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La polemica / “Non solo Cervarolo”. La risposta di Antonella Telani

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Riceviamo e pubblichiamo.

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Già da diversi mesi era apparso evidente che la barra conduttrice delle fasi del processo in atto presso il Tribunale militare di Verona, nei confronti degli ufficiali rei, al comando di un certo Fbartwigt, uomo sanguinario venuto dalla Polonia, della strage di Cervarolo del 20 marzo 1944, si sarebbe più che sollecitamente diretta, una volta ottenuta la sentenza di condanna, verso la parte più sostanziale, quella del risarcimento economico.

Puntualmente, con un crescendo di scarsa plausibile platealità, tutto questo si è verificato; con la disanima processuale in atto, relativa ad ottenere la certificazione di colpevolezza per i malcapitati ufficiali tedeschi in decrepita età avanzata ed anche passati ad altra vita, come rapido indispensabile preliminare per giungere diritti all’obiettivo della ripartita economica a carico, men che meno, se tutto filasse secondo gli intenti dei legali, coinvolti a sostenere lo stato di accusa e nel contempo i diritti dei parenti delle vittime dell’eccidio, a carico dello Stato tedesco della Sig.ra Merkel, da ritenersi responsabile per l’identità di “militari tedeschi” degli ufficiali incriminati.

Nel contesto si inserisce un aspetto che potrebbe diventare preoccupante, quella della decisione del Comune di Villa Minozzo di costituirsi parte civile, assunta, si può ipotizzare, senza sufficienti spazi di riflessione decisionale, anche se, questo almeno si spera, suffragata da una deliberazione comunale. Una decisione molto opinabile, frettolosa, che tra l’altro ha avuto anche il torto di un vuoto di memoria storica.

Un accadimento funesto, non meno terrificante di quanto avvenuto a Cervarolo, avvenne nei primi giorni dell’agosto del ’44: l’eccidio del sagrato di Minozzo con complessive quattordici vittime con il prologo della uccisione a mezzo di orrende sevizie, il 1° agosto, di Osvaldo Caselli.

La deduzione conseguente per una richiesta anche per i parenti discendenti diretti di queste vittime civili di una qualche forma di risarcimento sarebbe quindi, se uno condividesse l’atteggiamento di chi amministra il Comune, appropriato, perché sempre di militari tedeschi colpevoli si tratta, al di là della fortuita precisa identificazione di nomee cognome potuta emergere dall’origine della ricerca dei responsabili della strage di Cervarolo da parte del Tribunale militare di La Spezia; tutto questo potrebbe addirittura servire come cassa di risonanza per altre situazioni di eccidi verificatesi in località diverse.

Sul gonfalone comunale appare la decorazione di medaglia d’argento al valore militare proprio consequenziale al contributo doloroso di vittime della frazione di Cervarolo.

Cercare allora ancora altro e di più, dopo tanto morale riconoscimento, ritengo sia a sessantasei anni dai tragici eventi cosa poco rilevante in anni di mutati rapporti tra nazione e nazione.

Non vengono forse ospitati nella struttura casa vacanze della Parrocchia di Minozzo, strettamente attigua al sagrato dell’eccidio, ragazzi-studenti tedeschi per una iniziativa positiva di interscambio culturale?

Da una parte si attivano momenti di amicizia culturale con giovani tedeschi, dall’altra si cerca ad ogni costo la colpevolizzazione di ufficiali tedeschi, molti in età avanzata o deceduti, con una loro penosa testimonianza o dei loro familiari, al fine ultimo di ottenere una giustizia soprattutto economica.

In mezzo a tanta contraddizione si dimentica troppo facilmente il concetto di perdono come “atto di umanità e generosità che riduce all’annullamento di qualsiasi desiderio di vendetta, rivalsa o punizione”.

Se anche ostentatamente ci fosse stata da parte di abitanti o comitato di abitanti di Cervarolo una necessità di ottenere ulteriori momenti di postuma giustizia, questa stessa la si sarebbe potuta ottenere in tempi, modi meno eclatanti, più amichevoli che, questo sì, anche l’Amministrazione comunale, unitamente ai cittadini interessati, avrebbe dovuto vagliare.

