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“Per te Dio si è fatto uomo”

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PUBBLICHIAMO l'omelia del vesco ausiliare Ghizzoni in occasione della santa messa di Natale in cattedrale.

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Tra le notti importanti per la storia del Popolo di Dio, gli antichi maestri di Israele ricordavano la notte della Creazione, quando Dio disse: “Sia la luce” (Gen 1,3); la notte dell’Alleanza, quando Il Signore Dio invitò Abramo a guardare il cielo e a contare il numero delle stelle (Gen 15,1ss); la notte dell’Esodo, quando gli ebrei celebrarono per la prima volta la Pasqua (Es 12,1ss).

Noi aggiungiamo volentieri la notte di Betlemme, quando il Verbo cominciò ad esistere nella carne, nella condizione umana; la notte della Trasfigurazione, che preannunziava la notte della Risurrezione, dove Gesù avrebbe portato a compimento la nuova Pasqua, la salvezza per tutti i figli di Dio dispersi.

Nella notte aspettiamo con speranza la luce

Tutti questi avvenimenti centrali della nostra salvezza portano con sé il simbolismo della notte e del giorno, il passaggio dalle tenebre alla luce. E anche questo “movimento” è una Parola di Dio per noi: ci aiuta a interpretare la nostra esistenza, che è chiamata continuamente ad aspettare con speranza la luce quando si è nella notte, e a rimanere vigilanti di giorno, comportandoci da figli della luce (cf. Rm 13,11-12), perché non sappiamo quando il nostro tempo finirà!

Anche quando Gesù nacque, le condizioni del suo popolo e della sua famiglia erano oscure. L’evangelista Luca ricorda come fosse ancora regnante il duro Erode e Israele fosse oppresso da una potenza straniera; come anche a una donna incinta non fosse risparmiato il rischio di un lungo viaggio e l’unica accoglienza per il suo parto fosse in una stalla.

Ma così agisce Dio nella storia degli uomini… di notte!

È nelle loro notti che egli vuole portare la Luce.

Lui non teme la notte, nemmeno la notte della morte.

E per noi la notte — soprattutto quella che ci procuriamo da noi stessi, con la violenza verso i deboli, con l’ignavia verso il male crescente o con la stoltezza del nostro egoismo —, è un tempo di paure e di angoscia, certo. Ma può divenire anche un tempo favorevole per conoscere noi stessi; per riconoscere che anche nel nostro cuore, almeno in parte, ci sono le tenebre. E per ammettere che da quelle tenebre, da soli, non riusciamo ad uscire.

Lo vediamo anche nelle persone vicine, nei nostri cari; ancor più lo vediamo nei lontani, che spesso diventano avversari o nemici e ci fanno scoprire capaci di odio, di freddezza, di strumentalizzazione. Lo vediamo nella società in cui viviamo: la celebrazione del Natale del Signore in questo 2009 ci trova alla fine di un anno di fatiche, di ansie, di crisi per molte famiglie e singole persone, certamente anche per l’ingordigia e l’affarismo senza scrupoli di persone e istituti. Non dovrebbe essere difficile vedere come, senza un rapporto personale e comunitario con il Padre dei cieli che Gesù ci ha rivelato, anche i valori etici siano fondati solo sulla buona volontà dei singoli. Ma il cuore del singolo è segnato dalle tenebre: il suo giudizio a volte è offuscato, i suoi affetti sono altalenanti, la sua volontà è spesso ambigua. Così il bene, anche se è riconosciuto, non si impone alla sua coscienza; la sua libertà è irrimediabilmente segnata, anche se non del tutto soggiogata dall’oscurità.

Non dobbiamo vergognarci del Vangelo.

Non dobbiamo perciò vergognarci del Vangelo (cf. Rm 1,16-17) e anche agli uomini del nostro tempo — soprattutto a quelli colti, coscienti delle proprie capacità, ricchi di mezzi, che si sentono superiori alle appartenenze religiose e ai codici morali, e spesso sono tentati dal culto di sé —, soprattutto a loro, dobbiamo annunciare che senza la sapienza e l’amore che vengono dal Salvatore dell’umanità, non sono possibili né la verità né la carità, quindi nemmeno la giustizia e la pace, sia nei rapporti interpersonali, che nei rapporti sociali.

