Nessuno avrebbe mai immaginato di vedere Dio nascere, un giorno, in una grotta di animali. Ecco, allora, il centro del mondo: un luogo di incontro di pastori, di angeli, di curiosi e di re. “Le style c’est l’homme!”, dicono i francesi; e lo stile di Dio è da sempre la sorpresa. Neppure Maria l’aveva previsto. Trovatasi nella situazione di ogni migrante, era sperduta e fuori casa. Camminando per giorni, aveva finalmente posto tra gli animali di Betlemme e tra uomini che vivono il giorno e la notte in loro compagnia: erano pastori. Esseri ai margini dell’umanità. E' qui, tuttavia, ai margini, dove Dio sempre si nasconde. Dove misteriosamente si fa presente. Era nato quella notte un agnello, forse il più bello mai visto fino allora. Lo chiameranno “l’Agnello di Dio”, un nome che ne segna il destino: la misericordia e il martirio. Un agnello, in fondo, è fatto per essere offerto in sacrificio. Fuori le mura, ai margini della città.
E Maria ci ricorda la miserabile accoglienza che riserviamo a tantissimi migranti, che spesso vivono in maniera ben poco umana. Sembra quasi il loro destino dai tempi di Betlemme. Così, Matilde racconta ancora con emozione la sua esperienza in Svizzera negli anni ‘60. Appena sposata, si presentava con il suo bel vestito bianco a bussare alle porte per avere una casa. Non voleva restare nella miseria di una baracca di legno piena di lavoratori italiani. Ricorda ancora le lacrime, la rabbia e quel gesto inutile e patetico.
Chi viene da fuori è destinato a rimanere alla periferia del mondo. E questa sembra essere una normale legge degli uomini. Ma Dio preferisce rivelarsi proprio qui: alla periferia delle cose, del potere, delle relazioni.
Così, ogni donna italiana ha vissuto in emigrazione la vita di Maria. In un cammino che non finirà mai, queste donne hanno perso a volte il marito e a volte anche i figli. I figli dei migranti, d’altronde, si perdono sempre: diventano così diversi da chi li genera da chiedersi se sono frutto della stessa carne. Chi nasce all’estero pare quasi destinato a diventare straniero a se stesso e ai suoi. Poi, senti Elsa, ormai anziana, pronunciare le parole più commoventi che si possano ascoltare: “Ho perduto tutti, ormai, però ci siamo tanto amati”. Resta solo questo, scritto nell’anima. Ed è ciò che Dio stesso indica, nella tristezza di una grotta, come il segreto di una vita riuscita.
Le nostre donne in emigrazione hanno lottato in casa e fuori, ma sempre ai confini del mondo. Hanno combattuto per salvare il tesoro di una famiglia, la sua unità, perché “i miracoli sono compiuti dagli uomini uniti”. Hanno lottato per crescere i figli, anche se questi imparavano sempre più a prendere il volo, ad allontanarsi dal nido. E hanno saputo sopportare con pazienza e preghiera le loro sbandate. “The greatest power is often simple patience”, dicono gli inglesi con la saggezza del mare.
Un cuore di madre trapiantato all’estero rivela la qualità più vera di una donna: il coraggio. E queste donne sono un esempio grande di forza d’animo e di resistenza. A Betlemme, in fondo, Maria ne indica il senso. Il coraggio proviene da una fiducia e una speranza senza confini, luminose come una stella. Così, in terra di emigrazione, è ancora Natale.
(Renato Zilio, missionario a Londra)
Questo è sempre vero, specie in un piccolo luogo. E’ sufficiente provenire da un luogo che disti 200-300 km, per una donna sola. Sì, italiana, ma non ha parenti nel luogo. E’ sola e resta sola senza un marito, locale o meno. Eccola. E’ la donna sospettabile, anche se lavora. Ovvia un’accoglienza solo superficiale e poca, se non nulla, attenzione alle sue esigenze.
(p.n.)