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La mente dei bambini nell’era di internet: come cambia il modo di ragionare

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Internet è un ragazzino molto intraprendente: è nato nel 1991 come mezzo di comunicazione per ricercatori e nel corso di soli vent’anni si è diffuso a macchia d’olio fra le persone comuni. Si è talmente insinuato nelle nostre vite che oggi la maggior parte delle persone lo considera uno strumento indispensabile, come se non fosse mai esistita un’epoca in cui si faceva a meno di lui. Oggi siamo abituati a ricorrere automaticamente a internet per fare moltissime cose che un tempo facevamo in modo diverso, per esempio scrivere una lettera ad un amico, leggere il giornale, fare acquisti, incontrare sconosciuti. Invece l’epoca in cui facevamo a meno di internet è esistita eccome e non è nemmeno lontana: è la nostra mente che è cambiata poiché è stata influenzata dalle caratteristiche di questo strumento.

Nel corso delle epoche storiche la cultura ha fatto nascere sempre nuovi strumenti tecnologici che sono serviti a migliorare la società e questi strumenti sono stati capaci di influenzare il modo di funzionare della mente, cioè il modo in cui gli esseri umani pensano e si comportano.

Ma cosa vuol dire che internet ha modificato il funzionamento della nostra mente?

Significa che utilizzando internet la nostra mente ha imparato a pensare la realtà secondo i criteri di questo strumento: alcune caratteristiche di internet si sono trasferite nei nostri processi mentali. Questo è avvenuto perché il cervello umano funziona in modo da imparare dal mondo tutto il necessario per sopravvivere nel migliore dei modi.

Ma in che modo internet ha modificato il nostro modo di ragionare?

Ciò che internet ha messo in discussione sono i concetti di tempo e spazio, due criteri guida del pensiero e del comportamento umano.

Per quanto riguarda il tempo, sappiamo che nel mondo di internet tutto è molto veloce ed ogni operazione richiede pochi secondi per essere eseguita e modificata. In pochi minuti si può inviare un’e-mail, passare da un sito all’altro, vedere delle foto, fare un acquisto. Tutte queste operazioni in successione rapida hanno abituato la nostra mente a funzionare in modo accelerato e spezzettato rispetto a come funziona la realtà fuori dallo schermo, dove le cose succedono con maggiore lentezza e pazienza. Internet ci ha abituati a pensare che esiste solo il presente, poiché il futuro lo posso raggiungere in un click.

Per quanto riguarda lo spazio, internet ci consente di passare da un sito all’altro alla ricerca di qualunque cosa, come se attraversassimo tanti ambienti diversi che ci sembrano vicini fra loro. Tante cose che un tempo potevamo fare solo di persona recandoci in un luogo ben definito lontano da qui, adesso si possono fare attraverso lo schermo, come se fosse una porta magica che ci permette di spostarci. Tutti i posti del mondo ci sembrano raggiungibili, dietro l’angolo. Quest’illusione contrasta con la realtà fuori dallo schermo, in cui gli spazi e i confini sono ben precisi e non possono essere ignorati.

Avere la possibilità di superare i confini della realtà con facilità e velocità ha trasmesso alla nostra mente un senso di onnipotenza, l’abitudine a ottenere tutto e subito. Ci hanno fatto dimenticare che la realtà fuori dallo schermo non funziona così.

Questi cambiamenti nel modo di ragionare avvengono più difficilmente negli adulti perché quando la mente è abituata da molto tempo a funzionare in un certo modo si modifica lentamente e con maggior difficoltà. Per i bambini nati nell’era di internet è molto più semplice assorbire i nuovi modi di ragionare, poiché la loro mente non ha conosciuto un modo di pensare alternativo (per questo vengono chiamati “nativi digitali”). In questo senso i bambini sono una fascia a cui prestare particolare attenzione: il rischio è che confondano le regole che hanno appreso dal funzionamento di internet con le regole del mondo reale e non sappiano gestire le differenze.

Scoprire come internet modifica i processi della nostra mente non deve avere lo scopo di spaventarci ed allontanarci da questo strumento. Al contrario, capire come uno strumento può modificare il nostro modo di ragionare deve servire a non subire la sua influenza senza rendercene conto ma a compiere delle scelte consapevoli. Non bisogna dimenticare che la mente umana, anche se può essere influenzata dall’uso di uno strumento, è lei stessa ad averlo creato e possiede perciò tutte le potenzialità per gestirlo.

[*dott.ssa Elisa Gabbi, psicologa - dott. Michele Facci, formatore - www.pericolidiinternet.it]

4 COMMENTS


  1. Gentile Doris, ritengo lei possa trovare una completa bibliografia all’interno della nostra pubblicazione “Le reti nella Rete” edizioni Erickson (www.ericksonlive.it). Sul frequentare questo mondo mi spiace lei dubiti della nostra professionalità: non ci permetteremmo mai di parlare di cose non adeguatamente studiate, vissute e approfondite nell’ambito della comunità scientifica internazionale.
    Cordialmente.

