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Un leader indimenticabile per il Regno Unito

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Appena arrivati a Londra avrete subito l’opportunità di incontrarlo e non vi sembrerà vero. Infatti, quando vi presenterete nell’aperta e ariosa Trafalgar square sarà già là ad aspettarvi. Sarà un incontro insolito. Incontro con altri tempi, altri modi di vivere e di... dirigere. Basterà solo spingere lo sguardo in su e osservarlo a mezz’aria, su una altissima colonna in granito di più di 50 metri. Lo sostiene, in cima alla colonna, un capitello corinzio ispirato alle colonne del tempio di Marte a Roma, ottenuto dalla fusione di cannoni britannici. Ai piedi della colonna, invece, dalla fusione dei cannoni francesi catturati sono raffigurate le sue più grandi vittorie navali.

Non è un monumento, in fondo. Per gli inglesi è molto di più: un personaggio vivente, un leader indimenticabile. Immortalato qui come fosse issato sull’albero maestro di una nave. Illuminato di notte, si staglia in alto nella piazza oscura come un’apparizione, un semidio. È Lord Nelson, the admiral.

Infanzia difficile, anzi tragica, si era trovato prestissimo a solcare i mari e gli oceani con la flotta inglese. Scuola eccezionale di vita e di stile questa, che lo farà diventare il più giovane capitano di una flotta. La sua giacca blu di ammiraglio la si ammira ancora al Museo navale. Sarà un’emozione forte osservarne lo strappo sulla spalla destra prodotta dal colpo fatale. Era la sua ultima battaglia: Trafalgar, 21 ottobre 1805.

Pur essendo di statura limitata si rivelò ben presto uomo di grandezza sorprendente... E così, al National Maritime Museum ne scoprirete il segreto. Sono, tra l’altro, tre qualità di altri tempi. L’umiltà. La qualità comunicativa. La fiducia. Francamente no, non l’arroganza dei nostri giorni. Scoprirete, così, che lui ricordava il nome di ognuno dei suoi marinai, sapeva parlare direttamente al loro cuore e compattarne le forze fino all’ultimo mozzo. “Ognuno di voi farà e darà il meglio di sè!”, era il memorabile incoraggiamento prima della battaglia decisiva. Parole di fiducia, solida come una roccia. Confitte nell’animo di ognuno, in quell’inverosimile tormenta di una battaglia navale. Ognuno aveva capito che il loro leader sapeva spogliarsi non solo della giacca di ammiraglio, per bloccare l’emorragia di uno di loro, com’era successo. Ma di un occhio, di un braccio un’altra volta, delle vita stessa, infine. Per servire il popolo e la sua patria, senza alcun interesse per sé. E ciò da sempre, da giovanissimo.

Colpito a morte, riverso sulla nave ammiraglia, ancora si preoccupava della causa: “Quante navi nemiche abbiamo catturato?”. Diciotto, gli risposero. “Ne volevo ventuno!”. Così, nella piazza dal nome della famosa battaglia inglese con una coalizione navale franco-spagnola, una colonna di granito scaglia in cielo un uomo di mare e di lotta. Non solo. Ma un leader invidiabile per i nostri tempi. “Tutto il Regno Unito vi guarda, sí, vi guarda...”, ricordava sempre ai suoi marinai per estrarne il meglio di sè. Ed era il coraggio di sacrificarsi al bene comune. Come lo era per lui.

A guardarlo, invece, sarete voi ora e tutti gli inglesi: altissimo, innalzato sui tetti di Londra, un leader di altri tempi. Ma una splendida, attualissima lezione per i nostri!

(Renato Zilio, Londra)

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  1. Caro Zilio, apprezzo molto la sua passione per Nelson ma mi permetta di dissentire su alcune sue considerazioni. Nelson non è un uomo di altri tempi ma una figura di straordinaria attualità, con i suoi pregi e i suoi difetti. Come tutti gli eroi nazionali (di tutte le nazioni) è stato oggetto di “mitizzazione” eccessiva. Grandissimo ammiraglio e condottiero di uomini, fu però uomo normale, forse mediocre. Entrò in Marina a dodici anni grazie alle spintarelle di un suo zio capitano e sposò sua moglie Frances Nisbet con un occhio più al portafogli che al cuore. La sua vittoria nella battaglia di Capo San Vincenzo del 1797 nacque grazie ad un suo famosissimo atto di insubordinazione agli ordini degli alti comandi della Marina britannica (ci vuole anche fortuna nella vita. Se avesse perso?). A Napoli, durante la repressione della Repubblica Partenopea, consegnò a Re Ferdinando per impiccarli i capi degli insorti che aveva ricevuto in consegna (e di cui doveva essere il garante) contravvenendo alle condizioni sottoscritte per la resa che prevedevano di salvare la vita ai capi dei ribelli. Perennemente in bolletta, era sempre alla ricerca di nuove prebende e cariche onorifiche che potessero in qualche modo dargli una sicurezza economica. Cercò in tutti i modi di favorire i parenti stretti proponendoli per le più svariate nomine nello stile del più classico nepotismo. Morì da eroe e da grande condottiero. Ma i Nelson erano due: il Nelson ammiraglio e il Nelson privato.

    (Michele Tincani)