Riceviamo e pubblichiamo.
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Che il territorio del crinale appenninico reggiano sia in forte degrado non mi pare sia opinabile.
I PRATI PASCOLO che contraddistinguono la parte più alta del nostro territorio sono progressivamente invasi dai rovi e in gran parte distrutti dai cinghiali; nella fascia sottostante, contrassegnata dal BOSCO DI FAGGIO, in molte zone prive di piste di esbosco, le piante crollano o per insufficiente spazio di radicamento o per piccoli smottamenti o abbattuti dagli eventi atmosferici e formano zone ormai impraticabili e inaccessibili all’uomo; nelle zone più prossime ai centri abitati troviamo i CASTAGNETI con piante vecchie, spesso malate, molte “morte” in piedi e con un sottobosco non più curato e vittima anch’esso delle scorribande di branchi di cinghiali che lo sconvolgono; i castagneti erano contrassegnati da MURI A SECCO, caratteristiche opere atte a trattenere le castagne lungo i pendii, semplici “capolavori” dell’attività dell’uomo che hanno durato per secoli, oggi in via di distruzione ad opera degli ungulati; i SENTIERI che solcavano praterie e boschi fino ai paesi, anch’essi a tratti con muretti a secco di sasso molto belli che hanno resistito a memoria di generazioni, sono gradualmente in disfacimento, sono spesso impraticabili per eccesso di vegetazione spontanea o per smottamenti e frane; i RUSCELLI ed anche i corsi d’acqua maggiori sono ormai lasciati a se stessi: vi cresce ogni tipo di vegetazione, scavano, senza opere di regimazione, percorsi fuori alveo con ovvi rischi in caso di forti precipitazioni; i CAMPI COLTIVATI che inframmezzavano i boschi e soprattutto caratterizzavano le aree più basse prossime ai paesi, sono in gran parte abbandonati, là dove si mietevano grano e orzo, dove si falciavano foraggi, cresce una vegetazione selvaggia, soprattutto rovi, rifugio per ungulati e selvaggina di ogni tipo.
Osservando anche sommariamente questi fatti, non credo sia necessario essere indovini per capire che preparano anzitutto un territorio inospitale per l’uomo e via via sempre più caratterizzato dalla presenza di una fauna selvatica, peraltro in gran parte nemmeno autoctona, poiché non sono mai stati presenti sul nostro appennino cinghiali, caprioli, cervi, istrici e così via.
E’ questo un destino ineluttabile? Personalmente ritengo di no!
Ciò che hanno fatto in un periodo storico contraddistinto dalla “civiltà contadina”, appunto contadini, pastori, boscaioli, con il loro lavoro, potrebbe oggi essere una fonte di lavoro “autoctono” per imprese, cooperative, artigiani che svolgano le attività tradizionali del territorio, ovviamente con modalità contemporanee (non essendo né pensabile né credibile e nemmeno auspicabile un ritorno al passato).
Qui nasce la domanda: chi può finanziare la manutenzione del territorio creando così lavoro, sviluppo, economia locale? Credo sia sufficiente una piccola riflessione sulle caratteristiche del nostro Paese: l’Italia non ha materie prime ma ha un territorio attraente, bello, che il mondo ci invidia, che richiama turisti dall’interno e dall’estero; ed in tempi recenti crescono anche scelte di risiedere in luoghi dove la qualità della vita è superiore alle aree urbane.
E’ quindi interesse dello STATO preservare e mantenere appetibile e accessibile il territorio; e per Stato si intende (come dovrebbe sempre essere) ogni suo livello, dal governo nazionale a quelli regionale, provinciale, comunale, attraverso ogni articolazione operativa, compresa l’ultima creatura, il Parco nazionale.
Leggo di un protocollo di intesa fra Regione, province ed enti locali a sostegno del Parco, cosa senz’altro encomiabile, ma poi leggo che la “voce” manutenzione del territorio è completamente assente e mi chiedo se c’è la consapevolezza delle priorità necessarie per questi territori.
Penso che i cittadini poco si appassionino ai rimpalli di responsabilità (pur avendo presente che ad ogni livello va addebitata la propria quota) ma si aspettano scelte operative concrete che dimostrino lungimiranza. Ai teorici dell’insufficienza delle risorse è bene ricordare che la voce di spesa per il ripristino dei danni derivanti dall’incuria del territorio è, ogni anno, di gran lunga superiore a quanto investito in manutenzione preventiva (è di questi giorni una stima dei danni provocati dal maltempo nel dicembre scorso in 18 milioni di euro!).
