Riceviamo e pubblichiamo.
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Il primo luglio scorso è nata Iren, terza, per fatturato, tra le grandi “multiutility” italiane. La fusione è arrivata dopo oltre un anno di discussioni e trattative sui temi del concambio, della sede legale, dei patti parasociali, dell’organizzazione della holding e delle società operative a livello territoriale. Lunghe ed estenuanti trattative hanno riguardato la “corporate governance” a partire dalla composizione del Consiglio di amministrazione, del Comitato esecutivo, fino alla composizione dei Cda delle società territoriali di primo livello che si occuperanno dei segmenti nei quali opererà la nuova multiutility (energia, acqua, rifiuti, ambiente, ecc).
Non c’è dubbio che, oggi, l’ex perimetro aziendale di Enìa ottiene un risultato importante sotto il profilo del peso specifico, del ruolo e della visibilità negli organi di governo della nuova società. Questo è un fatto importante, ma non è un risultato per sempre. Se l’orizzonte della fusione era, ed è, un obiettivo importante per raggiungere un dimensionamento tale da offrire garanzie per mantenere adeguati livelli di competitività delle società preesistenti, allora la conclusione dell’iter di fusione va salutato come fatto positivo. Tuttavia la creazione e la quotazione in borsa della nuova società apre nuovi scenari e problemi inediti al territorio ed agli enti locali della provincia di Reggio Emilia.
In questa provincia siamo stati abituati per decenni ad affrontare i temi dei servizi dell’erogazione dell’acqua, dello smaltimento dei rifiuti e della fornitura dell’energia sotto il profilo delle pari opportunità tra i territori; per contro, il tema degli equilibri di bilancio ha rivestito un significato importante nella misura in cui investimenti e tariffe non mettevano in discussione principi di solidarietà perequativa.
Ora le cose sono cambiate e cambieranno sempre di più. Grandi azionisti di Iren sono diventati importanti istituti bancari e fondi di investimento. L’orizzonte, il “core business” di questi investitori, sarà il valore del dividendo annuale, per questi nostri nuovi soci, gli investimenti avranno senso soprattutto dove genereranno profitto. C’è il rischio concreto che parole quali pari dignità, perequazione, solidarietà tra territori possano essere viste con fastidio.
Persino il rapporto tra i soci pubblici è cambiato. Decine e decine di comuni, soci di Iren, detengono quote azionarie risibili e quasi insignificanti sotto il mero profilo del valore economico della partecipazione. I grandi comuni metropolitani e capoluogo di provincia invece detengono quote di capitale significative. Quote che oggi garantiscono la maggioranza assoluta. Questa dote, la maggioranza del capitale di Iren, può essere usata in molti modi. Se prevarrà la logica di massimizzare il risultato economico e di interpretare la nuova multiutility come un raffinato e complicato strumento per generare reddito a favore dei soci (in questo caso i grandi comuni) allora ci potrà essere un rischio concreto di marginalizzare le periferie, di isolare i “piu piccoli”, di introdurre nuovi conflitti che si baseranno sugli egoismi territoriali e su leghismi vecchi e nuovi. I soci pubblici che contano di Iren dovranno gestire una contraddizione connaturata nella nuova società. Conterà più il ruolo del comune azionista o il ruolo del comune che deve tutelare gli interessi dei propri cittadini, che poi sono anche i clienti dell’azienda?
Per questi motivi è fondamentale poter disporre di un quadro di riferimento normativo che affidi agli ATO funzioni e compiti chiari ed autorevoli. Nella situazione attuale gli ATO, che devono regolare il mercato dell’acqua e dei rifiuti, rischiano di essere dei nani che devono dettare l’agenda ad aziende di dimensioni colossali. Nei prossimi anni, a mio avviso, dovremo difendere con le unghie e con i denti i risultati ottenuti: la maggioranza del capitale sociale in mano ai comuni, i patti parasociali (che scadranno...), un equilibrio difficile tra dimensione globale (nell’interesse del mercato) e dimensione locale (nell’interesse degli utenti) rimangono temi aperti ed affatto scontati.
Oggi il tema non è quello di rimpiangere il passato o di rinnegare le scelte fatte, ma di adeguare il ruolo degli azionisti pubblici alle sfide del presente. In una parola dovremo essere protagonisti di una stagione che, nella trasformazione “globale” delle vecchie società municipalizzate, non disperda ma valorizzi le eccellenze che sono state costruite a livello locale. Ed infine credo che dovremmo offrire una missione gestionale chiara e non equivoca ai nostri rappresentanti nei CDA della holding (Iren) e delle società di primo livello. All’indomani dell’atto di fusione un quotidiano locale titolava “Oggi in borsa è il gran giorno di Iren, ecco cosa cambia per gli azionisti”. In realtà penso che il compito di amministratori e forze politiche sia quello di garantire che Iren si riveli un affare anche e soprattutto per i cittadini.
