Si è ritornati a parlare di suicidio: nelle carceri sovraffollate e nel mondo della scuola, dove recentemente si sono verificati ennesimi episodi di fuga alla vita.
Il carcere è luogo di sofferenza, di dolore, di emarginazione. Chi per la prima volta lo affronta o chi, all’interno, subisce violenza e all’esterno, abbandono, avverte forte la voglia di fuggire dalla “gabbia” in cerca di una libertà, oltre il carcere, oltre la vita.
La scuola non dovrebbe essere una “gabbia” anche se si è obbligati a frequentarla. Non giustifica, da sola, il suicidio o il tentato suicidio, il voto basso che dà dispiacere in casa. Ho conosciuto tanti ragazzi bocciati, espulsi dalla scuola e felici di vivere, magari, in bande di periferia o nel lavoro nero o alle spalle dei genitori.
Umberto Galimberti, parlando del “mito della felicità”, si introduceva con queste parole: «Prima di compiere l’ultimo gesto, il suicida discute con la propria anima l’opportunità di rimanere in questo mondo», citando poi un papiro egizio risalente a 2000 anni avanti Cristo: «A chi parlerò, oggi? I fratelli sono malvagi. Gli amici di oggi non sanno amare. I cuori sono avidi. A chi parlerò oggi? A chi ha il volto sereno? No, di solito è malvagio. Di solito è soddisfatto del male. Io sono carico di dolore perché mi manca un confidente. A chi parlerò oggi?». Ritengo che i “confidenti” esistano e non siano “tutti malvagi”: la famiglia, gli amici, gli insegnanti, i preti... Il problema sta nell’intuire il disagio, nel saper ascoltare, con il cuore e l’intelligenza, con l’umiltà di chi sa che non è facile trovare risposte. Anzi, spesso, non c’è bisogno di risposta! L’ascolto e l’attenzione sono già una risposta che calma, rasserena, allontana angosce e turbamenti. So che c’è una persona per il quale sono importante, che non teme di perdere il suo tempo per me, che sa accogliere le mie fragilità, che non giudica, deprimendo ed abbattendo, ma mantiene la speranza, vede il positivo anche nell’insuccesso. E’ atteggiamento che vale per tutti, in carcere, nella scuola e fuori. E’ alla base della felicità che, nelle persone, trova il suo approdo. Nelle persone e, per chi è fortunato, anche nel Dio della vita, che è Padre e non ha mai perso la speranza nell’umanità.
Rimane un aspetto molto delicato! Di solito chi fugge dalla vita non tiene presente, a meno che lo faccia per “dispetto”, la sofferenza che lascia in chi rimane, i dubbi, i misteri, i sensi di colpa, tante domande senza risposta.