Home Cronaca IL FILM: L’uomo che faceva pagliai, una commovente storia con immagini vere

IL FILM: L’uomo che faceva pagliai, una commovente storia con immagini vere

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VETTO (27 settembre 2010) – Ritrovarsi, a quattordici anni dalla propria morte, protagonisti di un corto. Che, di fatto, rende grande un personaggio, sconosciuto a i più, degno di raccontare una delle pagine più belle del Novecento rurale in montagna. E’ il piccolo capolavoro de “L’uomo che faceva pagliai” cortometraggio di Ermanno Beretti, docente di educazione artistica presso le scuole medie di Carpineti, prodotto da Comune di Carpineti, in collaborazione con gli Ori della Terra Reggiana.
Di cosa si tratta? “L’uomo che faceva i pagliai” è un vero e proprio filmato, della durata di circa 20 minuti, incentrato sulla figura di Francesco Saturni, classe 1903. Di chi si tratta? Lo racconta un bel testo, che pubblichiamo a mo’ di racconto, a firma di Emanuele Ferrari, con la collaborazione dello stesso Beretti: un vettese che, sino a quando le forze glielo consentirono(perse la moglie nel 1977), costruì pagliai.

“Ricordo quegli anni. Francesco mi chiedeva sempre se conoscevo qualcuno che potesse acquistare il suo fieno – spiega a Redacon Ermanno Beretto – ed è per questo che mi decisi ad intervistarlo con cineoperatore Luciano Giansoldati”.

Nacque così, 30 anni fa, questa eccezionale testimonianza audiovisiva di come si presentasse un uomo della civiltà contadina dell’Appennino. Una di quelle persone che sapevano costruire di tutto (e per questo Francesco rifiutava il telefono: non sapeva costruirlo!) e che potevamo incontrare immutati uno, due, tre, dieci secoli fa, magari con un cappello leggermente diverso, ma immutato in tutto il resto.

A fare da custode a questo personaggio, nella sua casa Rossa Al Bui di Vetto, accanto al Rio Maillo al confine con Castelnovo, il suo cane, i suoi oggetti e, soprattutto, quegli splendidi pagliai. Ovvero cumoli alti anche quattro metri e più coi quali ci usava conservare il fieno o la paglia che non stava nei fienili.
Il video è stato presentato in anteprima sabato scorso alla Maratona del Sapore a Carpineti e ha incantato il numeroso pubblico presente. Colpisce un’immagine tra le tante: quando l’intervistatore (Beretti) e l’anziano Francesco si cimentano, nel corso dell’intervista (cui Francesco risponde sempre in dialetto) tra i pagliai, eretti quasi a rappresentare misteriose figure divine, innanzi alla casa dell’uomo. Ci pensò il tempo a domare il desiderio di Francesco di sopravvivere alla modernità, portandolo gli ultimi cinque anni della sua vita in una casa di riposo a San Polo, dove si spense nel 1996. E, infine, il filmato riprende la Casa Rossa come si presenta oggi: con un pratino inglese al posto di quei magnifici totem che, un guizzo d’artista, ha saputo strappare intelligentemente all’oblio del tempo. Per gentile concessione, pubblichiamo il testo di Emanuele Ferrari (dedicato a Ermanno ‘che sa e sogna’), per altro letto nel filmato con voce di Mara Redeghieri, registrata da Nicola Bonacini. Colonna sonora di Massimo Zamboni e Cristiano Roversi, montaggio di Luca Guerri. Fotografie di Alberto Marastoni. Si può avere il corto (diritti Siae assolti) richiedendolo al numero: 3289228916

(Gabriele Arlotti)

1 COMMENT

  1. Che bel ricordo!
    Che emozione rivedere la fotografia di un uomo che hai conosciuto quando eri piccolo piccolo, che hai frequentato per anni e che da decenni non vedevi più! Abitavo nel mulino di Fontanabuona e mia madre (stessa età di Francesco) era originaria di Casa della Luma, tra Vedriano e il Tassobbio appena sotto Roncovetro. In occasione della sagra (allora si faceva festa anche se i mezzi economici scarseggiavano: era un modo per “ritrovarsi”), ma anche in altri periodi dell’anno, partivamo a piedi, quasi sempre io e mamma, e lungo il rio Maillo arrivavamo al Mulino Zannoni. Poco oltre attraversavamo il Tassobbio, poi salivamo lungo i calanchi sotto Pietranera fino a Vedriano (dove abitava una zia), per poi scendere fino a Casa della Luma. Strade bianche e polverose, carraie di campagna che in caso di pioggia si trasformavano in distese di melma che si attaccava alle scarpe appesantendole. In quel caso partivi con gli stivali di gomma e portavi le scarpe buone in una borsa. Di solito la visita durava alcuni giorni. Il Buio (è questo il nome esatto?), la casa di Francesco, era la prima tappa. Obbligata. Due chiacchiere, un bicchiere d’acqua o di vino bianco, un piccolo riposo poi via verso Mulino Rosati, Mulino Ferrari e oltre. Quella era la valle dei mulini ad acqua anche se, durante la mia fanciullezza, se ben ricordo quello di mio padre era l’unico ancora in funzione. Con il figlio di Francesco ho frequentato le scuole elementari a Montecastagneto.
    Quei pagliai me li ricordo: non erano una rarità, anche mio padre li faceva. Però, nel caso di Francesco, è straordinario che abbia continuato a costruirli anche quando il “progresso” era già arrivato nella valle del rio Maillo. Forse era un modo di difendersi dalla sua invadenza.
    Bravo Ermanno, meriti un forte grazie per avere dato alle genti moderne la possibilità di ammirare quelle vere e proprie opere d’arte. Può sembrare facile costruire un pagliaio, ma non è affatto così. Se lo sbagli si può rovesciare o il fieno può marcire per infiltrazioni d’acqua piovana. Spero di poter vedere presto il filmato.

    (Armido Malvolti)