolzano a Reggi Emilia.
Sei tornata in Appennino…
“Non sono tornata a vivere qui. Qui ci sono venuta. Da quattro anni, dopo diverse residenze che comprendono la città e la collina, mi sono stabilita a Marmoreto di Busana, paese natale di mio padre”.
Cosa ti ha colpito di queste terre?
“Ho sempre sentito per questi luoghi un forte legame affettivo, fin da ragazza, quando venivo qualche giorno d'estate e poi più di qualche giorno, dopo che mio padre insieme a mio nonno realizzarono la ristrutturazione di un vecchio fienile e stalla in edificio ad uso abitativo, dove ora vivo”.
Di quando eri bambina?
“Ricordo che a quei tempi, nel tornare a casa a Bolzano dopo i miei brevi soggiorni estivi a Marmoreto, un groppo di pianto mi soffocava fin quasi a Reggio Emilia. Poi riprendevo fiato e andavo per la mia strada, come sempre. Ma questa emozione mi ha fatto decidere di insediarmi qui, almeno per ora”.
Quali persone note hai conosciuto durante la tua attività? Cosa ti hanno lasciato?
“Lungo il mio percorso ho incontrato alcuni ‘nomi’: Ascanio Celestini, Moni Ovadia, Roberto Anglisani; personaggi più o meno noti, con i quali ho avuto la fortuna di formarmi. Ma rimangono, seppur nelle loro incontrastate capacità, distanti e distaccati dal mio mondo personale. Invece l'incontro fortunato con lo scrittore Pino Cacucci mi ha restituito, oltre che la ricchezza delle sue conoscenze, un grande senso di umana e profonda familiarità. La stima fra me e Pino è sempre fonte di rinnovata gioia”.
Fare cultura in Appennino. Quali i vantaggi e quali svantaggi?
“Non riesco a ragionare in termini di vantaggi e svantaggi quando penso alla cultura e all'arte in generale. Se facendo cultura con responsabilità si genera armonia la partita doppia vantaggi/svantaggi non ha ragione di esistere”.
Sei docente di teatro di narrazione al teatro Bismantova. Chi sono i tuoi allievi? Cosa si aspettano da te? Chi hai già formato?
“Da cinque anni sono onorata della fiducia di alcune persone che percorrono con me i sentieri dell'arte scenica del narrare e del canto. Sono persone di diversa età e provenienza, ma hanno tutte un comune denominatore: l'amore e la passione per il teatro. Credo si aspettino la stessa cosa da me e la possibilità della condivisione”.
C'è ancora spazio per la cultura in Italia? “Al di là delle ombre che ostacolano la crescita della cultura in Italia, riferendomi alla volontà politica che è fortemente orientata a impoverire la conoscenza a partire dalla formazione scolastica e la ricerca, credo che esista una forte volontà di riconquista degli spazi da parte degli operatori culturali ma anche da parte di quel pubblico che trova nella possibilità educativa della televisione insita nel poterla spegnere, l'alternativa a vivere lo spettacolo in forme artistiche di spessore, quali il teatro, la pittura, il cinema, la musica e la letteratura in genere”.
Chi è disposto a pagare per andare a teatro ai tempi di internet?
“Oggi uscire di casa e andare a fare e a vivere cultura è una scommessa da non sottovalutare, è il nutrimento che conferma il nostro essere in divenire, è la rivoluzione pacifica che ognuno di noi può attuare: riprenderci il gusto di essere liberi pensatori. Questo vale anche per i giovani, con i quali, peraltro, lavoro molto volentieri allestendo spettacoli teatrali e trovando in loro rinnovate energie e l'incanto che deriva dal soffermarmi a scrutare con segreta commozione le loro vitali e magnifiche qualità creative”.