L’undici aprile del 1987 moriva Primo Levi. Lo scrittore di origini ebree conosciuto in tutto il mondo aveva vissuto in prima persona la terribile e devastante esperienza dei lager. Era salito sul trasporto che lo condusse ad Auschwitz il 22 febbraio 1944, dove venne registrato con il numero 174517. Era partito dal campo di Fossoli, nel modenese, dove era internato. Qui la storia si intreccia con storie di deportazione locale, come quella degli ebrei partiti presenti in quei giorni a Castelnovo ne’ Monti. Dallo stesso campo di Fossoli erano infatti partiti soltanto tre giorni prima gli ebrei libici prelevati nel capoluogo montano dai fascisti della Guardia nazionale repubblicana (repubblichina) l’8 dicembre 1943. Il dottor Pasquale Marconi, allora commissario prefettizio del paese, si oppose con ogni mezzo, ma inutilmente. Si precipitò in piazza dove li stavano caricando, protestò violentemente, abbracciò e baciò tutti gli ebrei in partenza. Per questa sua opposizione egli venne destituito dalla carica con la motivazione “di atteggiamento inopportuno nei riguardi degli ebrei" (dal “Solco fascista” del 14 dicembre 1943).
Erano in maggioranza vecchi, donne e bambini e una donna incinta, Giulia Rubin, che partorirà il suo sesto figlio all’ospedale di Carpi. Verranno entrambi deportati a maggio. I libici, cittadini inglesi, così come gli ebrei di nazionalità neutrale, britannica, americana o di paesi non occupati da tedeschi, vennero destinati a Bergen Belsen, in attesa di decisioni. Verranno poi scambiati con prigionieri di guerra e liberati nel novembre del ’44. Primo Levi venne liberato ad Auschwitz nel 1945 dall’Armata rossa. Dei 650 ebrei partiti con il suo trasporto da Fossoli erano rimasti in venti.
L’orrore di Auschwitz l’aveva segnato per sempre. Rientrato in Italia scrisse. Se questo è un uomo è la sua opera di denuncia, dove raccontò l’orrore vissuto. Ci furono poi altri libri e anche premi prestigiosi. Ma Se questo è un uomo rimarrà il suo testamento. L’esperienza devastante dei lager l’aveva allontanato da ogni fede, tanto da portarlo a scrivere in appendice al libro: “C’è Auschwitz, quindi non c’è Dio”.
Ricordare Primo Levi, la sua sofferenza, la sua denuncia, insieme alla sofferenza e al sacrificio di tutti i deportati può essere importante perché non ci siano mai più Auschwitz.
(Le parti di storia locale sono di Cleonice Pignedoli, ricercatrice storica della nostra montagna)
Ho appena letto il libro, una testimonianza cruda e atroce, ma come vengono raccontati i fatti sembra meno drammatica. Primo Levi nonostante le atrocità disumane subite è riuscito, con il suo modo semplice di raccontare, a fare di questa testimonianza un momento di vita quasi “accettabile”.
Un grande uomo con una “grande” storia.
(Alberto Boni)