(Alessandro Govi, coordinatore Pd zona montana)
Troppo tardi
La scorsa settimana, durante la seduta del Consiglio dell’Unione dei comuni del crinale, le parole del consigliere Baisi, assessore del comune di Ramiseto, riprese poi dal presidente Govi, in merito alla fusione Agac-Enia-Iride sono state pesanti: “Scelta sbagliata, siamo stati costretti”. Ho ringraziato per l’onestà, ma ho anche affermato che il sottoscritto, dai banchi dell’opposizione, votò contro all’avvio di tale manovra. Ora, a distanza di qualche anno, guarda un po’ che la minoranza aveva ragione. Ho anche chiesto ma chi vi ha costretto a votare tale operazione? Non che il diniego del Comune di Busana ed altri del crinale avrebbero compromesso la “decisione del potere”, ma sarebbe stato un segnale importante. MEDITATE, E CONTINUATE COSI’, TANTO BASTA ESSERE SCHIERATI (su una certa sponda) E TUTTO VA BENE. Al sottoscritto NO.
Cordialmente.
(Fabio Leoncelli, consigliere di minoranza a Busana)
Lacrime di coccodrillo
I comuni montani, al pari degli altri piccoli comuni della nostra provincia, hanno già da tempo venduto molte delle loro quote possedute in Enia al fine di fare cassa. Gli incassi sono stati buoni anche perchè le azioni nella quasi totalità sono state vendute a valori di quotazione di borsa e cioè quando le azioni Enìa valevano circa 12 € ad azione (dopo la fusione le nuove azione quotano circa € 1,275). E’ stato un buon guadagno. Tuttavia, come spesso accade, vale il vecchio detto “vendi, guadagna e pentiti”, ma ora non si può fare come fanno i coccodrilli che dopo essersi rimpinzati lacrimano… Risulta ai più la segnalazione dell’ex sindaco di Reggio Emilia, Antonella Spaggiari, sui rischi che la cessione delle quote avrebbe comportato per i nostri comuni, sopratutto i più piccoli, che si identificano con quelli montani, ma come spesso accade l’esigenza di fare cassa ha avuto il sopravvento sull’esigenza di salvaguardare il patrimonio pubblico per il futuro. A Roma ci si lamentava della privatizzazione dell’acqua e a Reggio Emilia si è venduto l’Enìa. Sarebbe stato meglio che il coordinatore del Pd montano, nonchè sindaco di Busana (che ha, presumibilmente, venduto le azioni dell’Enìa), non le avesse vendute ma che le considerazioni esposte nell’articolo le avesse “esternate” prima della vendita. Apprezzo e vorrei incoraggiare le piccole comunità che hanno preservato, con grande impegno, i loro acquedotti. Tenete duro.
Ai politici chiederei un po’ di coerenza.
Cordialmente.
(C.V.)
Ad Iren, sovrana Dea
Sarà veramente la Dea sovrana del massacro economico? Potremo ancora prendere un po’ d’acqua ad una fontanella o dovremo munirci di una tessera a pagamento e da vidimare mensilmente? Chi nulla sa di sigle e politichese comprende solo una cosa. Pagare, pagare, pagare. A quando la tassa per respirare?
(GS)
Che si andasse a planare nella situazione che si presenta oggi era facilmente prevedibile. Anche ad un’osservazione superficiale. Fin dall’inizio della storia.
Quindi diciamo pure che la si è voluta far andare così. Inutile piangere, ora.
Vero che Busana, di per sè, poco avrebbe potuto incidere se nelle sedi che contano la decisione era già presa. Ma il dire di no ha sempre un suo valore, quantomeno di testimonianza e buona fede. Elementi, questi ultimi, che avrebbero permesso oggi di leggere sotto tutt’altra luce le presenti dichiarazioni del sindaco Govi.
(cf)
Credo ci sia un errore di fondo nelle osservazioni di Govi e nei commenti precedenti. Le leggi vigenti prevedono che la gestione dei servizi acqua, rifiuti, gas ecc. siano messi a gara. Enìa/Iren potrebbe essere chiamata a costruire il dividendo fuori da Reggio Emilia. Il vero nodo (sfiorato da Govi) è chi detta le regole e chi effettuerà i controlli. I comuni sono sovrani sul proprio territorio ed attraverso Provincia e Regione devono costruire le tutele per i cittadini.
(mc)