Il Secchia e le piene. Il Secchia e la sua storia in questo tratto di medio alto Appennino. Redacon ha chiesto un contributo all’ingegner Azzio Gatti, discendente dell’omonima famiglia, che ripercorre la secolare storia di lavoro dell’uomo per ammaestrare il fiume, soprattutto durante le piene. Lo fa, anche, attingendo allo storico archivio del casato, ricco di documenti inediti.
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Gatta–Pianello una pista, un paese un ponte, ma soprattutto una zona inquieta carica di bellezze paesaggistiche, storia e leggende come non in altre zone del nostro bellissimo Appennino.
La presenza dell’uomo si perde nel tempo e ne sono testimonianza i ritrovamenti del 1971 della necropoli romana detta della Gatta o di San Bartolomeo, un antico rapporto stretto tra l’uomo, la terra e l’acqua. Rapporto complicato proprio dal tentativo di imbrigliare la forza che l’acqua (il Secchia) raggiunge in questo punto, tanto complicato da diventare il fattore accomunante di tutte le genti che nei secoli si sono succedute sulle sue rive.
Dagli antichi abitanti della necropoli scomparsi senza lasciare tracce sensibili degli abitati, agli abitanti del medioevo che pur avendo un ponte in pietra ne poterono godere per poco poiché il fiume si portò via presto alcuni pezzi, passando per le famiglie che nei periodi successivi se ne contesero il dominio e l’onere della manutenzione fino alla seconda guerra mondiale dove l’uomo, imitando con successo ciò che di solito faceva la natura, fece saltare un ponte che pareva finalmente stabile, frutto della volontà delle due comunità confinanti di Castelnuovo e Villa Minozzo, fino ai giorni nostri ai primi anni 70 quando una piena importante riprendendosi il diritto di decidere del suo alveo scalzò un pilone atterrando il ponte nuovo che sorgeva poco a valle rispetto al ponte vecchio (quello fatto esplodere per cause militari e di cui si possono ancore vedere le partenze).
E ancora in questi giorni, agli albori del nuovo millennio, si sente parlare di piene del fiume e di manufatti erosi dalla sua forza, la pista Gatta–Pianello, ecosostenibile ma debole, e si tace o si ignora come con le piene del fiume Secchia avvenute a dicembre 2008 e gennaio 2009, l’impetuosità dell’acqua aveva causato un’erosione alla sponda sinistra appena dopo il ponte sulla SP 9 scalzando protezioni risalenti al passato e che fino ad oggi avevano retto, forse che per rendere ecosostenibile una sponda si sia rinunciato alla protezione dell’altra?
Eppure era già avvenuto il parziale crollo di un muro fatto erigere nei primi anni del secolo scorso a protezione dei terreni coltivati e il muro residuo fu quasi completamente scalzato, avvenne lo spostamento e seppellimento di circa una decina di repellenti (peso stimato 100 q.li cad.) fatti costruire privatamente nel dopoguerra sempre allo scopo di difesa della riva sinistra e di tutto ciò che vi stava riparato alle spalle: abitazioni e coltivazioni.
Come non notare che il livello della ghiaia nell’alveo era cresciuto notevolmente, facendo assumere all’alveo stesso una forma convessa, oltretutto con una crescita di vegetazione spontanea, non particolarmente alta ma in grado di indirizzare in caso di piena il canalone d’acqua sempre verso la sponda sinistra?
Si è ancora in tempo per porre rimedio senza aver paura di violare l’alveo del fiume poiché siamo in simbiosi con esso, sono centinaia di anni che ci difendiamo e conviviamo.
