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“Il mio articolo non era sul rapporto ‘scienza e fede’ quanto una lamentela, se così si può dire, su chi parla, scrive e rifiuta il dialogo con il credente, ritenendolo quasi un ‘sottosviluppato’”

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Non mi aspettavo tutti quei commenti alla mia riflessione della settimana scorsa, dove esprimevo il mio disagio di fronte ad intellettuali che in modo arrogante, dall’alto della loro intelligenza, si schieravano contro Dio e la religione! Non ho citato i loro nomi, potrei citarne uno che non fa parte di quella categoria, Giulio Giorello, che in un suo libro, “Senza Dio. Del buon uso dell’ateismo”, spiega le ragioni del suo essere ateo. Lo fa in modo rispettoso e chiaro, tanto che il Cardinal Martini, che lo ha avuto ospite alla sua “Tavola dei non credenti”, pur non condividendone il contenuto, ma riconoscendo la sua capacità nello spiegare l’ateismo nelle diverse espressioni con cui si manifesta. Non è il suo un ateismo basso o volgare, di quel genere che crede di liberarsi dal problema con formule o battute, cercando di demolire con ogni mezzo l’idea di Dio, ma si ricorda come essa sia viva nell’uomo da quando è apparso sulla terra.

E’ una osservazione di Armando Torno sul “Corriere della sera”, il quale continua scrivendo che “l’ateismo di Giorello si basa su una scelta di vita: egli rappresenta l’uomo che non sopporta alcuna autorità sopra di sé. Accetta Dio come amico, non come padrone… Si direbbe anzi che il fine a cui tende quest’opera non sia quello di liberarci da Dio, ma di liberare Dio da quelli che parlano troppo sovente a vanvera nel suo nome e, in tale veste, fanno la loro parte per dar forza agli argomenti dell’ateismo volgare”.

Comunque il mio articolo non era sul rapporto “scienza e fede” quanto una lamentela, se così si può dire, su chi parla, scrive e rifiuta il dialogo con il credente, ritenendolo quasi un “sottosviluppato”. Nella mia esperienza mi sono trovato a frequentare atei dai primi anni, in famiglia! Mio padre non credeva, non frequentava e per lunghi periodi ha pure bestemmiato Dio e Santi (mai la Madonna!). Poi “da grande”, nell’incontro con compagni di viaggio, intellettuali e artisti, con i quali ho vissuto momenti belli di dialogo e confronto, dove nessun dei due voleva prevaricare sull’altro. Ricordo una cena con il critico d’arte Mario De Micheli e sua moglie, dove al brindisi lui invidiava la Speranza nell’Oltre, che presenta il Vangelo. Da critico d’arte lo conosceva bene così com’era familiare con le pagine dell’Antico Testamento, pur dicendosi non credente. O i lunghi colloqui con il pittore Ernesto Treccani e sua moglie Lidia De Grada… Erano dialoghi e confronti, che ci portavano ad unirci su tanti temi: dalla pace alla solidarietà al rifiuto di ogni razzismo alla bellezza dell’arte, rendendoci “vicini” su tanti valori, che rendono più abitabile il mondo. O con gli amici delle BR sulla violenza da estipare, sul perdono e la riconciliazione, “il prezzo” da pagare per fatti di sangue…

Devo riconoscere che la Fede è un dono di Dio e che molti, cosiddetti “atei” o non credenti, vivendo la carità, Lo incontreranno al momento giusto, per quella sorprendente rivelazione di Dio di cui parla Gesù Cristo al capo 25 del Vangelo di Matteo.

Quanto a me, il mio essere credente e prete, lo devo agli incontri che ho avuto, a mia madre che, morendo, era serena, sorridente perché tornava a Casa, a Giovanni, un “barabitt” che non voleva morire a 19 anni e poi offre la vita per il padre di famiglia, vicino di letto, che aveva tre figli. Lui muore il padre dopo pochi giorni torna a casa guarito. Lo devo a tanti testimoni, tra i quali quel grande della montagna, che è don Pietro Ganapini, uomo della carità, che tra i poveri del Madagascar ha cantato, con la vita e i suoi inni, l’amore di Dio. Un uomo solare come la sua fede. E’ avanti negli anni, ma la stagione della sua vita non è desolata per aver donato la sua vita ai poveri e a Dio. Con i miei amici “atei”, abbiamo parlato spesso del mistero della morte, sull’oltre che ci aspetta. Dio ci permette una speranza, che costruiamo qui con la nostra vita, segnata dall’onestà, dall’amore, dalla ricerca del positivo. Dall’ora della morte, possiamo dare senso alle ore della nostra vita.

