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Casina / La grande storia protagonista ai “Martedì letterari” del 3 agosto

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Ancora una serata di grandi ricercatori e grandi narratori ai Martedì letterari alla Casa Cantoniera organizzati dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Casina. Il 3 agosto va in scena una tra le più terribili pagine della nostra storia recente vista dal maggiore ricercatore e storico reggiano, Massimo Storchi, in collaborazione con l’avvocato Italo Rovali, presidente del Comitato dei famigliari delle vittime della strage di Cervarolo. Nell’arena all’aperto della Casa Cantoniera verrà infatti presentato “Il primo giorno d’inverno. Cervarolo, 20 marzo 1944. Una strage nazifascista dimenticata. Aliberti editore”. Gli autori saranno intervistati da Normanna Albertini, la scrittrice "montanara" che nei suoi romanzi ha fatto della storia, insieme forse alla teologia, la lampada per illuminare il presente.

E di forte attualità è certamente il nuovo libro dell’autore de "Il sangue dei vincitori"essendo in corso presso il tribunale militare di Verona, il processo ai dodici nazisti responsabili della strage, dimenticata per oltre 65 anni. Solo dopo il 1994, con l'apertura a Roma dell'Armadio della vergogna ove erano stati occultati - negli anni sessanta - i fascicoli relativi alle indagini compiute nell’immediato dopoguerra, il percorso di giustizia è stato riavviato con le indagini condotte dalla Procura Militare di La Spezia (P.M. dott.Marco De Paolis) che hanno portato al processo iniziato nel novembre 2009 presso il Tribunale Militare di Verona.

Le operazioni condotte dalle truppe tedesche con l'appoggio di reparti della Guardia Nazionale Repubblicana sull'Appennino reggiano-modenese nel marzo del 1944, nell'intento di distruggere le nascenti formazioni partigiane, investirono il 20 marzo Civago e Cervarolo con una preordinata manovra di rastrellamento. A Cervarolo vennero fucilate ventiquattro persone: uomini innocenti fra i diciassette e gli ottantaquattro anni, tra cui un paralitico e l'anziano parroco. Dopo aver depredato il paese, i tedeschi fecero allontanare le donne e mitragliarono gli uomini, quindi incendiarono le abitazioni. Fu una strage. Solo tre persone scamparono alla morte. “Una strage dimenticata” secondo il sottotitolo del libro ma non dagli abitanti della nostra montagna, non da chi oggi ha più di cinquant’anni ed è cresciuto con il doloroso racconto dei padri, non dagli studenti che ogni anno, in forme spesso teatrali, rinnovano il ricordo dei fatti e delle vittime, la condanna della violenza.

La serata darà spazio anche alla presentazione del romanzo “Disegnava aerei” di Annamaria Giustardi, edito da Teorema, che ha come protagonista un ragazzo di 16 anni, Osvaldo Notari, uno dei nove lavoratori delle Reggiane morti nell’eccidio del 28 luglio 1943. Per l’occasione Claudia Lugli leggerà alcune pagine del romanzo che su due piani di storia paralleli, racconta la storia di un ragazzo e la normalità delle sue aspirazioni di disegnatore alle Reggiane annientate dall’incontro con la grande Storia, di cui il protagonista resterà vittima o forse vittima dei singoli che spesso aggiungono zelo alla Storia.

Nel volume sono inseriti vari documenti originali delle Reggiane dell’epoca e provenienti da Istoreco: si tratta di una raccolta di denunce, arresti, delazioni, relazioni di sabotaggi e scioperi, deferimenti ai tribunali speciali, assai efficace per comprendere il clima di paura e di angoscia che regnava nella grande fabbrica. La pubblicazione del romanzo è stata supportata dallo Spi-Cgil di Reggio.
In caso di maltempo la serata si svolgerà al centro culturale di via Marconi.