Documentazione storica: la Famiglia Gatti/ponte della Pioppa
Già nel XI secolo sorgeva qui un ente ospitaliero chiamato “Ponte della Pioppa” I pochi documenti superstiti sembrano legare la nascita del paese di Gatta, collocato sulla sponda destra del Rio Spiròla dove questo sfocia in Secchia, al paese di San Bartolomeo che oggi si sviluppa dinnanzi a Gatta sull’altra sponda del fiume Secchia alla confluenza con il torrente Secchiello. Il legame tra i due paesi lo troviamo citato nel primo documento risalente al 1302 riportante l’indicazione “Pons de Plopa o de Gata. Ecclesia S. Bertholame de Ponte de Plopa”(Saccani 1926, 123) viene dunque evidenziata la presenza della chiesa di S. Bartolomeo e del ponte che collegava le due sponde. Una tradizione ancora viva nel Seicento, ripresa dal podestà di Bismantova nel 1664, attribuisce la costruzione del Ponte della Pioppa alla “Serenissima Matilde d’Este”. Di Matilde D’Este, di cui si ignorano le date di nascita e morte, si sa che aveva sposato il marchese Guido D’Este; rimasta vedova del quale nel 1073 era passata a seconde nozze con Azzo II d’Este marchese di Luni e conte d’Italia, parente stretto del primo marito, venendo perciò accusata d’incesto dinnanzi a Papa Gregorio VII (Cfr. Litta,Ritratti e vita di donne illustri, Venezia, 1775). I motivi che portano a pensare che sia stata lei a far costruire il ponte sono dovuti al fatto che la corte di Nasseta, fondamentale per i valichi con Garfagnana e Lunigiana, era probabile proprietà di Azzo II (O.Rombaldi, Il monastero di S.Prospero di Reggio Emilia, Reggio Emilia , Banco San Geminiano e San Prospero, 1982) ed era fondamentale più che per la produttività della corte per la funzione di controllo della viabilità che essa svolgeva nell’alta val di Secchia. Data la tardività dell’informazione seicentesca è lecito suppore l’equivoco ed ipotizzare che ponte, chiesa e beneficio siano stati eretti da Matilde di Canossa. Gli interventi della Contessa atti ad assicurare e riattivare la viabilita transappenninica sono ben noti e, per quanto riguarda gli studiosi reggiani, ci si piò riferire alle parole della dottoressa Maria Bertolani Del Rio:
“Per le persone costrette a viaggiare in modo così difficile e pericoloso erano sorti da tempo, soprattutto nel X secolo per opera di San Bernardo da Mentone, ospizi che davano soccorso ai viandanti, che potevano anche essere infermi. Tali ospizi, che in genere si trovano all’ombra dei monasteri, erano più numerosi in prossimità dei valichi e dei ponti.
Matilde comprese la necessità di questi luoghi di ristoro, di protezione e di assistenza per i pellegrini e per gli infermi. Con una vasta rete di istituzioni benefiche, non solo rese più agevole la via che portava a Roma, ma favorì coloro che vivevano e transitavano nei suoi territori migliorandone la sicurezza e le comunicazioni. Con ciò essa diede incremento ai commerci, ma istituì anche le linee strategiche utili alla difesa dei suoi domini. La sua munificenza fu pari alla sua saggezza politica.” (M.Bertolani Del Rio, Matilde di Canossa e l’assistenza ai pellegrini ed agli infermi, estratto da Atti e Memorie della Deputazione di storia patria delle antiche province modenesi, Serie VIII, vol. VIII, 1956).
I ruderi più volte attestati non lasciano dubbi circa la qualità del ponte: era una costruzione in pietra con piloni ed archi, probabilmente il più antico ed il maggiore dei ponti costruiti a ridosso degli ospizi che proteggevano l’attraversata del Secchia dalla confluenza del Dolo fino alle sorgenti. Nelle immediate vicinanze, tuttavia, non si parla che di una sola altra costruzione simile, cioè Ponte di Cavola, con relativo ospizio, la cui Chiesa fu consacrata nel 1144 (Tiraboschi, Dizionario Topografico Storico degli Stati Estensi; A. Tincani, L’assistenza ai pellegrini ed ai viandanti in Val di Secchia, estratto da Ravennatensia, X, Atti del Convegno di Reggio Emilia, 1979, Cesena, Badia di Santa Maria del Monte, 1984). L’ospizio, quindi, emerge dal medioevo dotato oltre che del ponte anche della chiesa parrocchiale che doveva essere di notevole importanza se fino al Concilio di Trento vi si continuò ad amministrare il battesimo anche per le parrocchie limitrofe di Carniana e di Poiano. Nel letto del fiume, proprio davanti alla Chiesa, erano stati costruiti due grossi e resistenti piloni in muratura (erano forse i resti di un primo ponte spazzato dalla furia del fiume in piena). Era compito del rettore, ogni giorno unirli con una scala a pioli, per facilitare il transito dei viandanti; ed inoltre con le rendite del beneficio, effettuare elemosine ai viandanti poveri e celebrare le officiature dovute nei giorni prescritti.
