Una platea attenta – composta di professionisti (soprattutto architetti, compreso il presidente provinciale dell’ordine), amministratori (anche il presidente del Parco nazionale, che si è anzi attivato per l’organizzazione della serata), cittadini, che hanno riempito la sala – ha determinato l’indubbia riuscita di un incontro che ha visto al centro dell’esposizione di tre professioniste della nostra montagna, l’Appennino reggiano. Per la precisione: la sua valorizzazione.
Silvia Costetti, Michela Costi e Chiara Dazzi hanno presentato una serie di loro proposte facendole precedere – passandosi di tanto in tanto il microfono – da una prolusione con cui hanno inteso tratteggiare i caratteri attuali del nostro amato spazio di vita, che vorremmo tutti possibilmente migliore.
Un incontro che, se si vuole, è uscito un po’ dai canoni soliti. Hanno parlato tre giovani ragazze forti della posizione assunta in virtù dei loro studi tecnico-estetici e anche del loro viaggiare per l’Italia e anche fuori – dove hanno osservato, fotografato, rilevato materiale utile al confronto. Ma forti soprattutto – vorremmo dire – del loro sentirsi parte di una terra che le coinvolge anche emotivamente e che vorrebbero quindi contribuire a migliorare. Da ciò sono scaturite alcune idee: un centro studi per l’Appennino, una scuola del paesaggio, i “sentieri per l’arte”, il festival (cinematografico) dell’Appennino, un museo appositamente allestito con criteri “di frontiera”; e ancora, più specifico territorialmente (un “pallino” di Silvia), il progetto dei terrazzamenti di Vetto (vedi).
Tutto ciò – che qui elenchiamo solo, ma che nel foyer del Teatro Bismantova è stato partitamene spiegato – è derivato da uno studio, che ha richiesto tre anni di tempo, finanziato dalla Manodori.
“L’Appennino viene percepito poco – ha sostenuto Chiara Dazzi – a differenza di quanto accade in altre zone d’Italia che abbiamo visitato: geograficamente ma non solo. Manca una collocazione culturale, poetica”. “Negli ultimi decenni si sono prodotti cambiamenti molto profondi: se prima dell’ultima guerra – quando il nostro Appennino era ‘più centrale’, non ancora confinato nelle attuali regioni Emilia e Toscana – boschi, prati, orti erano parte pulsante e vitale degli abitanti, ora invece è il nastro d’asfalto, la strada l’ambiente ‘vissuto’ da molti montanari, che pertanto il paesaggio lo vedono solo dal finestrino”. Perciò la tendenza, si ascolta, “a diventare periferie di altre zone, con pericolo di subalternità non solo economica ma anche culturale”. Scissione persone-territorio: è l’espressione usata dalle ragazze per rendere il concetto. Urgenze: il rapporto coi vicini (“Il Parco ha iniziato, correttamente, a riaprire il territorio all’esterno”), la cultura e la formazione, la gestione delle proprie aree interne (in particolare ci si riferisce a urbanistica ed edilizia).
Michela Costi, sulla scorta di un sondaggio condotto presso gli studenti del “Cattaneo-Dall’Aglio” ha rilevato la necessità che la scuola, anche in collaborazione, più sistematica, con gli enti locali, insegni maggiormente la materia “montagna reggiana”. Per recuperare, eventualmente, anche delle future professionalità che potrebbero essere fruttuosamente recuperate e spese in loco.
Ancora Chiara Dazzi: “La banda larga deve arrivare il più presto possibile e nella migliore forma possibile”. “I paesi del nostro Appennino sono perlopiù privi di caratterizzazioni che li facciano riconoscere”. “La gestione dell’urbanistica è un elemento fondamentale: non proponiamo certo di imbalsamare il nostro territorio, ma occorre molta attenzione a come si costruisce…”.
Silvia Costetti, infine, un po’ afona ma di grande “resistenza”, ha presentato, una parte almeno, del tour che le studiose si sono sobbarcate avanti e indietro e anche oltre lo Stivale per raccogliere elementi utili alla costruzione della loro impalcatura d’idee. Hanno parlato, soprattutto, con amministratori ed imprenditori, ricavando quello che hanno definito “territorio-laboratorio”. Un progetto, cioè, capace di mostrare come “vorremmo che diventasse il nostro Appennino: una zona aperta, in cui ci si confronta, in cui si discute, in cui si elaborano idee e si producono realizzazioni di grande qualità ad esso utili ed adatte ma possibilmente anche esportabili; che richiamino gente, che vivacizzino e facciano sentire gli abitanti orgogliosi di abitare la loro terra, resa finalmente bella e riconoscibile”. Cita le esperienze che si fanno in Alto Adige, come CasaClima (“non esattamente ricalcabili qui da noi ma certamente da tenere presenti”); cita le esperienze e le peculiarità di luoghi come Varese Ligure (provincia di Spezia, primo centro in Europa ad ottenere la certificazione Iso 14000 ed attualmente considerato uno dei borghi più belli d’Italia), come Santo Stefano di Sessennio (AQ), come Forte di Bard, in Valle d’Aosta…
“Servono la conoscenza profonda dei luoghi – ha asserito la Costetti – e la capacità di portare avanti dei progetti, anche a lunga scadenza, con grande coraggio. Servono persone che sappiano fare ciò”. “Un Appennino che si caratterizza per non avere vocazione unitaria, date le differenze esistenti”. “Occorre sostenere le attività imprenditoriali ad alto valore aggiunto”. “Crediamo che si dovrebbe procedere non tanto ad una rivoluzione ma ad una trasformazione di strategie”.
Al termine delle esposizioni – applaudite dal pubblico presente – non c’è stato più, in verità, molto tempo per le osservazioni e un dibattito che probabilmente si sarebbe rivelato interessante. Il materiale da discutere, in effetti, non mancava. Questo, forse, accadrà magari in una prossima occasione. Si è assistito ad uno spettacolo insolito, dicevamo, per la media di quel che accade quando si attacca a discettare pubblicamente di un argomento qualsiasi. Stasera non si è criticato, si è proposto; non si è demolito, si è costruito. Dalle relatrici tanto era stato in apertura promesso, e così è stato mantenuto. E già questo diremmo non son proprio bruscolini, tutto sommato…
Grazie per questa serata, spero sia la prima di tante. Complimenti a Silvia e alle sue collaboratrici che, con competenza, lungimiranza e sensibilità, hanno dato una lezione d’intelligenza-agita a questa nostra montagna. A noi accogliere le loro idee di territorio-laboratorio, che ci interrogano, da un punto di vista etico e non solo, sul “chi siamo” e “verso cosa vogliamo andare” con il nostro splendido Appennino. Potrebbe diventare davvero “centro del mondo”: sosteniamole, auspicandoci che ognuno faccia la sua parte, per restituire ai nostri figli un piccolo, grande mondo in cui “essere”.
(Giovanna Guazzetti)