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Casina, Castello di Sarzano. Apertura mostra fotografica “Quel che resta della luce” di Achille Ascani

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Ancora l’arte giovane protagonista a Sarzano. Com’è ormai tradizione, la scuola di scrittura si apre con il contributo di “un’altra arte” chiamata ad arricchire le sollecitazioni con cui i corsisti della VI edizione si cimenteranno da mercoledì 25 a domenica 29. È Infatti la mostra Quel che resta della luce del fotografo Achille Ascani ad aprire la serata aperta al pubblico alle 21 nella ex chiesa del Castello di Sarzano. Sbuffi di luce irrompono nelle fotografie dei viaggi attraverso l’Europa, accarezzano le silhouttes di Barcellona, Berlino, Dresda, Tirana, a suggerire ciò che la notte ma più spesso il giorno nasconde, a evocare anche attraverso suoni e rumori le parole per dirlo. Gli appassionati della “fotografia con il cavalletto” troveranno materia per confrontarsi, come gli amanti dei giochi di danza della luce. Ma anche i non artisti, gli scienziati o chi ha semplicemente passione per le energie alternative e le nuove tecnologie troveranno motivi di interesse: le fonti di luce hanno infatti origine da un pannello fotovoltaico posto all’esterno del castello. L’apertura della mostra sarà seguita da un reading di Emanuele Ferrari Il bambino che aveva bisogno di spazio – narrazione musicale di libri che si nascondono dentro altri libri.
Emanuele Ferrari – letture
Paola Novellani – flauto

L’invito a visitare la mostra ha per i lettori di Redacon la forma di un racconto inedito di Emanuele Ferrari

Per tutti quelli che portano un nome omerico

Primo tempo.
Io, Achille e mio zio Cossiga

Mio zio Cossiga, prima di perdere le scarpe, diceva che inizi davvero a viaggiare solo quando hai perduto qualcuno o qualcosa. Lo diceva di sera, dopo l’ennesimo caffè, al bar di Gismo, con la faccia un po’ tirata e il maglione ancora pieno della segatura di un giorno intero di lavoro.

È il mese di maggio, ma il tempo somiglia a un vecchio ombrello verde da pastori, quello pesante e ingrassato con l’olio di lino, perché l’acqua non faccia buchi e scivoli via a impastare di nuovo la terra. Sono qui che aspetto. Sono fermo perché forse non ho ancora perduto niente che valesse la pena cercare. Anche quando non c’è più.

Non so invece dove sia il mio amico Achille. Da qualche parte dev’essere. Forse è per questo che aspetto. Aspetto di saperlo.

- Portare un nome omerico è piuttosto impegnativo – ripeteva spesso Achille – soprattutto se sei uno di quelli che le cose gli piace aspettarle con calma, assaporare il tempo prima che succeda qualcosa. Non uno di quelli che vanno incontro alle cose, armati di tutto punto, con scudi, elmi e spade che raccontano storie di dei e ninfe distratte.

Achille ho sempre pensato avesse di gran lunga preferito chiamarsi Ulisse, Odisseo, o forse ancora meglio Nessuno. Per viaggiare un po’ e nel mentre restarsene a osservare il mondo, quel che si vede e quel che non si vede, senza timore di essere chiamato e riconosciuto, come uno di quei personaggi nei racconti di Kafka che sognano di vivere in una tana e ricevere soltanto il cibo minimo necessario, di quando in quando affacciandosi sul mondo, per sognarne, quando viene la sera.

- Ho iniziato a fotografare di notte perché non avevo tempo di giorno. Il giorno mi stanca, tutto si svolge alla luce del sole, per questo è preciso e contato, sei sempre lì a fissare l’orologio e così lo mastichi il tempo, ti manca sempre e non puoi capire che sapore ha. La notte è diverso. Di giorno la luce serve a farti vedere le cose. Ma di giorno la luce non si vede. Se cerchi la luce devi andare di notte. È lì che appare, spesso fugge e si muove come un fantasma. Ogni immagine però è un racconto di fantasmi.

(Continua su “Quel che resta della luce” – fotografie di Achille Ascani, Scuola di Scrittura di Sarzano, 25-29 agosto 2010)