La rendita del beneficio e l’importanza della Chiesa e del controllo del passaggio sul ponte rendevano appetibile il diritto di patronato sulla nomina del rettore della chiesa e dell’ospizio di San Bartolomeo, la lite che nasce negli anni 1366-’69 per l’investitura del beneficio suddetto vede vincitrice la famiglia carpinetana dei Da Banzola lo testimonia la sentenza emessa al Vicario generale del Vescovo Lorenzo Pinotti: “Nicholinum et illos de Banzola esse patronos Ecclesiae et Hospitalis” (“Nicolino e quelli da Banzola hanno il diritto di patronato sulla chiesa e sull’ospizio”. Codice di Antichità, A.Cu.RE ).
Ai Da Banzola si opponeva un’altra famiglia, i Marescalchi di Costa de’ Grassi i quali, nella persona di Franceschino, avevano ottenuto l’investitura il 24 luglio 1363 come si legge nel documento scritto da Felina dove, a causa delle battaglie che allora si svolgevano attorno a Bismantova, alloggiava il Vescovo Pinotti.
La nomina di Franceschino segue quella di Alberto da Saccaggio che, stante la provenienza, era probabilmente legato ai Da Banzola. L’interesse per il Ponte della Pioppa dimostra come essa fosse attratta dalla prospettiva di arricchimento dovuta al beneficio ed alla possibilità di allargare il controllo sul commercio verso la Toscana.
La finalità della investitura del Ponte non era quella del guadagno sul passaggio, ma si proponeva come una istituzione assistenziale più complessa che andava dalla custodia e mantenimento del Ponte all’assistenza di malati e pellegrini (è così che nel 1434 l’ospizio diviene luogo di cura per i lebbrosi della montagna che a causa del gran numero non riescono più ad essere accolti nell’ospedale cittadino (A.S.RE, Carteggio Anziani, 11vAprile 1434 (schedario Saccani)). Nell’affresco che si trovava sulla facciata della casa a torre (ora conservato presso i Civici Musei di Reggio Emilia) si può, infatti, riconoscere un pilone di pietra sul quale arde un falò. La fonte luminosa serviva, nelle notti buie, a guidare chi scendeva dai monti fino all’ospitale.
La distruzione del ponte è di difficile collocazione come difficile da trovarsi è la causa della rovina, probabilmente in un periodo di lotte tra famiglie quale è il XIV secolo la distruzione potrebbe essere dovuta ad atti di guerra, ma non possiamo escludere eventi naturali come le piene che sappiamo essere di una grande forza.
Nel 1427 allorchè Niccolò III subentra ai Fogliani nel dominio della montagna, Chiesa e ponte sono in rovina ed appartengono al comune di Poiano. Niccolò III, infatti, concede loro il governo con il patto che vi costituiscano un massaro che ripari la chiesa e riedifichi il ponte concedendo loro anche il permesso di edificare un mulino sul fiume Secchia (probabilmente il mulino di S.Bartolomeo ancora oggi esistente).