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  1. Per Storchi nel libro “Il primo giorno d’inverno-Cervarolo, 20 marzo 1944 Una strage nazifascista dimenticata”, la fucilazione partigiana di sei prigionieri italo-tedeschi a Monterorsaro prima della rappresaglia è parte di uno “sconclusionato processo alla Resistenza” e di una “strumentalizzazione in chiave antipartigiana”. Premessa dalla connotazione tutta politica che consente di liquidare il crimine partigiano con una sola, semplice riga lasciando anonimi i nomi dei fucilati, tanto, scrive Storchi, non vi sarebbe “un documento ufficiale tedesco sull’accaduto” che provi un legame tra le due fucilazioni, aggiungendo anche che nei documenti tedeschi “non viene fatta menzione dell’uccisione di propri militari”. Ma è Storchi stesso che si smentisce clamorosamente nel momento in cui tra gli allegati del suo libro cita il “Rapporto del Colonnello Muhe” dove si legge che “2 uomini dello NSKK dell’avanguardia e 2 soldati della milizia furono catturati e fucilati dai ribelli”. Si può quindi negare che fucilare i prigionieri tedeschi influisce sulla rappresaglia nazista? Perché allora i nazisti inviano forze speciali nel reggiano? Per il Col. Muhe, responsabile della delle operazioni militari in territorio reggiano, esiste un “un grosso gruppo di bande di 120/150 uomini finora passato inosservato a Cerrè” e ci sono 12 soldati caduti prigionieri e “fucilati dai ribelli”. Dopo che il Ten. Riemann, che insegue i partigiani reduci dallo scontro di Cerrè, conclude la ricognizione passando per Monteorsaro, dove trova sulla neve i corpi dei prigionieri, i comandi di Corpo d’armata inviano una Compagnia della H. Goering. Il Capitano della H. Goering Heimann ha il quadro della situazione reggiana sempre dalla ricognizione Riemann, e “verificò che le bande si erano in gran parte disgregate (…) sospettò, come fu poi confermato che parte dei banditi dimorassero là spacciandosi come civili inoffensivi“. Saputo cosa accaduto a Cerrè e Monteorsaro l’ufficiale della Goering decide di massacrare “tutti gli uomini abili servizio militare”. Il gruppo italo-tedesco del tenente Riemann, composto da militi della GNR e da avieri tedeschi di stanza all’aereoporto di Reggio Emilia, si rifiuta di partecipare alla rappresaglia. Storchi si ferma al fatto che la “la milizia italiana indicò Cervarolo e Civago quali sedi permanenti delle bande”: per Storchi è la prova che i fascisti sono colpevoli rappresaglia, ma è il Capitano Heimann che personalmente la decide e la eseguono i tedeschi, dopo aver “dislocato i militi alla periferia esterna contro incursioni avversarie”. Già, dove sono i partigiani?
    Il libro tace, purtroppo, che i partigiani di Eros abbandonano i borghi senza difendere e salvare la popolazione che li aveva ospitati. Omesse le relazioni di Barbolini e di altri partigiani che accusano Eros di vigliaccheria a Cerrè e criticano sia le fucilazioni dei prigionieri a Monteorsaro che la fuga da Cervarolo: “Alle 10 di sera i tedeschi e i fascisti incendiarono il paese. Il commissario [Eros] preso dal panico pensò di andare a mettersi al sicuro verso C.d.E. (…)”. Nelle 300 pagine, Eros, Didimo Ferrari, quasi scompare: silenzio sulla partita politica per l’egemonia comunista in montagna che si giocò proprio in quella spirale di violenza; omessa la seconda fucilazione di prigionieri ordinata da Eros a Cervarolo nell’aprile 1945, durante un rastrellamento. Non si dice che Cerrè e Monteorsaro evitarono la rappresaglia grazie ad un ufficiale italiano, il parroco e un interprete. Perché ancora tante omissioni?
    Cervarolo non deve essere “strage nazifascista dimenticata”, come sottotitola Storchi, anzi esattamente il contrario; ma proprio per questo occorre, dopo 66 anni da quei tragici fatti, ricordare e dettagliare davvero tutto. Questo per quanto attiene al volume di Storchi.
