Il periodo delle festività è un tempo riconosciuto come portatore di buon umore, gioia, allegria e apertura verso gli altri. L’atmosfera natalizia è per tradizione un qualcosa di avvolgente, che si respira, penetra nel corpo e rende le persone: sensibili, ricche di sentimenti e aperte verso le emozioni. Tutte qualità dell’esistenza che colorano la vita con le sfumature dell’arcobaleno.
Ma non è così per tutti noi, ci sono individui i quali con l’avvicinarsi del Natale tendono ad entrare in stati depressivi, vivere il periodo tradizionalmente festoso come una minaccia ad un loro personalissimo equilibrio e capace di evocare emozioni negative, declinabili in ansia, angoscia, etc.
PERCHÉ?
Soprattutto perché chi ha costantemente paura non ha accesso al piacere. Chi ha difficoltà a provare piacere e a stare nel piacere non riconosce e non rispetta il piacere dell’altro. Emerge l’invidia del piacere e quando questa invidia non può in nessun modo trovare uno sfogo ci si sente impotenti, svuotati, incapaci di una qualsivoglia reazione. La componente sadica (saboterò il tuo piacere) si rivolge contro se stessi (c’è qualcosa in me che non va e quindi saboterò me stesso) e questa energia negativa trova un solo corridoio percorribile per sfogarsi: quello che conduce verso l’interno, dentro se stessi. A seconda della tipologia caratteriale dell’”invidioso”, il sentimento negativo così generato acquista una forma e una struttura: “ansia, angoscia, depressione, etc.” Segue l’effetto di questo perverso meccanismo reattivo:
la somatizzazione, un fenomeno per cui un individuo sperimenta un livello variabile di sofferenza psichica attraverso sintomi fisici, tipici dei sentimenti negativi, la cui genesi è eterodiretta.
Cosa vuol dire eterodiretta?
Vuol dire lasciare che le proprie azioni vengano guidate dagli altri, essendo privo di autonomia decisionale.
E’ evidente che se una persona potesse scegliere, difficilmente tra: allegria, gioia, amore da una parte e: tristezza, scoramento e invidia dall’altra, opterebbe per quest’ultima possibilità. Se osserviamo i bambini piccoli, molto piccoli, anche se vivono in condizioni difficili e con famiglie multiproblematiche, è raro che l’atmosfera del natale e di tutti i periodi gioiosi dove si “respira” un aria d’amore, non susciti in loro una luce negli occhi; è la luce della speranza. La speranza che qualcosa possa cambiare in meglio (nel caso dei bambini più sfortunati) o la speranza che tutto continui così (nella situazione dei bambini desiderati, amati e sostenuti dai genitori durante il loro inarrestabile processo di crescita).
Noi adulti a differenza dei bambini abbiamo vissuto di più e le situazioni violente, umilianti, svalutanti, in altre parole negative, si sono reiterate tante e tante volte incidendo qualcosa dentro di noi: il nostro carattere. Il carattere, al greco “karasso”, che letteralmente significa incidere, è l'insieme delle caratteristiche individuali e delle disposizioni psichiche che distinguono un individuo. Può essere definito il modo costante e abituale di interagire di ognuno, la sintesi delle tendenze affettive che dirigono le reazioni del soggetto verso le condizioni dell'ambiente in cui vive. Il carattere si costituisce come la risultante fra le disposizioni innate (temperamento) e l'effetto su di queste esercitato dall'ambiente, inteso come ambiente fisico, affettivo, sociale, educativo e culturale. Il concetto di carattere è, quindi, più ampio di quello di temperamento e più ristretto di quello di personalità. La personalità può essere definita la più o meno stabile e durevole organizzazione del carattere, del temperamento, dell'intelletto e del corpo di una persona: organizzazione che determina il suo adattamento totale all'ambiente.
Ogni adulto ha il bambino che è stato inglobato dentro se’, per comprendere i motivi di un apparentemente bislacco atteggiamento verso la gioia delle festività occorre riflettere sulla vita di qual bambino:
Le domande da porci sono:
* Quanto è stata grande l'esposizione all'esperienza traumatica?
* Cosa è successo al corpo del bambino?
* Cosa è mancato e cosa ci doveva essere?
* Quanto contatto è mancato?
* Come è stata l'esperienza di sua madre con la sua famiglia di origine?
* Quale qualità è stata presente nella relazione con il suo compagno/marito?
* Quanto è forte il desiderio di maternità della madre, anche come spinta riparatrice ai propri problemi patiti nella fanciullezza?
Sono certo che anche parziali risposte a queste domande renderebbero chiari almeno i motivi di tale chiusura alla gioia della condivisione festosa nelle situazioni più belle della vita. Per fare questo è necessario avere fiducia in se stessi e soprattutto in quello che sentiamo. CHI NON HA ACCESSO AL PROPRIO SENTIRE È DESTINATO A VIVERE NEL CAOS EMOZIONALE.
Alexander Lowen nel suo prezioso volume: "Il linguaggio del corpo, Feltrinelli Editore, Milano 1978", scrive che il caos che può determinarsi nella vita di un bambino è dovuto a forze esterne che ne hanno turbato la naturale, armoniosa autoregolazione.
Ad esempio, lo sforzo ad essere buono, limitando l'espressione emotiva, induce nel bambino la ribellione che, però, temendo di perdere l'amore dei genitori, finirà per utilizzare le stesse loro armi. Così al piacere di "sentire quello che prova" si sostituisce quello di "dover sentire quello che agli altri piace ce si senta".
Quale è il risultato? Il bambino nega ciò che sente.
L’adulto che ha utilizzato da piccolo questa modalità difensiva, indispensabile per l’allora sopravvivenza, non è allenato a sentire liberamente, rimane prigioniero nella sua corazza caratteriale. Quando l’atmosfera natalizia incombe anche su di lui i conflitti interni si amplificano, il mondo sorride e lui deve tenere le sue posizioni, non può mollare! Le emozioni negative urlano la sua sofferenza per la continua e incessante battaglia. Non trovo migliori parole di quelle pronunciate da Alexander Lowen: "Non aspettare di essere morto per lasciarti andare. Lasciati andare ora".
(*) Psicologo e mediatore familiare, gestisce il sito www.mediazionefamiliaremilano.it