E questo annuncio, a Natale, lo facciamo con gioia, non certo per umiliare l’uomo. Perché il Verbo di Dio non è venuto a rinfacciarci la nostra debolezza e a rimproverarci per le nostre responsabilità, ma a prendere la nostra carne, per ridare dignità all’uomo, ad ogni uomo e ad ogni donna concreti (cf. il Prefazio di Natale III, che questa notte pregheremo).

Dio infatti si è degnato di farsi uomo come noi assumendo la nostra carne debole ed esposta al male e al dolore, perché ci ritiene degni di essere salvati dalle tenebre e da tutte le nostre schiavitù, perché “siamo preziosi ai suoi occhi”, e ci vuole liberi e pronti a vivere pienamente da fratelli che si amano, nella giustizia e nella verità.

Con l’incarnazione del Figlio ci ha restituito la dignità: anche se eravamo immersi nelle tenebre non ha disdegnato di mettersi in cammino con noi verso la luce e la vita.

Ci ha restituito la libertà: è iniziata una storia nuova, dove sono ora possibili quei beni che prima erano solo un desiderio.

Certo non siamo ancora nella pienezza. Ma proprio in questo tempo intermedio, il Signore affida a noi la responsabilità di progredire verso la realizzazione di un nuovo modo di vivere e di con–vivere: nella cura del fratello, nel rispetto per il creato, nella custodia della vita, nella difesa giusta del debole. Iniziamo perciò già ora a riconoscere che ogni uomo e ogni donna, hanno una dignità assoluta, che non può essere diminuita o svenduta, umiliata o sacrificata né per obiettivi generali né per l’interesse o il piacere o il potere di qualcuno. Ogni uomo e ogni donna, soprattutto i piccoli, sono sotto lo sguardo di Dio e del suo Figlio: chi viola la loro dignità dovrà fare i conti con la giustizia divina.

Svegliati, uomo: per te Dio si è fatto uomo!

L’esortazione di S. Agostino, in uno dei suoi Discorsi sul Natale: “Svegliati (rialzati, fatti coraggio), uomo: per te Dio si è fatto uomo”, è un invito che ci scambiamo volentieri in questa liturgia. Non siamo qui a commemorare un evento passato, ma ad accogliere, per la potenza del sacramento che celebriamo, la trasformazione del cuore, della mente e della volontà operata dall’incarnazione del Figlio di Dio. La gioia e la gratitudine ci spingono al “rendimento di grazie” a Colui che ha mandato il Figlio a portare luce nelle tenebre, pace e riconciliazione. Con la liturgia del Natale poniamo le fondamenta per la civiltà dell’amore.

La prospettiva per noi che abbiamo fatto dell’Incarnazione di Dio il mistero centrale della nostra fede, non può essere quella di addormentarci, appesantiti dalla tristezza dei tempi. “Svegliati, alzati, coraggio… uomo”: è l’annuncio che dobbiamo trasmettere senza vergogna, con una gioia intensa, con una disponibilità senza ombre alla verità, con una carità generosa e attenta alla vita dell’altro fin nei particolari.

L’annuncio ai nostri fratelli, oggi così disorientati dagli idoli del mondo che li hanno illusi e traditi, è questo: “Per te Dio si è fatto uomo!” e ti propone una via di luce, nella semplicità, nella sobrietà, nell’umiltà del presepio. Se lo imiti, non brillerai di gloria umana, non peserà il tuo potere sugli altri, non accumulerai molti tesori, ma troverai il senso della tua esistenza sulla terra e scoprirai la possibilità di realizzarti nel dono sincero di te agli altri, come ha fatto Lui.

Buon Natale.

+ Lorenzo Ghizzoni, Ausiliare

Cattedrale di Reggio Emilia, 25 dicembre 2009