Un punto fermo lo abbiamo nel 1437 in una lettera del Podestà di Minozzo, Bartolomeo Grassi al Reggimento di Reggio in cui si spiega come un Don Domenico da Carniana sia intenzionato a riparare e rifare gli archi del ponte della Pioppa che è strada e via maestra per passare il Secchia dandone compito a mastro Antonio da Saccaggio, intento che, pare, non sembra essere andato in porto, nonostante l’anticipo di cinquanta lire al mastro Antonio da Saccaggio.
Nel 1547 viene redatto un rogito nel quale “Theno alias Antonio quondam Baldassarre Gatti della Gatta” prende in enfiteusi perpetua dalla Chiesa il terreno di S.Bartolomeo (A.Fam.G, Documenti 500/600, c.n.n.), Antonio ne era beneficiario almeno dal 1528, una striscia di terra sulla sponda opposta a quella dove sorge il paese di Gatta sulla quale esisteva un oratorio dedicato a S.Bartolomeo. Il beneficio verrà ratificato nel 1568 al figlio Jo.Batta con rogito presso il notaio Gabbi di Reggio (A.S.RE, Archivio Notai - Antonio Gabbi - busta 946 - c.n.n.).
Gli obblighi che Antonio alias Theno deve soddisfare sono indicati, a parte la corretta manutenzione e l’aumento dei beni, in una messa nel giorno di San Bartolomeo apostolo da celebrarsi nella Chiesa beneficiata. Non si parla di obblighi legati al ponte, anche se ormai sappiamo che esistono e che, con il pedaggio, costituiscono una rendita.
Un documento del 1664 lega di nuovo la famiglia Gatti al ponte, è l’informativa del podestà di Bismantova che accompagna la richiesta degli eredi Gatti che “si impegnano a rifabbricare il ponte a loro spese e di mantenerlo, pur di esigere dai passeggeri 3 soldi per persona o bestia; se sono poveri o mendichi obbligandoli solo a salutare con un’Ave Maria l’immagine sacra”.
Gatta è quindi un nodo cruciale, soprattutto nei grandi passaggi stagionali in occasione delle fiere di San Pellegrino (1 agosto) e San Michele (29 settembre), di un“grande numero” di persone e animali. La strada che attraversa il paese ha ancora una grande importanza (anche se non come in passato quando questa è chiamata via “maestra” o “regia” per indicarne l’importanza primaria e la sua soggezione al diritto statale supremo, collegando Toscana ed Emilia essa rientrava infatti in quella categoria di strade che gli storici indicano come “romee” o “francesche”) e non viene nominata nè la chiesa di San Bartolomeo nè l’ospizio ormai in probabile decadenza o addirittura distrutto, come il ponte, da quella piena che avrebbe svuotato l’invaso più a monte (Atti della Società dei naturalisti e matematici di Modena, Vol. CXVIII (LXV della serie VI), Modena 1987). Leggendo con attenzione il documento salta agli occhi come la corrente non occupi più l’intero alveo, ma abbia momenti di secca in estate consentendo il passaggio a “guazzo” ed evitando il pedaggio, chi volesse comunque passare il fiume senza bagnarsi può per due o quattro giorgini affidarsi ad un “passatore” spesso dotato di trampoli, pratica che durerà fino all’inizio del nostro secolo.
Nei carteggio dell’archivio di famiglia si trovano anche alcune note di spese relative alle opere di difesa dal fiume.
All’inizio del XIX secolo e precisamente l’11 maggio del 1816 il Duca Francesco IV, atteso a casa Gatti, non riesce a passare il fiume in piena e deve passare la notte nella tintoria di S.Bartolomeo (F.Milani, Minozzo, pag. 263), ci arriverà il giorno dopo, a piena scemata e rimanendoci per la S.Messa e per il pranzo (Farri, Bismantova, 1995 pag. 89). Nella seconda metà del XIX secolo vengono finalmente realizzati gli argini di difesa dal fiume Secchia e le mura di contenimento per il torrente Spirola per opera di Francesco Gatti oltre all’innalzamento definitivo del piano di campagna con terre di riporto operazioni che elimineranno i dannosi allagamenti dovuti alle piene anche se ciò comporterà la definitiva perdita del piano terra degli edifici della corte. Per quanto riguarda il ponte viene ricostruito in muratura a cavaliere tra il XIX ed il XX secolo per opera del “Consorzio per il Ponte sul Secchia” che vede partecipi i due comuni di Castelnuovo e Villa Minozzo (A.Fam.G., c.n.n.).
