Per la prima volta ho varcato la soglia del Meeting di Rimini. Un po’ partigiana la mia visita: in uno spazio privilegiato, i miei amici della pastorale giovanile salesiana di Lombardia ed Emilia hanno allestito una mostra per sviluppare il tema del cuore nell’educazione, partendo dalla frase di don Bosco: “L’educazione è cosa di cuore e le chiavi del cuore le possiede solo Dio”.
Per me è stata una sorpresa l’eleganza dell’allestimento, le qualità della immagini, la sobrietà e l’efficacia delle parole scritte, ma ancor più l’incontro con i giovani, che accoglievano i visitatori, accompagnandoli con discrezione e delicatezza lungo il cammino della mostra, spiegandola. Si componeva di quattro momenti, che commentavano l’articolo 40 delle costituzioni dei salesiani, che recita così: “Don Bosco visse una tipica esperienza pastorale nel suo primo oratorio, che fu per i giovani casa che accoglie, parrocchia che evangelizza, scuola che avvia alla vita e cortile per incontrarsi tra amici”.
Molto elegante il catalogo, un volume ricco di fotografie e testi del Santo, curato graficamente da Andrea Marconi, dai giovani del Movimento giovanile salesiano insieme a don Elio Cesari e don Erino Leoni, presenti in fiera con nelle gambe il pellegrinaggio di 250 km. a Santiago di Compostela.
Ha una lunga presentazione del cardinal Giacomo Biffi: «I santi sono la risposta di Dio alle emergenti necessità della storia. Questi appare con particolare evidenza in san Giovanni Bosco e ce ne rendiamo conto con miglior consapevolezza oggi, che distanza di oltre un secolo possiamo valutare serenamente e oggettivamente la rilevanza educativa della sua opera. Ciascuno di noi ricorda San Giovanni Bosco come un maestro di vita, un uomo cioè che non ha tanto insegnato nozioni e teorie, o come si studia, come si lavora, come si guadagna, come ci si comporta in società, come si fa carriera, come si impiega il tempo, ma come si vive… Vedo che nelle nostre chiese davanti alle immagini di don Bosco si infittiscono i segni di una devozione che si va facendo sempre più intensa. E non mi stupisco: in un tempo in cui si fa sempre più assillante la preoccupazione e, diciamolo francamente, la paura dell’avvenire dei nostri ragazzi, insidiati come non mai da una possibile degradazione morale e fisica, in molti casi praticamente irreversibile, non fa meraviglia che le madri si rivolgano sempre più frequentemente al Santo della gioventù, al Santo che è stato soprattutto un educatore, al Santo che più di ogni altro ha avuto a cuore la sorte delle nostre generazioni».
Ne ho parlato per introdurmi ad alcuni temi, che intendo sviluppare in quest’anno, dove le richieste educative si fanno sempre più pressanti, in cui sembra che i figli crescano “orfani di Dio”. Don Bosco è profondamente uomo ma inquadra sempre la sua preoccupazione educativa in una prospettiva di fede, che non possiamo trascurare per dare ampio respiro ai nostri progetti educativi.
Oggi non si parla più di una generazione “incompiuta” ma di una “generazione provvisoria” in un presente incerto tra nuove tecnologie e spinte al consumo, con un disagio adolescenziale crescente, segnato da dipendenze e bullismo in costante crescita. Il mio amico Renato Mion, che insegna all’Università Salesiana di Roma, parla di quattro sfide per l’educatore che sono il fumo, il doping, l’alcol e il gioco d’azzardo, cose impensabili ai genitori e ai nonni di una certa età. Che dire poi degli stili di vita che il marketing sta imponendo già ai bambini, alle ragazze e ragazzi condannati alla bellezza, all’apparire?
Abbiamo accennato ad alcuni degli elementi emersi da ricerche sul campo, in particolare l’ultima dell’Eurispes, che richiede a noi adulti un’assunzione di responsabilità pedagogica, dalla quale stiamo scappando, abbandonando i nostri adolescenti a se stessi, in un tentativo di autoeducazione, dove a stento riescono a liberarsi dai vari condizionamenti che pesano su di loro.
Al Meeting ho incontrato tanti giovani, pochi tatuaggi e corpi colorati, qualche sigaretta di troppo, ma giovani allegri e sereni, curiosi di vedere e di ascoltare. Altri ho incontrato in campi lavoro, ai campi grest. Il panorama non induce a tristezza o a pessimismo, ma a sperare in un futuro possibile, realizzabile, se invece di perdersi in tante discussioni e divisioni, “il peccato originale” della nostra politica di questi giorni, ci mettiamo insieme per salvare i nostri giovani: salvando loro salviamo noi stessi!