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Confcooperative e Parmigiano Reggiano: 100.000 forme per cambiare il futuro

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Una situazione così brillante i produttori di Parmigiano-Reggiano non la vedevano da tempo. In un anno i prezzi alla produzione (per anni stagnanti attorno ai 7 euro/kg) sono passati da 8,32 a 10,70 euro/kg; le giacenze sono di quasi sei punti inferiori allo scorso anno, a Reggio è già venduto il 43% del formaggio 2010 (ancor prima della marchiatura e in taluni casi neppure ancora prodotto), le esportazioni volano ben oltre il 10% e neppure il calo dell’1,8% delle vendite sui principali canali distributivi nazionali preoccupa più di tanto.

Tutto bene, dunque? La situazione è favorevole, è la risposta di Confcooperative, ma proprio per questo oggi è necessario costruire condizioni di stabilità per il mercato della nostra principale Dop, evitando di godere di questi risultati – come è spesso accaduto in passato – per poi ritrovarsi in situazioni di crisi senza aver trovato alcun antidoto efficace.

E nel convegno promosso dalla Centrale cooperativa sul tema “Il Parmigiano-Reggiano tra crisi, ripresa e stabilità” si è parlato proprio di questo: non libere opinioni a confronto, ma dati, proiezioni e un inedito modello di algoritmo messo a punto dal prof. Alberto Grandi (analista di mercato) che consentono di stabilire con sufficiente precisione quando e perché possono scattare nuove crisi e, conseguentemente, di anticiparle e di intervenire sui fattori in grado di dare maggiori certezze di reddito ai produttori. Per metterla in cifre, bastano 100.000 forme di giacenze e di produzione in più o in meno (quest’anno si tornerà oltre i 3 milioni) per determinare in buona misura le sorti del settore.

Occorre allora un governo ferreo delle scorte (indicatori immediati della situazione e sempre meglio monitorabili) per evitare di scivolare dal successo alla debacle. La “ricetta” è apparentemente semplice ma, forse, la più difficile, perché richiede una ferma adesione dei produttori ai piani produttivi del Consorzio e ai ritiri, da parte dello stesso, di prodotto a prezzi anche inferiori a quelli di mercato per stabilire uno zoccolo al di sotto del quale non far scendere le quotazioni.

Due condizioni assolutamente decisive – ha detto il presidente del Consorzio di tutela e di Confcooperative, Giuseppe Alai, sulla base dei dati forniti dal prof. Grandi e dal dr. Keese de Roest del CRPA – che non significano automaticamente ridurre la produzione, ma “adattarla al mercato”.
“Abbiamo a suo tempo verificato concretamente – ha detto Alai – che una riduzione del 3% dei flussi immessi sul mercato ha determinato un aumento delle quotazioni del 16%”.

Paradossale? No, dicono i nuovi modelli presentati in Confcooperative, ed ecco l’esempio. Con il perdurare della situazione attuale su produzione annua (+ 2,4%) ed esportazioni (+10%), associato a vendite interne a -3,3%, dal 2011 le scorte torneranno già a salire, e in tre anni aumenteranno di oltre 120.000 quintali (circa il 22% rispetto a quelle di oggi), prefigurando chiaramente una situazione di elevato rischio. Al contrario, con una produzione in aumento dell’1%, una crescita dell’export limitata al 5% e un calo delle vendite interne dell’1%, le scorte salirebbero nello stesso periodo del 12%.

“Questo significa – hanno detto Alai e il presidente del settore lattiero-caseario di Confcooperative, Alessandro Bezzi – che accanto ad ogni spinta per incrementare i consumi, sono i produttori ad avere in mano una leva formidabile per limitare i rischi e far corrispondere l’aumento del loro fatturato ad un vero aumento della redditività: per questo serve grande coesione e altrettanta determinazione”.
Dal presidente della Camera di Commercio Enrico Bini, l’impegno ad accompagnare concretamente le trasformazioni del settore, così come è previsto dal bilancio camerale e come è già avvenuto nella fase di crisi con circa 9 milioni di euro destinati in tre anni a facilitare l’accesso al credito da parte delle aziende. Dallo stesso Bini e dall’assessore provinciale all’agricoltura, Roberta Rivi, un forte invito ai produttori ad una più forte coesione ma anche – ha sottolineato l’assessore – ad intervenire su tutta la filiera grazie anche a risorse pubbliche che sono rimaste in parte inutilizzate (un residuo di 35 milioni in regione), e non solo sulla produzione, sulla quale si concentrano richieste inevase per 4 milioni di euro in provincia.