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Nostra intervista / “Dicevano che era un lavoro da uomini…”

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L’immagine che l’opinione pubblica e i media hanno dei camionisti si basa ancora su vecchi stereotipi che oggi nulla hanno a vedere con quelli che sono i professionisti del trasporto. Stereotipi difficili da cancellare, soprattutto se si è donna. Donna camionista come Gisella Corradini, Gisy per gli amici, 44 anni, di Fiorano Modenese e da più di vent’anni alla guida di un camion. Insieme ad altre compagne di strada ha creato un blog, Buona Strada Lady Truck Driver Team, per incontrarsi e accorciare le reali distanze che le separano. L'abbiamo intervistata. Ecco quanto ci ha detto.

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Gisella, ci racconta la sua giornata?

La mia è una giornata anomala, viaggio quando il resto del mondo dorme, anche i colleghi per la maggioranza sono in pausa, parto verso le 19 e vado in una grande logistica a caricare merce destinata ad una compagnia aerea a Malpensa. La difficoltà non sta nel viaggio ma nelle ore perse in aeroporto ad aspettare, molte delle quali sprecate perché quella struttura non è organizzata in modo funzionale, come nel resto d’Europa, e a farne le spese i trasportatori che si “bruciano” le ore d’impegno impotenti. Il ritorno è quasi sempre all’alba, quando la famiglia si sveglia e comincia le proprie attività. Io vado a dormire per essere riposata ed operativa la notte successiva. In realtà le poche ore che sono a casa sveglia vengono assorbite dalle attività domestiche e d’amministrazione. Durante la settimana le mie relazioni sociali sono inesistenti, e solo tramite il pc e il telefono mantengo rapporti con i colleghi e le mie amicizie. Per questo il nostro blog ha successo, perché ognuna può entrarci quando gli è più comodo. Buona Strada è un augurio a tutte/i e non potevamo scegliere nome migliore per il gruppo e successivamente per il blog. Un salotto virtuale a cui ognuna affida pensieri che ha voglia di condividere. C’è chi invece sceglie di “frequentare” assiduamente ma senza intervenire, non ci sono obblighi nei confronti del nostro gruppo, ognuna di noi ha le proprie priorità e il gruppo non deve essere un ulteriore vincolo.

Un lavoro tipicamente maschile, faticoso, ma che rappresenta più di altri la vita libera, la passione... Cosa spinge una donna a mettersi al volante di un tir e a macinare km?

Guidare richiede sempre attenzione e concentrazione, quindi fatica, anche quando non è un mezzo pesante. I camion del giorno d’oggi sono predisposti a rendere più confortevole la guida dei loro antenati, ma in ogni caso richiedono lo sforzo mentale di essere sempre vigili, il prolungarsi delle ore seduti e senza muovere il corpo comporta diverse problematiche, quella è la parte usurante della nostra professione. La strada in chi vive questo mestiere per passione dà sensazioni che non tutti sanno cogliere, si vedono luoghi e persone che altrimenti non avresti mai incontrato, si lavora con altri, sapendo poi di partire in solitudine, cerchi di cogliere il positivo da ogni esperienze a crescere interiormente. Aver guidato le ore necessarie a percorrere l’Italia in lungo e in largo per consegnare ciò che ti viene affidato e aver voglia di ripartire col tuo mezzo è l’indice di essere guidati dalla passione e non solo dalla necessità di lavorare.

Repubblica, uno dei maggiori quotidiani italiani, ha recentemente dedicato una scioccante inchiesta al mondo del trasporto italiano. Tempi da rispettare che spesso contrastano con il rispetto delle regole della sicurezza propria e altrui. Titolava questo giornale: “Trucchi, caffè droghe niente soste così i camionisti – schiavi diventano assassini”. Un'inchiesta fatta in giro per l’Italia, toccando anche la nostra provincia. E’ ancora possibile lavorare onestamente rispettando le regole?

