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Si avvicina il tempo dei campi estivi

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Si stanno concludendo le attività dell’anno educativo in oratorio e si avvicina il tempo dei campi estivi. La diocesi (di Milano, ndr) è tutta in fermento, tutta “sotto sopra”. Il Cardinale Dionigi ha incontrato migliaia di animatori in Piazza Duomo, in ogni decanato si stanno tenendo vari corsi per preparare nel migliore dei modi un’attività, preziosa agli occhi dei genitori, non sempre delle istituzioni, che sono di “braccino corto” quando devono sostenere economicamente la vita dei campi estivi.

Rileggevo in questi giorni una lettera sul come stare con i ragazzi che il servo di Dio Attilio Giordani, educatore cresciuto in oratorio a S. Agostino, aveva scritto alla futura moglie Noemi, a quei tempi responsabile in oratorio dei fanciulli cattolici. Ha il sapore educativo di don Bosco, delle belle pagine del Beato don Gnocchi ai giovani dell’Azione Cattolica, che nel 1964, per le mani del cardinal Colombo, aveva premiato Attilio come “il miglior delegato aspiranti d’Italia”. Rileggendola, la sento attuale ancora oggi e penso sia “un dono” utile ai tanti giovani e adulti, che hanno scelto di stare con i ragazzi in oratorio. E’ stata scritta nel 1943, per cui il linguaggio è quello di oltre sessant’anni fa, ma la sostanza rimane buona:

«Signorina Noemi… bisogna mettersi in condizione di essere ragazzi con i ragazzi, soddisfacendo entusiasticamente la loro tendenza di correre, saltare... Guai all’educatore che perde le staffe! Chi si lascia assalire dall’ira ottiene il silenzio del minuto e non di più; anzi, lascia nel ragazzo l’impressione e l’espressione 'el ga ‘l nervus!'”.

Le parzialità sono nocive assai; generalmente gustano il privilegiato viziandolo e provocando nei ragazzi - sempre osservatori feroci - mormorazioni verso l’educatore. Se ci sono delle preferenze, siano per i più “cattivi”, per i peggiori… Ma ogni casa sia fatta “cum grano salis”. Nei capi ho sempre cercato di inculcare il motto “servizio”; non il cercare ma il dare! Ottimo fu don Bosco: tutti i ragazzi si credevano i preferiti da lui.

E’ utile radicare nei ragazzi l’idea che il superiore ha fiducia di lui. Mi è sempre piaciuto trattare gli aspiranti e soprattutto i capi, da ometti e concludere l’assegnazione di un incarico con le parole: “Mi fido di te!”. Se è dovere dell’educatore correggere l’educando, è anche dovere, o meglio, convenienza, coronare gli sforzi o premiare i meriti con parole di lode e di incoraggiamento.

Compito dell’educatore cristiano è di indirizzare, anche secondo questa forma, il soggetto all’amore verso Cristo e a lavorare con Cristo: “Bravo, il Signore è contento di te!”; “Bene, sempre per amore di Gesù!”; “Sei stato un vero e forte soldato di Cristo”.

Non promettere mai ciò che si sa di non potere mai mantenere, ad evitare di perder la stima del ragazzo. E neppure promettere, anche mantenendo, per ottenere. “Se tu mi studi il catechismo, ti do una lira”; “Se vai a chiamare Pino, ti do una caramella!”. Anche qui, sobria educazione cristiana è, piuttosto, premiare poi, senza promettere prima. Quando mi si presentavano ragazzi per iscriversi agli aspiranti, per evitare che lo facessero allettati dai canti e dai giochi e dalle passeggiate, li prevenivo parlando loro dei doveri e della gioia di servire Cristo.

Dolcezza non disgiunta da fermezza devono essere doti indispensabili per gli educatori. La sana allegria e giocondità in ogni cosa, anche nei doveri, forma un ambiente ideale. E tu sai la mia spiccata preferenza per la vita all’aperto, lontana da tavolini e bigliardi, propagatrice di più sana allegria e spirito sano (questo, si capisce, per la parte ricreativa). Questa forma ricreativa è anche più adatta per venire a conoscenza dei ragazzi, combattere le forme chiuse e il formarsi di compagnie pericolose. La riuscita nei giochi sta in modo speciale nell’ascendente e nell’entusiasmo che in essi suscita lì educatore: sono con te, costano sudori, forza di muscoli e di polmoni…

Non fungere da poliziotti; controllare, osservare, specialmente quelli che stanno per battere la cattiva strada, senza dare loro nell’occhio… pregare per loro, legarli con incarichi, lavori. Più un soggetto è bambino, più vive nel mondo dei perché; ottimo il sapere sempre rispondere, adeguando la risposta all’età e alla mentalità del ragazzo. Io, purtroppo, ne ho sempre saputo meno dei miei aspiranti”.

Attilio aveva trent’anni, da ventidue era stato sotto le armi, aveva fatto della guerra ed anche da militare, dov’era stato comandato, aveva fondato oratori, animato l’Azione cattolica. In questa lettera alla fidanzata, ha condensato la sua esperienza educativa, cresciuta sempre più negli anni negli anni fino alla morte tra i poveri in Mato Grosso, che ha concluso la sua splendida vita di educatore cristiano, profondamente uomo.