Convivere con la paura
Piaccia o non piaccia, con la paura ci tocca convivere! Nostro malgrado! Perchè anche la paura è da sempre “companatico” della vita dell’uomo. Stai in montagna? Rischio di frana o valanga, ecc… Stai in pianura? Devi convivere col rischio di esondazione del Po o dell’Arno, ecc… Stai alle pendici del vulcano? Oppure in riva al mare? Abiti alle Torri Gemelle? Ecc. ecc. Credo che una delle soluzioni possibili stia nel costruire con saggezza. Ma poi, se una frana ostruisce la SS 63, decidiamo di dismetterla? Stessa cosa dovremmo fare con la Gatta-Pianello? Forse la valle dei Gessi Triassici è ad angolo troppo acuto perchè si possa costruire una strada, ragionevolmente sicura, tracciata a debita distanza dal greto del Secchia?
(Umberto Gianferrari)
Se fossimo più saggi e sapessimo leggere la storia del nostro territorio, per esempio consultando scritti come quelli di cui si parla nell’articolo, ne dovremmo trarre che certe cose non andrebbero fatte. La pista Gatta-Pianello nell’articolo è definita “ecosostenibile”, ma sarebbe meglio usare il termine “ecoassurda”, significando con questo la sua completa assurdità per dove e per come è stata costruita. Non si vuole ammettere che per fare una strada lì il prezzo da pagare è distruggere un bellissimo tratto del nostro Appennino, certamente tra i più integri della Regione. E’ giusto pagare questo prezzo? C’è qualcuno disposto a metterci la faccia e pagarne le conseguenze? Possono bastare tre piene che hanno distrutto la strada nel solo 2009 o continuiamo a buttare soldi nel Secchia per l’ottusità di molti e la comodità di pochi?
(Roberto Tedeschi, Comitato Difesa dei Fiumi Emilia-Romagna)
Mi permetta, Tedeschi, di scriverLe questo mio pensiero. Non metto in dubbio le sue capacità professionali. Non POSSO. Però mi permetto di farle notare che neanche Lei si può permettere di definire TANTI o POCHI le persone che fruiscono della strada Gatta-Pianello; inoltre la viabilità non è un LUSSO ma un diritto, non dimentichiamocelo. Oppure hanno solo diritti i cittadini della pianura che si sono visti FARE negli ultimi 3-4 anni strade per oltre 200 milioni di euro e tra poco, vista la notizia divulgata dalla stampa di oggi, altri 230 milioni per la VARIANTE via Emilia?
Inoltre siamo nel 2010, i mezzi e la conoscenza ci permettono di realizzare STRADE sicure ed a prova di piene e a basso impatto ambientale, basta volerlo, basta avere una posizione POLITICA precisa e sapere se è più importante accontentare COLORO che vorrebbero della nostra TERRA una riserva o coloro che vivono la loro ESISTENZA in montagna, con tutti i disagi che comporta.
Mi spiace notare che sempre le persone ESTERNE desiderano mantenere lo stato della NOSTRA ARIA, del nostro TERRITORIO ad uso e consumo di una DOMENICA fuori porta, senza pensare prima di esternare un pensiero a coloro che viaggiano per lavoro su e giù dalla montagna.
Nella mia vita ho sempre pensato che con il DIALOGO si possa appianare ogni discordia ed anche in questo caso ritengo sia la stessa cosa, basta volerlo. La Politica deve capire cosa è più giusto: se un sasso rimanga al suo posto, seppur questo sasso costi TEMPO, denaro, BENZINA ed inquinamento causato dai pendolari, oppure se questo sasso “inteso come problema strada Gatta-Pianello” vada spostato una volta per tutte.
