“Sei un mantenuto! Se non studi, tu appartieni a questa categoria!”. Non si è offeso il mio interlocutore! Non si sentiva l’unico! Secondo il rapporto Istat del 2009 quelli che non fanno nulla, “fannulloni” secondo il vocabolario italiano, sono oltre due milioni. Si chiamano, per non offenderli, con un termine inglese, Neet (Non in education, eployement or training). E’ una cifra drammatica di una “non vita attiva”, che ci pone al primo posto in Europa, un fenomeno denunciato per la prima volta in Inghilterra e che oggi è pure espressione di molti giovani del Giappone, che non escono più da casa, rinchiusi nelle loro camerette con il pc, la loro musica e le loro sostanze.
Se l’Istat nel suo rapporto presentato al Parlamento ci preoccupa, non meno preoccupazioni desta l’allarme della Cei, dei vescovi italiani, che parlano di suicidio demografico! L’”L’Italia agli italiani!”. Fra venti, cinquant’anni, quale Italia verrà consegnata agli italiani? Seguendo questa tendenza, sarà l’Italia multietnica che oggi stentiamo ad accettare, un’Italia che avrà più anziani che giovani perché di bimbi non ne nascono, non si vogliono, costano troppo!
E i giovani? Le statistiche sono pessimiste sul grado di di capacità che hanno nell’affrontare un mondo sempre più complesso, informatico. Dice sempre il Rapporto Istat che “1,7 milioni di giovani tra i 15 e i 29 anni dichiarano di non aver usato il PC nei dodici mesi precedenti l’intervista… La quota di chi non ha letto un libro nel tempo libero sono il 43%”. Senza istruzione rischiano l’esclusione sociale, ma senza speranze di lavoro, di avere una casa propria, di costruire una propria famiglia, quale rischio avranno? Avremo?
Tra le pieghe della politica italiana non si intravvede una forte attenzione ai problemi dei giovani e delle famiglie: forse solo a parole o a proposte di riforme, che non li ha visti protagonisti, ma queste cifre devono far pensare anche i politici oltre che i vescovi italiani, che richiamano decisamente il dramma dell’emergenza educativa e dei problemi del lavoro.
Le famiglie di chi ha in casa questi giovani dai 18 ai 29 anni i problemi se li stanno già ponendo. E’ un lungo elenco: averli in casa dopo l’abbandono scolastico, senza un posto di lavoro sia pure precario, rispondere alle loro esigenze nel tempo libero, aiutarli ad avere stima di sé combattendo la depressione e la noia quotidiana di chi non si sente utile a nessuno, tenerli lontani dalle droghe… Questi forse sono motivi che alimentano il suicidio demografico, certo non è una scelta di speranza. E’ quindi indispensabile sedersi a riflettere e a fare scelte concrete, se amiamo davvero la gioventù!