2 COMMENTS

  1. Chi è convinto delle proprie idee accetta il confronto
    Gentile Don Vittorio, io e lei abbiamo incrociato parole una volta sola alcune settimane fa. Scrissi una riflessione/domanda, lei rispose, non replicai per evitare di portare il dialogo oltre la semplicità di una domanda e di una risposta. Io non sono un credente, è noto. Soprattutto non credo sia necessario organizzare una Chiesa in nome di un Dio. Se una persona crede in Dio (inteso come qualcuno o qualcosa che sta sopra ognuno di noi), trovo più naturale che si instauri un rapporto diretto, di coscienza, senza il filtro di terzi (Chiesa o altro). Ciò premesso, non avrei alcun diritto di rivendicare il mio diritto a non credere se non riconoscessi al mio simile il diritto di farlo. Così è per il confronto. Se io sono sicuro della forza delle mie idee, non devo avere timore alcuno a confrontarle con altri. Se io respingo come irricevibile la visione del mondo di un credente, lo induco a fare altrettanto e tra di noi crescerà un muro, uno dei tanti muri che hanno contribuito a rendere tragica e triste la storia dell’umanità. A questo mio modo di pensare cerco, nel limite del possibile, di dare gambe. Nella sua precedente risposta lei ha citato il mio lavoro con i giovani. Sì, con due di loro, Linda e Francesco che a differenza di me sono credenti, ho scritto un libro che mi auguro lei abbia letto. Non mi è costata fatica lavorare con loro, confrontarmi, discutere, trovare soluzioni. Uno dei personaggi principali del libro è un prete: Don Alciro. Quel personaggio mi rispecchia, l’ho creato e gestito dalla prima all’ultima pagina. Gli ho dato un’anima, forse la mia. “Com’è stato possibile?”, potrà chiedersi qualcuno. Semplice: quando ho deciso di crearlo mi sono detto che avrebbe dovuto essere esattamente come io sarei se fossi un prete. Dalle testimonianze raccolte, tre sono i protagonisti del libro che più piacciono ai lettori: Don Alciro, Niki, un ragazzo che si è fatto esonerare da religione senza che ciò gli impedisca di diventare il braccio destro del Don nella realizzazione di un quasi utopistico progetto di vita, Gurgjit, un indiano del Punjab di religione sikh. Le lascio immaginare quanto siano simbolici questi tre personaggi. Alla fine del libro tutti e tre si ritroveranno cambiati (gli altri numerosi protagonisti non lo saranno di meno) pur non rinunciando alle loro convinzioni individuali. E’ il frutto del dialogo e del lavoro spalla a spalla tra diversi con un obiettivo comune: scoprire quanto è bella la vita se la diversità diventa un valore. “Sai Don – confessa un giorno Niki a Don Alciro – che non guardo più alla chiesa come un anno fa? Allora la vedevo come un luogo nemico, ora è solo una delle tante componenti della nostra società dalle mille facce”. Leggendo e rileggendo il testo per correggerlo e togliere il superfluo mi sono trovato a chiedermi quanti siano nella realtà i preti come Don Alciro. O come lei, Don Vittorio. Nelle periferie del mondo sono certamente molti, ma man mano che si sale nelle gerarchie? Questa domanda mi riporta alla precedente e introduce l’ultima: “Non sono alcune posizioni ufficiali della Chiesa a suscitare le reazioni di cui lei giustamente si lamenta?”. Mi fermo qui e concludo esternandole un desiderio: potermi confrontare con lei, magari assieme a Linda, Francesco e a chi lei vorrà. Credere nel dialogo per me significa anche mettersi in gioco, non nascondersi, non temere di doversi impadronire di alcune delle convinzioni di chi sta di fronte.
    Con cordialità e rispetto.

    (Armido Malvolti)


  2. Vede, il suo ragionamento sarebbe condivisibile nel paese dove vivo, il Belgio, o in tutti gli stati del centro e nord Europa, ma non in Italia. Un paese non laico ma concordatario, dove il clero cattolico ha dei privilegi inimmaginabili, dal punto di vista culturale, economico e sociale. Attaccare Odifreddi o altri misteriosi intellettuali sul piano della loro arroganza o della loro presunta superiorità è molto facile e fuorviante. Lei si lamenta perchè queste persone la infastidiscono, denigrano il suo stile di vita e soprattutto perchè rifiutano il dialogo. Potrebbe anche avere ragione, però vorrei lamentarmi un po’ anche io.
    Perchè, vede, quelle poche volte che torno nel posto dove sono nato e cresciuto mi sento parte di una minoranza, una minoranza stigmatizzata e penalizzata. Mi lamento perchè a rifiutare il dialogo non sono certo gli atei, nè storicamente nè culturalmente. Mi lamento perchè l’Italia è un paese dove qualunque questione etica necessita dell’approvazione della chiesa cattolica. Lei parla di arroganza di certi atei, ma cosa è l’arroganza? Non è arroganza anche vivere in un paese dove la cultura dominante, quella cattolica, fa si che se un medico non voglia dare un contraccettivo, meglio conosciuto come pillola del giorno dopo, lo possa fare (in Belgio si va in farmacia senza ricetta)? Non è presunzione di superiorità quella di togliere dalle tasche dei contribuenti 4 miliardi all’anno per le strutture ecclesiastiche? Non è scandaloso non avere mai avuto un ministro dell’istruzione che non sia stato un devoto cattolico? Potrei andare avanti ma preferisco fermarmi qui.
    Uno, due o tre professori che esprimono le proprie idee atee sono offensivi nei suoi confronti? Bene, allora pensi alle mie offese morali e personali quando valico le Alpi.
    Concludendo, condivido il controbattere sui contenuti di certi scritti e criticare certi autori, ma gli atei non hanno mai rinnegato il dialogo; semmai è proprio il contrario. Mi permetto di suggerirle che i suoi commenti sarebbero dovuti essere indirizzati al pensiero ed al contenuto di certi autori, non al loro essere politicamente corretti o meno.
    Con rispettosità.

    (Matteo Manfredini)