Mi creda, le scrive una persona che ama la montagna, ama il Secchia, ama tutta la nostra terra, ma è anche consapevole che il VOSTRO credo porterà solo ad un lento ed inesorabile declino.
La saluto e le auguro buon anno.
(Roberto Malvolti, Comitato strada statale 63)
Molto apprezzabile ed interessante la storia ben documentata dei Gatti, ma, come diceva Umberto, conviviamo da sempre con la forza della natura. Diverso è il solito discorso di Tedeschi. Vedi, Roberto, la tua analisi non fa una grinza, ma purtroppo abbiamo esperti che quando si tratta di montagna continuano ad insegnarci come viverla ma quando si cementa mezza pianura, comprese le zone a rischio allagamenti, tutto tace. Sai, il giudizio, se pur autorevole, a difesa dell’ambiente meglio tenerlo per sè. Rompere le scatole a certi costruttori potrebbe far sì che possa essere l’ultimo commento della carriera. Diverso è dare giudizi a quattro montanari considerati anche un po’ ignoranti solo perchè chiedono di poter vivere quassù.
(Romano Albertini)
Gent.mo Sig. Malvolti, non la conosco per cui non mi permetto nemmeno io di mettere in discussione le capacità professionali sue o di chiunque altro, anche perchè non c’entrano assolutamente nulla con quello di cui si sta discutendo. E’ certamente significativo che in questo momento esistano ben 3 @Ctreads#C aperti sul problema Gatta-Pianello, incluso un intervento molto tecnico e secondo me eccellente del Dott. Chiesi, che, a proposito di professionalità, può mettere in fila molte persone che di questo argomento hanno scritto a riguardo. Peccato che anche Chiesi abbia un difetto tremendo: abita a Reggio. Questo difetto, che ahimè condivido con Chiesi, a detta di molti come lei ci impedisce di parlare a ragion veduta sui problemi della montagna, nonostante che sia lui che io da 30 anni per motivi diversi ma simili ci rechiamo in Appennino ogni qual volta ci capita di avere un po’ di tempo. Conosciamo la montagna, tutta… non solo il paese dove abitiamo e poco più come parecchi montanari fanno, in ogni sua valle anche la più remota, cerchiamo di salvaguardarla, di farla apprezzare anche al di fuori dei confini provinciali o regionali, spendiamo molte ore del nostro tempo libero in associazioni e comitati per difendere il nostro territorio (perchè che le piaccia o no è anche mio, come è anche dei montanari la pianura in cui tantissimi vengono a lavorare), ma essendo che non risiediamo sul posto (che nel mio caso non è nemmeno del tutto vero perchè passo diversi mesi nella casa di famiglia in zona Carpineti) le nostre idee secondo lei e altri come lei perdono di valore per questo motivo.
Il problema, caro Malvolti, è che la nostra montagna avrebbe bisogno, oltre che di qualche strada in più, ma fatta come si deve, e di un grande lavoro di potenziamento e miglioramento di quello che già c’è tra cui la “sua” SS 63, dicevo avrebbe bisogno di pensieri “a lunga gittata” per tenere la gente in montagna.
Sinceramente non le so dire se siano 100-1000 o 10000 le persone che percorrerebbero quella strada, ma le posso garantire che con quello che si è speso e si spenderà per quel tracciato si sarebbero potute fare molte cose a mio parere più utili; per esempio dotare la montagna di linee telematiche ad alta velocità. Ma probabilmente, come diciamo in tanti da molto tempo, la Gatta-Pianello è solo un inizio… Una volta arrivati al Pianello su viadotto, perchè non arrivare a Giarola e poi già che siamo lì… Collagna e poi… come resistere alla tentazione di bucare il Casarola e arrivare a Fivizzano e finalmente al mare. Dopo sì che sarebbe bello vivere in montagna!
Sinceri auguri di un buon 2010 a lei e a tutti i montanari.