Non condivido tutto ciò che è stato scritto nell’inchiesta di Repubblica, ma apprezzo il fatto che si approfondiscano vari aspetti delle problematiche del nostro settore. L’uso delle droghe a mio avviso non serve a tener sveglio nessuno e se un autista le usa è per sua predisposizione personale; è risaputo che sono care e, finito l’effetto, sei più rincoglionito di prima; quindi dove sta il beneficio? Sono solo quella percentuale che c’è nella società comune e alcuni purtroppo guidano camion. Rispettare i tempi di guida è difficilissimo, non riesci a sopravvivere perché la committenza pretende consegne in tempi prestabiliti e si tira fuori facendoti firmare che rispetterai le norme previste dal codice stradale. Un ricatto invisibile, come quello delle tariffe: i grandi gruppi applicano tariffe che mettono in ginocchio i ”nani” del trasporto, ma la differenza sta nel servizio. In Emilia sono apparsi in pochi anni giganti del trasporto, senza storia alle spalle a cui vengono affidate grosse fette di mercato dalla committenza senza scrupoli, l’importante è il ribasso del compenso. Non è più possibile lavorare onestamente, perché se viaggi solo le ore consentite non riuscirai mai ad accontentare il cliente e fuori dal cancello c’è la fila per volerti sostituire.

Trasporti e legalità. Una battaglia che da anni Enrico Bini, presidente della Camera di commercio di Reggio Emilia, sta portando avanti con denunce di infiltrazioni mafiose anche in terra emiliana. Nell’intervista di Repubblica Bini denuncia senza mezzi termini la presenza di aziende legate alla 'ndrangheta. Afferma: ”Hanno cominciato a proporsi a prezzi più bassi, fuori mercato. La committenza si è tappata il naso e le ha fatte lavorare. Il risultato è che per le aziende locali e che rispettano le regole è stato un colpo durissimo. Tanto che alcune hanno iniziato a praticare gli stessi metodi”. Anche la ricca Emilia pare quindi diventata una terra di conquista. Qualcuno denuncia, ma pochi, troppo pochi. L’impressione è che molti sappiano ma abbiano paura. Cosa ne pensa?

Credo che nel trasporto si offra la possibilità alle associazioni mafiose di riciclare denaro da “ripulire”, perché la committenza non ha interesse a chiedersi il perché di “ribassi” così forti, le grandi strutture spesso hanno compartecipazioni di enti nazionali ma non fanno verifiche sulla provenienza dei mezzi e una storia aziendale. Il tessuto sociale indebolito dalla crisi ha incrementato ulteriormente questo processo d’infiltrazione silenziosa.

Un lavoro che la porta spesso a essere sola, lontano. Non ha mai rimpianto di non aver scelto un altro tipo di lavoro, o meglio un’altra vita?

Questo lavoro, considerato da uomini, richiede qualità per cui le donne sono predisposte, come la determinazione, l’affidabilità e la pazienza. Io ho cominciato ad avvicinarmi per la passione per i viaggi, la guida e successivamente ho scoperto i camion. Un’imprenditrice mi ha dato la possibilità d’iniziare affidandomi un viaggio quotidiano locale; da lì ho cominciato a camminare con le mie gambe e instaurato rapporti con clienti durati dieci anni; in due anni ho dovuto comprare il secondo camion e un collaboratore per guidarlo. Nel tempo mi ha dato soddisfazione l’essere riuscita ad inserirmi in un settore completamente a me sconosciuto, non sono figlia d’arte e ho fatto una scelta che, a parte mio marito, nella mia famiglia nessuno condivideva, c’è voluto tempo. Portare a destinazione ciò che mi veniva affidato dai clienti e riscuotere oltre al compenso anche complimenti è stata una soddisfazione. In pochi viaggi ho scoperto d’aver fatto la scelta ottimale per la mia indole, in fabbrica e in ufficio vivevo l’oppressione delle “4 mura”, entri che è buio ed esci che sta già oscurando, oltre a condividere spazi con gente che non hai scelto tu, ho mantenuto contatti con alcuni ex colleghi, ma non tornerei indietro. Ho vissuto altre realtà in passato e altre problematiche; una costante tra le professioni è sempre stata tutelare la mia persona: come donna ho ricevuto proposte oscene più in ufficio e in fabbrica che “on the road”. Il pericolo di guidare e viaggiare è sempre stata una costante nella mia vita perché per hobby da sempre sono vicina al mondo delle competizioni motoristiche e quella formazione ha favorito la mia prudenza con le probabilità di rischio sempre da monitorare. Non ho scelto questo tipo di lavoro pensando ad un sacrificio e quando sono stanca e/o demotivata penso alle cause e come cambiarle, non a cambiare la mia attività. Come imprenditrice diverse volte ho dovuto viaggiare non essendo in perfetto stato di salute e combatto con il sonno quotidianamente, non mi giustifico e non lo voglio fare con l’azienda di Michela, ma il nostro lavoro è anche questo, essere lontano da casa, tempi ristretti e imposti, ci si deve giostrare in continuazione, gli stessi tempi di guida ti fanno dormire quando non hai sonno e poi magari guidare quando non sei al top…