    Credo tuttavia valga la pena di ripercorrere tutte le fasi che hanno portato alla strage di Cervarolo sottolinenado che la ricostruzione delle circostanze relative a questo terribile eccidio trova purtroppo ancora oggi resistenze e pregiudizi. L’attenzione, non solo storica, è rimasta esclusivamente puntata sui militari tedeschi e le eventuali complicità fasciste. Le responsabilità partigiane ed alleate sono state occultate e coperte dall’egemonia culturale di quella vulgata resistenziale divenuta egemone dal 25 aprile del 1945 fino ai nostri giorni. Dopo 66 anni il permettersi, anzi l’osare, una ricostruzione completa, esaustiva, analizzando tutti fatti e le concause più di quanto abbia fino ad ora fatto la storiografia ufficiale, comporta, l’accusa @Csic et simpliciter#C di revisionismo. Ma tant’è. Nel marzo 1944 furono gli Alleati, a fronte dei lavori di apprestamento della Linea Verde, a richiedere un aumento delle azioni partigiane nelle retrovie nemiche. Fino ad allora, in montagna, la Resistenza non aveva mai attaccato i tedeschi ed anche i presidi fascisti lamentavano perdite minime. Il Partito comunista, che non aveva ancora una propria formazione in montagna, inviò il Commissario politico Eros, Didimo Ferrari, e nel modenese Osvaldo Poppi. Per le nuove esigenze belliche viene costituita una grossa formazione con 3 distaccamenti, composta tra i 120 ed i 140 uomini, con l’ambizioso obiettivo di prendere Ligonchio, far saltare il ponte della Gatta, accerchiare Villa Minozzo: ai 70/80 armati di Barbolini, comandante modenese si aggiungono circa 70 uomini dei comunisti Eros e Riccardo Cocconi, Miro. A Cerrè Sologno i gruppi di Eros e Barbolini si scontrano con gli italo-tedeschi inviati in montagna a seguito dell’allarme provocato appunto dalla nuova strategia. Si tratta di soldati inesperti, avieri ed autisti dell’aeroporto e giovani volontari francesi. Lo scontro viene deciso dall’arrivo del distaccamento di ritorno dalla Gatta. Barbolini, ferito, nella sua relazione accusa Eros di aver parlato di sbandamento e che sua sorella, Norma Barbolini, lo accusò di vigliaccheria. Ma, preso il comando, con 22 prigionieri e le armi tedesche, Eros dirige su Cervarolo, già sede della banda Rossi, e nella tappa a Monterorsaro fucila 6 prigionieri che lascia sulla neve avanti il paese: gesto di inaudita gravità, diretto a scatenare repressione su cui far leva per spostare i montanari a favore della guerriglia. La salvezza di Monteorsaro va ascritta al Tenente Riemann dell’aviazione, che successivamente rifiuterà di partecipare ad azioni repressive, che si lascerà convincere da un militare della GNR, tal Brini, e da un abitante, Leo Di Simone, che i civili sono estranei all’eccidio dei prigionieri. La formazione partigiana arriva a Cervarolo la sera del 17 marzo, pernotta in Ca’ Giannicca, rimane tutto il giorno successiv, e prima dell’alba del 19 Eros convoca gli uomini e decide per lo sbandamento. Sempre secondo il comandante Barbolini ed altri, la decisione venne presa senza la giustificazione di un presunto accerchiamento. Anche Ermanno Gorrieri critica questa decisione e la mancanza di azioni diversive dirette almeno ad allontanare gli inseguitori dai centri abitati usati come santuari ribelli. Con gli abitanti rimarrà solo il Parroco Don Pigozzi, che subirà il martirio sull’aia insieme a 24 italiani. La rappresaglia è stata eseguita da una compagnia del reparto esplorante della Divisione Hermann Goering ed a decidere il sanguinoso tributo fu l’ordine del Capitano Heimann. Crimine e criminale di guerra. Le autorità della Rsi reggiane rimasero succubi dell’iniziativa nazista ed i militi fascisti presenti in zona ebbero un ruolo passivo, ma ci furono eccezioni: 2 agenti Rsi, Rosina Esposti Mazzetti ed Umberto Adami, sono uccisi dai militari della H. Goering, perché insistono a indicare altri luoghi come rifugi partigiani. Il Militarkommandantur di Bagni di Lucca riferisce che sono state uccise “persone innocenti, tra le quali 7 fascisti e informatori particolarmente fidati”. A Riparotonda è l’ufficiale medico Gnr Pietro Azzolini ad intervenire per salvare l’abitato da rappresaglie e poi si farà tramite fra il Vescovo e Marconi per portare aiuto agli abitanti (Azzolini verrà assassinato a giugno dai partigiani). A metà aprile 1945, in presenza di una puntata tedesca su Ligonchio, Eros autorizzerà il Commissario Oscar a fucilare sopra Cervarolo 19 prigionieri detenuti nel carcere partigiano. Il comportamento di Eros non deve essere interpretato come una personalità deviata e crudele, ma come l’applicazione sistematica di tattiche e strategie dirette ad egemonizzare a favore del PC la guerriglia, appoggiandosi proprio sulle opposte logiche di sterminio naziste. Infatti, nel modenese il PC utilizza in modo analogo il Commissario politico Osvaldo Poppi, il quale, affiancandosi al ribelle Nello Pini, utilizza la rappresaglia nazista di Monchio, che precede di pochi giorni Cervarolo, per scatenare una strage partigiana a Cerredolo di Toano, che trasformerà l’ammasso del grano in un mattatoio.

    (Paolo Comastri)