(Roberto Tedeschi, Comitato Difesa dei Fiumi Emilia-Romagna, Reggio Emilia)
Cari “pianzani”… facciamo una proposta
Quello che le sfugge, sig. Tedeschi, è l’utilità della pista per chi deve usarla per lavoro, per rientrare dalla famiglia ogni sera, per quelle situazioni dove ogni minuto in meno è tutto guadagnato. Si è costruita una pista come convergenza tra la tutela dell’ambiente (che piace anche ai montanari) e la necessità di un collegamento Pianello-Gatta. Nel progetto si indicava di monitorare il franco tra pista e letto del fiume che ogni anno diminuisce di un metro abbondante (detto dai tecnici). O alziamo la pista o abbassiamo il fiume. Non sono d’accordo su una strada sopraelevata. Per contro, cavare ghiaia in quella zona non credo sia un problema e ambientalmente non può stravolgere più di quanto fanno le piene annuali (visto il caratterino che il Secchia ha sempre avuto, come documentato dal Sig. Gatti). Come fatto tempo fa mi spingo oltre: da persona cui quando capita di avere un po’ di tempo gira parecchio l’Appennino, credo che con la pista si potrebbe arrivare tranquillamente fino a Giarola.
(mc)
Ottimo Sig. mc… Occhio a metter il nome per esteso che bisogna stare attenti alle vendette pianzane… Dal suo intervento abbiamo avuto conferma, per chi avesse avuto dubbi, dello scopo nascosto di quella pista. Complimenti anche per le soluzioni proposte, davvero innovative. Ma, scusi, a lei e a coloro che la pensano come lei il dubbio che una delle ragioni del “caratterino” del Secchia sia anche dovuto alle selvaggie escavazioni dei decenni scorsi non è mai venuto?
(Roberto Tedeschi, Comitato Difesa dei fiumi Emilia-Romagna)
Torrente Secchia
Da Wikipedia: un torrente è un corso d’acqua caratterizzato, rispetto ad un fiume, da una scarsissima alimentazione da nevai o altre sorgenti regolari e costanti, da una notevole pendenza dell’alveo a monte e da una alternanza fra le magre estive e le piene autunnali e primaverili. In generale i torrenti si originano a monte in un bacino a forma di imbuto che termina in un canale di scolo dove si incanalano le acque meteoriche ed i materiali alluvionali. Il torrente termina spesso, nel suo sbocco a valle, con un conoide di deiezione in cui si accumulano, per brusca diminuzione di pendenza, i materiali alluvionali. Il corso d’acqua può confluire poi in fiumi, laghi, altri torrenti o in mare. I torrenti, a causa della loro forte azione erosiva e delle piene improvvise, possono provocare danni ai centri abitati e alle vie di comunicazione: spesso nella storia l’uomo ha tentato di modificarne il corso allo scopo di limitare i danni e sfruttare le acque convogliandole in canali.
Come vede, sig. Tedeschi, ci avevo pensato e mi ero documentato. Frequento quella zona da anni, vi hanno scavato per decenni e i piloni dei ponti non sono mai stati nè scalzati nè ricoperti. Fra 10 anni se non si tiene l’alveo alla giusta quota dovremo alzare il ponte del Pianello, o è tutta fantasia? Non è certo la prima volta che cambio opinione e vorrei che mi aiutasse a capire in termini pratici come si può realizzare a Gatta una strada ecosostenibile e come mettere in relazione il carattere del Secchia con le escavazioni. Vuole uno spunto innovativo? Treno monorotaia a propulsione magnetica. Giappone e Germania ci provano, perchè non provarci anche qui? E’ collettivo, poco inquinante, silenzioso, di basso impatto con l’ambiente. Meglio tornare con i piedi per terra. Portare lavoro in montagna per eliminare il pendolarismo, condivido che sarebbe magnifico, ma attualmente si preferisce fare strade e si pensa di farla lì. A noi di realizzarla rispettando l’ambiente.
(mc)
P.S. – Non le ho detto di essere un montanaro, però mi piacerebbe…