Decisamente considero del tutto inopportuna la decisione dell’associazione partigiana Anpi di costituirsi parte civile. Una associazione che raduna, a causa di anagrafe, solo una piccola minoranza di veterani della guerra di Liberazione, ed una schiacciante maggioranza di iscritti che partigiani non furono mai, perché sono molto giovani e pertanto solo informati sui fatti della Resistenza, perché è stato scritto “amano la Costituzione”, non esprime a questi stessi giovani un ottimale metodo educativo costituendosi parte civile nei confronti di malcapitati o deceduti ufficiali o loro discendenti o addirittura dello Stato tedesco.

A questo punto in cui è giunto il dibattimento processuale, c’è soprattutto da augurarsi che la volontà dei legali dei familiari delle vittime dell’eccidio di Cervarolo di perseguire il riconoscimento di responsabilità dello Stato tedesco non venga accolta; in caso contrario, anche direttamente o indirettamente, la posizione di “parte civile” nella vicenda processuale del sindaco Fiocchi, in quanto anche funzionario di governo con dipendenza amministrativa dal prefetto e dal ministro degli interni, potrebbe assumere contorni preoccupanti dagli sbocchi imprevedibili.

Se l’eccidio dell’aia di Cervarolo fu “orribile”, come ebbe a definirlo Umberto Monti, parimenti triste e penosa appare tutta la vicenda processuale in atto presso il Tribunale di Verona, e di più molto amara è la constatazione come da parte di molti sia mancata in questi ultimi anni l’esortazione ad una maggiore riflessione.

(Giuliano Corsi)

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La risposta di Antonella Telani

Vorrei rispondere al signor Giuliano Corsi in merito al "perdono" che dovrebbero ricevere i nazisti (e i fascisti che erano con loro), colpevoli di avere trucidato donne, uomini, bambini innocenti e persino il parroco di Cervarolo, durante una guerra tanto feroce che diventò persino mondiale. A me sembra che il perdono questi carnefici lo abbiano già avuto: hanno potuto vivere allegramente per altri 66 anni indisturbati, godendo di libertà e protezione in ogni parte del mondo. Milioni di persone sono state torturate, uccise, seviziate e ora queste vittime non hanno neanche più il diritto di chiedere giustizia? Sanno benissimo che questi vegliardi non andranno neppure in carcere e, stia tranquillo, non pagheranno proprio niente! E non credo che sia un accanimento, dal momento che ci sono ancora 692 stragi impunite. Forse l'unico che pensa al risvolto economico della faccenda è solo Lei: ha paura che non vengano più in vacanza i ragazzi tedeschi a Villa? Le ricordo che i tedeschi, intelligentemente, hanno ammesso la strage di Onna e si sono offerti ugualmente di ricostruirla dopo il terremoto dell'Abruzzo. E, per finire, può anche darsi che il Comune di Villa Minozzo possa perdere qualche introito in turismo, ma ci guadagnerà senz'altro in dignità e rispetto dei principi morali umani. E non si permetta più di nominare o sminuire l'Anpi. Se non ne comprende il significato chieda pure: glielo spiegheremo con molta, molta pazienza.
Ringraziando, porgo cordiali saluti.

(Antonella Telani, figlia di un partigiano torturato e "stirato" - se sa cosa vuol dire - per dare la libertà al suo popolo e... anche a Lei)

2 COMMENTS

  1. Risposta ad Antonella Telani
    Considero la Sua “risposta” davvero zeppa di inopportuna contrarietà astiosa e di molti fraintendimenti al contenuto del mio intervento rispettoso del principio di libertà di espressione nel contesto di una dialettica democratica che può prevedere diversità di opinioni ma che non si può spingere ad affermazioni “minacciose” del genere: “E non si permetta più di nominare o sminuire l’ANPI”, che veramente cozza con il principio di libertà di espressione sopra citato. Sono comunque dispiaciuto per quanto è successo a Suo padre; credo solo opportuno, ma senza dare eccessivo peso, metterLa a conoscenza che anche la mia famiglia ha subito una triste vicenda di notevole limitazione di libertà, che non mi soffermo a descrivere, da parte di un gruppo di fantomatici partigiani, nell’intorno dell’evento di Liberazione.
    Con questo La invito a rileggere il contenuto del mio intervento con maggiore calma e riflessione.

    (Giuliano Corsi)