    (Michele Facci)


  2. Gentile Michele, la ringrazio per la sua risposta che ha demandato la mia curiosità a “libro da destinarsi”, ma senza esaudirla. Sarebbe stato istruttivo capire con quale bilancia si soppesino le teorie. Sono in accordo con Voi sul fatto che le sinapsi evolvano nei nostri figli con l’utilizzo dei mezzi informatici; dico nostri visto che io sono madre di un bambino di dieci anni che, con il mio supporto e la mia supervisione, fruisce di queste tecnologie da prima dell’utilizzo della parola stessa. La cosa che mi ha irritato è il piglio accusatorio, o almeno io ho colto ciò, rappezzato solo nel finale con le solite frasi di rito. Purtroppo l’approccio al nuovo ha sempre dei delatori e il fatto che molti, anzi moltissimi genitori non siano in grado di competere con le competenze dei loro figli rende sempre più difficile far inserire nei giusti luoghi detti mezzi, vedi scuola. Maggiormente il discorso vale se persone di provata fama se ne fanno vessilli. Solitamente il gradimento viaggia parallelo all’utilizzo che si fa di qualsivoglia strumento, questo era alla base della mia richiesta di delucidazioni. Non sono certo io ad avere il bagaglio culturale adeguato per mettere in dubbio “cose adeguatamente studiate, vissute e approfondite nell’ambito della comunità scientifica internazionale”; semplicemente chiedevo a Voi autori, come persone, come genitori, fruitori ed esempi di vita, nonchè autori dell’articolo, quale fosse l’approccio col protagonista del servizio! Focalizziamo sempre l’attenzione fra le relazioni dei bambini con le tecnologie, senza mai associare l’esempio degli adulti. Capisco che questo è marginale al punto in questione, ma certamente ne fa il contenitore e come ogni contenitore ne decreta la forma. Non sono intenzionata ad iniziare una querelle epistolare con Lei, ma il mio intento è lasciare anche una porta aperta verso l’argomento e non solo per retorica.
    Cordialmente.

    (Doris Corsini)

    P.S. – Giusto per la cronaca e per informare: l’Università di Tel Aviv, grazie alle ricerche del Dr. Uri Polat dello Goldschleger Eye Research Institute, ha messo a punto una terapia che potrebbe presto esonerare i bambini dall’uso della benda, facendoli guarire dalla sindrome dell’occhio pigro davanti ad un computer, mentre si divertono. Il trattamento, attualmente disponibile solo per gli adulti, corregge l’attività dei neuroni nel cervello, il principale gestore della funzione degli occhi. Gli esperti hanno rilevato che venti ore davanti al computer a seguire il trattamento del Dr. Polat hanno avuto lo stesso effetto di circa 500 ore di terapia con benda. La terapia al computer prevede la comparsa di oggetti speciali e casuali sullo schermo che mantengono il paziente in costante allerta, allenando l’occhio. Una versione della terapia, come se si trattasse di un gioco, è ora in fase di sviluppo per i bambini.
    E questo era solo uno…


  3. Gentile signora, evidentemente un breve articolo sul tema non può affrontare in maniera esaustiva un argomento che la comunità scientifica affronta ampiamente in riviste specializzate e di settore. Non c’era alcun tono accusatorio e siamo ben consapevoli delle potenzialità del mondo delle tecnologie, non solo in ambito terapeutico, in quanto noi stessi le usiamo in quest’ottica. Nessuno ha fatto retorica e mi dispiace lei ci accusi tra le righe anche di questo; per tanto, come già scritto, se vuole trovare una esaustiva rassegna bibliografia di riferimento sulla nostra attività la può trovare nel nostro libro. Non ritengo noi abbiamo chiuso alcuna porta, anzi, ne abbiamo e ne stiamo continuando ad aprire. Lei dice che noi focalizziamo l’attenzione sulle relazioni tra i bambini e le tecnologie senza associare esempi degli adulti e questo è abbastanza vago e improprio. La invito ad approfondire l’argomento, se ha piacere, e verificherà che non è assolutamente questo il nostro approccio, ma che per questa occasione, in un contesto non specializzato e in cui avevamo poco spazio, abbiamo affrontato solo uno dei tanti aspetti inerenti il tema. Le ricordo infine che da professionisti facciamo del rigore scientifico il nostro @Cmodus operandi#C nell’ambito della ricerca e delle pubblicazioni: il titolo dell’articolo è riferito ai bambini, per questo non abbiamo parlato anche degli adulti. Inoltre l’articolo è divulgativo e non scientifico, per questo la ho rimandata ad altro contesto (libro) per approfondire le sue puntuali curiosità.
    Cordialmente.

    (Michele Facci)