(Claudio Bucci)
Bottiglie di plastica
Spesso mentre guido sulla statale ci sono scenari magnifici, scorci di paesaggi i cui alberi si vestono in accordo alla stagione, fiori ai bordi della strada. E gli accessori spesso sono bottigliette di plastica e lattine, sparse in modo incivile e sconcertante. Mi chiedo se non è possibile insegnare a chi passa che le bottigliette non si lanciano dal finestrino. Siamo pronti a gridare allo scandalo, spesso, dando colpe qua e là. Se ci sono centinaia di rifiuti lungo le strade qualcuno li getta incurante. E continua a farlo imperterrito. Ma siamo tutti pronti a sostenere che l’Italia è un paese civile. Chi si prende cura che il nostro territorio non venga sommerso dalla plastica?
(Ameya Canovi)
Fotografia molto amara!
Complimenti, sig. Bucci, ho letto con estremo interesse il suo pezzo che descrive lo stato attuale del nostro territorio con la precisione di una fotografia; purtroppo una fotografia molto amara.
Dopo avere letto questo pezzo non trovo nemmeno le parole giuste per commentare.
Certo che i nostri avi lo tenevano in ordine, il nostro territorio, erano dei veri esperti in materia; avevano una conoscenza tramandata e migliorata di continuo negli anni e nei secoli; muretti di confine e di contenimento, sentieri e scorrimento dei ruscelli, la pulizia dei castagneti, ecc., ecc.; un lavoro lento e sapientemente continuativo, ma era anche una necessità di sopravvivenza della gente del posto.
Un insegnamento che purtroppo non è stato aiutato a durare nel tempo, ma, al contrario, lo stiamo svilendo, ci sembra tutto antico, superato e non più necessario; si cerca soltanto di rimediare con alcune opere tampone il più velocemente possibile, calate dall’alto senza un progetto a lungo termine; il mondo va sempre più di corsa e ciò che non ci serve più si getta ovunque senza pensare al dopo. Con la nostra aspirazione di essere moderni siamo attratti da altre cose giudicate da noi necessarie, prioritarie e più premianti; forse, nella nostra avidità o stupidità, stiamo costruendo “l’alta velocità” delle persone!
Eppure si parla tanto di disoccupazione, di immigrazione assistita e cassa integrati….! Quando manca il lavoro si ricorre allo strumento dell’assistenza nelle più svariate forme; per carità, giustissimo e necessario anche questo mezzo, ma purtroppo (spero di sbagliarmi) sta diventando un po’ troppo generalizzato. Penso che sarebbe molto più logico trovare qualche orientamento di lavoro nel bene comune, come suggerito qua sopra dal sig. Bucci.
(Elio Bellocchi)
Bravo Claudio
Nel tuo pezzo si legge tutto il degrado del territorio e della nostra civiltà… Oggi la tua fotografia è la fotocopia di quello che il cittadino comune “vive” come bisogno di apparire e non di ESSERE. La nostra montagna vive di bei ricordi, ove vi era ordine, voglia di fare per il bene comune, di quella lontana memoria ove il contadino armata di zappa passeggiava per campi e strade. Con la voglia di arginare le acque per prevenire danni futuri… tempi lontani; oggi la realtà è che tra 100 persone che vedono un masso in pericolo uno si ferma 99 fanno finta di nulla. Questa è la triste realtà un territorio alla sfascio. Le ricettte sarebbbero 1000 o forse più, ma è più comodo “percepire” o far percepire la cassa integrazione comodi a casa, spaparazzati sul divano, che EDUCARE chi è obbligato a questo odioso periodo transitorio all’operare sul proprio territorio con ORE per usi civici, cioè essere pagati non per oziare ma per RECUPERARE il territorio; ma penso sia utopia, non siamo portati a queste cose.
Sono concorde con Elio, troppo spesso viene dato valore all’effimero e poco alla terra, dimenticandoci che è essa che ci da il sostentamento. Provate a mungere Il SUV a vedere se vi da un buon bicchier di latte fresco… un solo piccolo esempio.
Grazie come sempre.
(Roberto Malvolti)