Un suo ricordo di Michela Ciullo, morta il 5 dicembre dello scorso anno precipitando con il suo tir da un viadotto della E45 che, pur non stando bene, aveva delle consegne da rispettare. Un fatale colpo di sonno l’ha uccisa.

Per quanto riguarda Michela ribadisco da sempre che il punto in cui è uscita le è stato fatale, quel guard-rail non avrebbe contenuto l’urto di una moto, figuriamoci di un bilico; perché è stato sostituito con uno identico nonostante un salto nel vuoto di 40 metri? Non le sarebbe stato fatale se successo in zona pianeggiante dove si vedono doppie file e rinforzate di G-rail. Sabato ho incontrato la mamma di Michela per la prima volta di persona e ho trovato un’amica, una persona che ci stima e nonostante tutto non odia nè camion nè camionisti; ci sarà un perché? Michela non era una sprovveduta, rappresentava i suoi colleghi nelle controversie con l’azienda, aveva imparato perfino il serbo, ma sapeva che l’azienda viveva di trasporti e quei trasporti hanno tempi ristretti, imposti da una committenza che nessuno tocca e che la concorrenza è in agguato a farteli perdere. Con questo non voglio dire sia giusto, ma che il modo giusto per cambiare lo stato delle cose non è sicuramente la decimazione dei punti ne il triplicare le sanzioni. Buona Strada comunque e con qualsiasi mezzo voi la percorriate.

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- “La ‘ndrangheta nell’autotrasporto c’è: lo dico all’Italia” (15 ottobre 2010)

4 COMMENTS

  1. Risposta a Gisella Corradini
    Dispiace che a parlare della vita di una donna camionista sia solo e sempre la stessa persona che vanta esperienza da Modena a Milano in orari notturni. Il suo vanto è di attendere qualche ora in aeroporto x scaricare, ma questa Signora non ha idea di cosa significa macinare 4500/5000 km a settimana, rientrare a casa 1/2 volte al mese, imparare lingue straniere e strade sempre nuove!! Le sue esperienze le trae dai commenti delle colleghe che purtroppo devono allinearsi al suo pensiero xchè non è vero che il blog è aperto a tutti!! Vorrei che Lei che le ha fatto l’intervista andasse a spasso x l’Italia e parlasse con chi vive veramente questo lavoro, con chi deve combattere x trovare una doccia pulita, con chi deve stare attenta a dove si ferma x poter riposare qualche ora; ma i veri problemi ad essere donna in questo mestiere sono tanti e non è la versione edulcorata ad uso e consumo dei più!! La saluta cordialmente una vecchietta che ha alle spalle 15 anni di estero con i frigo ed ora porta propano (gpl) ed è doppiamente responsabile quando viaggia su strada!!
    Cordiali saluti.

