“Impagliato come un gatto”, così hanno fatto dire a Cossiga in un’intervista immaginaria, dopo la sua morte, mentre si trovava ancora nell’astanteria, prima dell’ingresso ufficiale nell’Oltre, in cui ha sempre creduto. Gli era ancora possibile intervenire, con il suo mitico “humour” sardo-inglese, sulla rassegna stampa, dove gli elogi da parte dei politici non si sono sprecati e gli stessi ex-brigatisti hanno riconosciuto in lui “un avversario leale”, che ha saputo capire il loro ruolo.
“Adesso sono tutti amici, ma chi credono di prendere per i fondelli?”. Si sono adeguati tutti alla tradizione popolare: “Dei morti si parla bene o non se ne parla!”. Non capita solo ai grandi della storia o della politica ma anche alla gente semplice, che non appare agli onori della cronaca. A pensarci bene, non è poi una cosa sbagliata!
Quando ci presenteremo al “giudizio finale” – prima o poi, che si voglia o no, dovremo rendere conto della nostra vita! – il profeta di Nazaret racconta che saremo giudicati sull’amore che abbiamo avuto nei confronti dei nostri fratelli, di chi era povero, malato, in carcere… Ricorderà il bene che abbiamo fatto, il resto sarà dimenticato. Questo vale per chi governa e per chi sta all’opposizione, per chi ha i soldi e chi a stento arriva alla fine del mese, per il vicino di casa o quello che incontri per caso in strada o allo stadio. E i gesti di cui parla la parabola del Vangelo, capitolo 25 di Matteo, sono concreti, non sono parole, promesse, tenendo presente che l’amore cristiano ha un’accezione molto ampia, che va dalla giustizia all’onestà al disinteresse alla gratuità all’impegno per gli altri, per chi vive in difficoltà, alla fiducia in Dio, presente in ogni persona: “Quello che fate al più piccolo dei fratelli lo fate a me!”. Nel giorno del Giudizio né salvati né condannati, credenti e non, sapranno quando e dove avevano da mangiare e da bere a Cristo o quando glielo avevano negato. In quel giorno, scriveva Pascal, “gli eletti ignoreranno le loro virtù e i reprobi le grandezze dei loro delitti”. Chi li salverà è l’Amore.
Purtroppo il Vangelo viene messo da parte in tempi di secolarizzazione dove troppe volte la morte è vissuta come uno spettacolo. Basti andare a certi “casi”, dove per giorni e giorni abbiamo subito interviste, commenti, assoluzioni e condanne popolari di innocentisti o colpevolisti, quasi per farci dimenticare drammi ben più gravi: le morti in guerre poco amate da tutti, quelle della fame e della miseria, di paesi colpiti da catastrofi naturali, ma che non rivestono alcuna importanza agli occhi del mondo occidentale.
La morte è una cosa seria: può essere uno spettacolo salutare, se si vive nella direzione giusta! Per un credente la misura è la preghiera, la partecipazione al dolore, la solidarietà e mai una caduta di stile, calpestando ogni forma di riserbo, di pudore. La morte è una “cosa sacra”: non va mai sconsacrata.