Riceviamo dalla scrittrice Normanna Albertini e pubblichiamo.
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Vorrei puntualizzare un concetto sul mio precedente commento all’articolo di Maggiani, perché credo non sia stato capito. Ho detto che la prima impressione è stata di fastidio, ma che, attraverso la discussione con un amico, ho fatto dell’articolo un’altra lettura. Ora: come scrittore Maggiani può piacere o meno, questione di gusti, e qui non si discutono né le sue indubbie capacità, né la sua integrità di uomo, si discute il registro comunicativo dell’articolo. Che ha un impatto sicuramente fastidioso, venato di uno snobismo intellettuale che, sono convinta, sia più nella nostra lettura che non nella volontà di Maggiani. Certo che le sue parole (l’incipit soprattutto) faticano a veicolare il contenuto positivo. E il contenuto, mi pare è più o meno quello del seguente articolo, scritto a proposito di Barbiana (altro paesino di vacche e vaccari…) dal giornalista Raffaele Luise. Ve lo propongo.
"Se penso che molti di noi, grazie a quella minuscola scuola di montagna -ha scritto Michele Gesualdi, uno degli allievi del priore di Barbiana- hanno saputo scavalcare il fosso dei "vinti", allora mi dico che già questo è grandioso e sufficiente a coronare le sue scelte e il suo insegnamento".
Certo, oggi il paesaggio sociale è profondamente cambiato: gli operai sono praticamente scomparsi e la classe piccolo e medio borghese hanno preso il loro posto al fondo della scala sociale. Sono nate le nuove povertà, quelle dei giovani, dei vecchi, delle donne sole o dei papà divorziati, povertà più socio-culturali che esclusivamente di tipo economico. Ma soprattutto è mutata radicalmente la realtà scolastica: la scuola, pensata e periodicamente "riformata" come un'azienda che si limita a consegnare agli studenti le nozioni "tecniche" strettamente necessarie a svolgere una professione, è diventata sempre più irrilevante e non ha quasi più alcuna influenza o riscontro nel panorama culturale generale. Alla scuola è demandata da classi dirigenti di qualsiasi schieramento politico (che giustamente il nuovo Documento dei Vescovi sul Mezzogiorno accusa di essere del tutto incompetenti, se non collusi con il mondo della corruzione e delle mafie) la funzione di delineare carriere. E cioè percorsi assolutamente individuali finalizzati esclusivamente all'arricchimento o alla "salvezza" di pochi nel contesto del dramma collettivo della precarietà che rischia di diventare una condanna a vita per i giovani e non solo.
Ma - come scriveva don Milani in "Esperienze pastorali" - "si illudono i teorici e i persuasori più o meno occulti di questa civiltà mercantilistica di poter perseguire l'eguaglianza dei ceti sociali livellando i gusti e assicurando anche ai lavoratori larghe possibilità di fruizione dei beni di consumo. Costoro coltivano il mito dell’éfficacia prima di cercare la giustizia". E si illudono - aggiungiamo noi- le nostre classe dirigenti e la nostra miope casta politica se pensano che possa alla fine funzionare una scuola che perda la sua vocazione alla formazione integrale delle persone, che smetta di perseguire la visione di un nuovo umanesimo e la formazione di una coscienza civile e sociale adeguata alle nuove potenti sfide che abbiamo davanti. E queste sfide sono: la creazione di società autenticamente multiculturali, multietniche e multi religiose; la formazione di una coscienza democratica capace di opporsi alle preoccupanti derive della democrazia, la necessità di una nuova spiritualità che sappia formare credenti in grado di mettere finalmente in pratica quell'agenda del mondo nuovo pensata a Basilea nel 1989 dalle chiese cristiane d'Europa, che si riassume in "Pace, giustizia e salvaguardia del creato".
Ma per attrezzarsi a mettere in pratica questo programma tanto gigantesco quanto necessario, c'è oggi bisogno di più cultura, di più scuola, in una parola di più don Milani. Che scriveva: "La povertà dei poveri non si misura a pane o casa o caldo, si misura nel grado di cultura e sulla azione sociale". Don Milani cioè, intuì che ai poveri, per riscattarsi e per essere "uguali" mancava la parola -lui parlava di settecento parole che mancano- mancava la cultura. E, non vi pare, che si sia allargata questa povertà della parola, che si sia dilatata questa mancanza di cultura nel nostro panorama sociale e culturale, laddove i telefonini e i nuovi linguaggi informatici ed elettronici hanno ridotto gravemente la ricchezza di vocabolario, di sintassi, di fraseggio dei ragazzi (molti dei quali non sanno più articolare frasi complesse( e complete!), e laddove la stessa comunicazione da parte dei mass media e delle stesse agenzie educa a quella della pubblicità. Al punto che noi, da cittadini andiamo sempre più trasformandoci in consumatori! E allora capite quanto sia attuale e, ripeto, ancora oggi profetico, il grido e la testarda passione di don Milani. Oggi bisogna pensare ancora più in grande la liberazione di masse di poveri, di oppressi e di emarginati divenute, a tutte le latitudini, più numerose. Partendo ognuno dal luogo dove vive. Come ci ha insegnato la minuscola e arretrata Barbiana del grandissimo Priore.
(Raffaele Luise, giornalista vaticanista – Rivista “In dialogo, n° 88, giugno 2010)
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