    (Loredana)


  2. Ho letto l’intervista e concordo su quanto detto da Gisy. Anch’io guido il camion, sono figlia d’arte e ho deciso di proseguire l’attività di famiglia per esigenza e per passione. Le difficoltà non mancano ma quando riesci ad affrontarle e fai capire che non sei una sprovveduta “ti fai strada” e per questo il lavoro non ti mancherà mai se sai anche gestirlo. Purtroppo le consegne di certi viaggi vanno effettuate in orari imposti dal committente che non ti permettono di rispettare le ore di impegno: troppe attese che ti bruciano le ore di riposo. Non è neanche facile conciliare il proprio stato fisico con le ore a disposizione: hai poco tempo ancora per guidare ma sei già stanco e vorresti fermarti prima, oppure hai finito le ore e ti manca poco per arrivare a casa o in consegna. Ma se invece di “punire” per aver sfiorato i tempi di guida ci fosse più TUTELA dell’autotrasportatore, ne beneficerebbe la sua salute e quindi la sicurezza di tutti. Per esempio evitando che debba effettuare mansioni che non sono di sua competenza come il facchinaggio e diminuire le attese di carico/scarico. Si parla tanto di doveri ma i diritti dove stanno? Se ci fosse meno sfruttamento dell’autista e ognuno facesse il suo lavoro e soprattutto ci fosse un compenso equo, non saremmo arrivati a questo punto.
    Un saluto a tutti.

    (Rosa)

  3. Referenze
    Sono Gisella. Non voglio accendere una polemica già vista sul nostro blog, da cui Loredana è stata esclusa per incongruenza con la linea di pensiero del gruppo, nato prima del blog e del suo arrivo, dopo un articolo sul nostro gruppo in un giornale di settore. Noi per Lady Truck intendiamo chi ha un “camion nel cuore”, non misuriamo le persone per la lunghezza del mezzo o le tratte che percorrono… ma per la loro passione al volante e a lei non garba e vanta esperienza in tutti i campi, comprese le abitudini personali dei colleghi e non le è stato dato credito per questo motivo, oltre al fatto che sul camion su cui dice di viaggiare abbiamo sempre visto un uomo. Io sono stata scelta per portavoce e chi mi conosce sa che sacrifico parte della mia privacy unicamente per promuovere il gruppo e le nostre iniziative di beneficenza e ci metto sempre la faccia per garantire le buone intenzioni. Ho descritto il mio quotidiano attuale, Loredana non mi conosce e a differenza di lei non vado in giro a decantare il mio curriculum professionale perchè non devo conquistare nessuno. Tanto dovevo per chiarimento.
    Buona Strada a tutti!!!

    (Gisella)

  4. Da Stella a Loredana
    Ciao, sono Stella, ho appena letto l’intervista di Gisella e sono d’accordo su ciò che ha detto. E’ tutto giusto, dalla passione che ti prende a fare ‘sto lavoro ai problemi che purtroppo ci stiamo ritrovando con questo Codice della strada. Ho letto pure la risposta alquanto cattiva di Loredana e sinceramente nn capisco perchè tanto sarcasmo nelle sue parole. Ha scelto di fare un bellissimo lavoro ma mi dispiace per lei che lo viva nel modo sbagliato. Non mi sembra una professionista: parla come se stesse ancora a 20 anni fa… Ma lo sa che le aree di servizio sono ormai tutte attrezzate di docce? E poi dove vive Loredana che deve stare attenta dove si ferma per poter riposare qualche ora? Sono 24 anni che son qua e grazie a Dio non ho MAI avuto nessun problema di questi, bastava un caffè al benzinaio di turno e la sveglia era assicurata. Cosa vuol dire avere 15 anni di estero, aver conosciuto tante strade e le lingue straniere (?????) se non sei riuscita a conoscere un po’ di modestia e di rispetto? Lasciatelo dire, Loredana, ma tu fai parte di quelle che della vita hanno capito ben poco. Purtroppo non sei la sola perchè c’è più di una che si sente più grande anche di te. Un suggerimento? Formate un vostro blog e chiamatelo come voi: super donne! Ricorda che nella vita non è portare un camion grande a farti diventare una gran donna…
    Buona strada a tutte.

    (Leonarda Stella)