Quando si parla di morti, soprattutto a distanza di tempo, dovrebbe forse ricorrere l’atto di pietà puro e semplice. Giusto ricordare, spiegare e tenere vivi eventi terribili nella speranza che non abbiano mai più a ripetersi; ma giusto anche, di fronte alla morte, manifestare alla fine un sentimento umano. Ecco perché ci pare di leggere ancora come figlio di visioni che purtroppo mantengono un sottofondo ideologico e rappresentano un non mai sopito spirito di divisione che alberga in tanti di noi (italiani) l’atteggiamento delle forze politiche che, al variare delle maggioranze parlamentari, approvano, prima nel 2000 (governo di centrosinistra), l’istituzione della “Giornata della memoria”, e poi, nel 2004 (governo di centrodestra), quella della “Giornata del ricordo”. La prima si riferisce all’abbattimento dei cancelli del leger di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa e si pone come commemorazione delle vittime del nazismo e del fascismo; la seconda vuole onorare le vittime delle foibe e l’esodo giuliano-dalmata. Entrambe si riferiscono ad episodi inscritti nel quadro della tragedia della seconda guerra mondiale. Tutto, durante l'anno, nell'arco di due settimane: rispettivamente il 27 gennaio e il 10 febbraio.
A parte che le denominazioni sono sinonime, difficili quindi da intendere di primo acchito nella loro sostanza (cioè capire in breve a cosa si riferiscono se già non lo si sa), forse non sarebbe il caso, a questo punto, di proporre una giornata unificante? Brutto vedere quando le rivalità partitiche si riverberano anche in questioni che dovrebbero invece essere di per se stesse momento in cui la nazione si ritrova: nonostante tutto, nonostante opposte vedute. Ecco allora: perché non sostituirle, con buona volontà, con un’unica “Giornata della rimembranza” (o come la si vuole chiamare), a riassumere e significare i drammi e le angosce patite dal Paese, precipitato nel vortice di un conflitto che tanto ha diviso (e purtroppo continua a dividere, a quanto pare; e la classe politica, in genere, non dà il buon esempio; cosa che invece dovrebbe fare) i suoi cittadini?
Spero che l’estensore dell’articolo non abbia meditato bene prima di scrivere e che quindi sia tutto frutto di un momento di confusione. LA SHOAH E’ UNICA. NON POSSONO ESSERVI PARAGONI CON NESSUNA ALTRA TRAGEDIA ACCADUTA. L’ultima boutade di Berlusconi per recuperare credito con i palestinesi dopo il discorso al parlamento isrealiano è stata quella di paragonare il massacro di Gaza alla Shoah. A Gaza gli isrealiani si sono resi colpevoli di un massacro di popolazione inerme sparando missili sulle abitazioni civili e mi auguro che la comunità internazionale trovi il coraggio di condannare i responsabili (si può nutrire qualche dubbio in proposito).
Naturalmente i morti sono tutti eguali ma la Shoah è stata la pianificazione meticolosa dell’eliminazione di un popolo portata avanti con una lucida follia che non avuto precedenti nella storia umana.
Per questo va ricordata senza sovrapporla con altre pur immani tragedie; come va ricordata la “banalità del male” che ha accompagnato questo sterminio.
(Luigi Bizzarri)
La proposta di unificare le ricorrenze del 27 gennaio e del 10 febbraio dietro l’apparente buon senso nasconde in realtà, nel migliore dei casi, una grande confusione e poca informazione. Come unificare due vicende storiche imparagonabili per premesse, cause, dimensioni ed esiti? Solo perchè inscritte nella seconda guerra mondiale? Solo perchè entrambi portatrici di “dolore”? E poi unificarle a che scopo? Per poterle meglio dimenticare? E’ su questi fraintendimenti che si procede velocemente verso la perdita della memoria e con essa del senso comune di appartenenza ad una comunità. Sono i frutti del persistente uso politico della storia, gestito esclusivamente come mezzo di offesa dell’avversario. Come se esistessero giornate “di destra” e giornate “di sinistra”. Si usa la memoria e la storia passata e recente per identificare il “nemico” e autolegittimare, nel caso del confine orientale, una inesistente innocenza italiana (si veda la riproposizione il 10 u.s. del vergognoso “Il cuore nel pozzo” e l’uso del termine “genocidio” per l’uccisione di italiani negli anni 1945-46 in Friuli ed Istria). Del resto come stupirsi? Anzichè improbabili e sommarie unificazioni di ricorrenze assistiamo alla moltiplicazioni di “giornate del ricordo”: alle porte, sotto l’egida di La Russa, una “Giornata del ricordo dei Caduti militari e civili nelle missioni internazionali per la pace” e altre sono in arrivo. E se invece proponessimo, come ha suggerito lo storico DelBoca, una “Giornata della vergogna” per ricordare vicende tutte italiane del ‘900 come l’invasione dell’Etiopia (1935) con uso del gas e massacri, le Leggi razziali (1938), l’invasione della Jugoslavia (1941) e relativi eccidi e lager, la deportazione ebraica nel 1943-44, la collaborazione fascista alle stragi tedesche in Italia, etc..? Forse, con un bagno di umiltà, riacquisteremmo un pizzico di dignità e di coscienza collettiva in più, utile in questi tempi così difficili.
(Massimo Storchi)
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@CPur intendendo bene le diverse cause che hanno dato origine all’istituzione delle due “Giornate” (e delle altre che in futuro eventualmente si aggiungeranno, creando obiettiva “inflazione”, alla fine), pare proprio di capire, anche dal suo rispettabilissimo scritto, che probabilmente mai gli italiani saranno minimamente legati da una memoria condivisa. Neppure da morti.
(red)#C
Memoria condivisa
Egr. redazione, ringrazio dello spazio concesso e della risposta che mi consente di chiarire un equivoco che si trascina da molto tempo, in pratica da quando il Presidente Ciampi usò l’espressione “memoria condivisa” per la prima volta. Io credo non solo che non possa ma che non debba neppure esistere alcuna “memoria condivisa”, espressione che considero un ossimoro. Le memorie sono tutte individuali, nel loro insieme possono formare al massimo una memoria collettiva, ma la memoria “condivisa” è qualcosa di forzato e di artefatto, tipico dei regimi autoritari, come nel caso dei paesi del socialismo reale, una memoria “ufficiale”, creata e diffusa dallo Stato per suo uso politico. Non credo sia questo l’obiettivo di quanti, seppur in buona fede, usano questo termine. Le memorie sono “diverse” e “divise” ed è logico che sia così. Come potremmo creare una “memoria condivisa” fra la memoria di una vittima (es. Cervarolo) e quella del fascista che a quella strage collaborò?
Il problema nasce, forse, dalla perdurante confusione che si fa fra “storia” e “memoria”. L’Italia non deve avere una “memoria condivisa” ma ha un disperato bisogno di una “Storia condivisa”, all’interno della quale si confrontino, liberamente, le diverse memorie sviluppatesi negli anni. Questo è l’impegno di tanti storici, ricostruire la globalità del percorso storico comune, senza tagli, silenzi o aggiustamenti di occasione. In parallelo raccogliere le memorie “diverse” e “divise” e metterle a confronto, riconoscerne l’esistenza e la legittimità, ma senza confondere mai la storia con la memoria.
(Massimo Storchi)