E' Natale e anche la nostra redazione non intende lasciarlo passare "inosservato" nel mare magnum di notizie di vario tenore - spesso del tutto stridenti con la grande festività cristiana. Così, come accade da qualche anno, proponiamo ai nostri lettori un racconto. Eccovi quello 2009. Intendiamo porgere in questo modo i nostri migliori auguri a tutti.
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C’era una volta un giovane Passero che, come tutti i suoi fratelli ed amichetti, ruzzava felice sul prato sotto l’occhio vigile dei Passeri adulti che vegliavano affinché nessun Gatto Nemico si avvicinasse loro. Era ancora molto piccolo, le piume che avrebbero consentito di spiccare i primi voletti erano appena spuntate e non si poteva esser certi che qualche randagio malintenzionato non lo tenesse d’occhio per farne un boccone.
Il luogo che i Grandi avevano scelto per allevare le nidiate era chiamato dagli strani esseri che camminavano su due sole zampe “I Fori Imperiali della Città Eterna”, ma qualunque cosa significasse a loro importava solo che ci fossero nicchie sicure ove costruire i nidi e che non fosse frequentato da individui pericolosi.
Il Passerotto aveva un carattere vivace e curioso che rappresentava la disperazione dei genitori e di tutti gli adulti che avevano la tutela dei piccoli; gli piaceva avventurarsi da solo per curiosare tra quelle strane pietre che erano la principale attrattiva per le Due Zampe.
Aveva sentito raccontare dagli Anziani che in alcuni periodi dell’anno ne giungevano a frotte, spesso al seguito di un Due Zampe che parlava indicando con grandi gesti dall’una o dall’altra parte. Per la comunità dei Passeri ciò rappresentava una grave fonte di disturbo compensata, però, dall’immensa quantità di cibo che rimaneva sul terreno poiché i Due Zampe, mentre rimanevano imbambolati ad osservare quegli inutili sassi che chiamavano “rovine”, erano usi mangiare dei grossi semi dai quali cadevano pezzi di cui i Passeri erano ghiottissimi. Inoltre vi era sempre un’inesauribile fonte d’acqua: era facilissimo, infatti, trovarne nelle particolari cavità d’alcune lastre di pietra posate a terra o, in estate, nelle pozze circondate da elaborate figure che erano nelle vicinanze.
Solo la sera il territorio era vietato alla comunità; molte generazioni di Passeri addietro si era stabilita una legge secondo la quale era severamente proibito aggirarsi tra le rovine perché i Gatti Nemici erano dotati della facoltà di vedere nel buio e ciò rendeva i Passeri una facile preda.
Ma torniamo al nostro piccolo Passerotto: come abbiamo detto aveva un temperamento un po’ ribelle, gli piaceva rotolarsi nella polvere quando era ora di imparare a scegliere tra i semi buoni da mangiare e quelli cattivi e proprio non c’era verso di tenerlo nel nido durante le ore più calde quando tutti, anche i Grandi, cercavano ristoro nei nidi freschi e riparati.
Ruzzava tra l’erba e s’inerpicava sulle pietre con animo di scalatore, si annoiava a sentire le solite cose: “Bisogna imparare a cercare il cibo e un buon riparo, sono le uniche cose che un bravo Passero deve sapere, è così per voi come lo è stato per noi prima di voi e per migliaia di generazioni di Passeri prima di noi”.
“Uffa - pensava Passerotto – non posso certo passare tutto il tempo ad ingozzarmi e a dormire, ci sarà pure qualcosa di più interessante in questo posto!”. Ma quando rivolse questa domanda agli Anziani essi lo guardarono contrariati e lo redarguirono duramente per non volersi sottoporre alle regole che a tutti i Passeri avevano da sempre assicurato una vita serena e duratura. Cos’altro c’era mai da sapere se non come assicurarsi una tranquilla esistenza fino al momento in cui ognuno sarebbe stato chiamato a visitare il Nido del Primo Passero?
“Dov’è questo posto? – esclamò ispirato da una nuova curiosità Passerotto – voglio andare a vederlo!”. “Non puoi – risposero in coro gli Anziani – sono ammessi solo i Passeri che scompaiono o che si addormentano senza svegliarsi più”.
Passerotto rimase rattristato dalla risposta, sicché si aggirò tra le rovine mangiucchiando qualche seme trovato per caso, ma di malavoglia. Era troppo assorto nei suoi pensieri, finché giunse nel luogo dove i suoi amici si divertivano facendo il bagno nella polvere e lanciandosene nuvole con le ali, sotto gli occhi amorevoli e compiaciuti dei Passeri Guardiani.
Uno di questi amici, da sempre il compagno di giochi preferito, gli lanciò un’alata di polvere per invitarlo ad unirsi allo svago, ma Passerotto non rispose al richiamo né si adombrò, restò come inerte perché il suo solo pensiero era “E’ tutto qui?, è solo questo e per il resto della mia vita?”.
Osservò il gruppo di piccoli e non si riconobbe uguale a loro, non lo divertiva più fare il bagno nella polvere, né cercare il seme o il verme più gustoso o l’acqua più cristallina.
A piccoli e svogliati saltelli si diresse verso una pietra nei cui solchi si era depositata l’acqua dell’ultimo temporale; talvolta, infatti, il cielo si oscurava all’improvviso e una pioggia torrenziale costringeva tutta la comunità a cercare riparo per non subire irrimediabili danni alle penne giacché le gocce cadevano con tanta violenza che parevano schiaffi e gli Anziani raccontavano di Passeri ormai scomparsi che n’avevano avuto addirittura le ali spezzate. Ma quando il cielo tornava azzurro ed il sole scaldava nuovamente l’erba e le pietre, rimaneva acqua in quei solchi per molto tempo.
Si diresse verso uno di essi per ripulirsi il becco dalla polvere che gli aveva lanciato l’amico e che gli bruciava la gola, si sciacquò per bene ma l’acqua non era sufficiente a lenire il bruciore, perciò si rivolse verso il solco più vicino per attingerne dell’altra.
Quando anche l’ultimo granello fu rimosso si aggirò annoiato sulla lastra e per puro caso vide che i due solchi che aveva vuotato erano uguali tra loro; li guardò incuriosito, tanto più che non sembravano simili alle crepe che aveva visto in altri sassi e avevano un’intrinseca bellezza ed armonia che ammaliava il suo sguardo. Fu così che iniziò ad osservare con attenzione tutti i solchi che avevano queste caratteristiche, trovandone d’uguali ai primi, ma anche di molto diversi.
Fu l’uguaglianza a colpirlo: gli Anziani avevano insegnato ai Piccoli che non esistono due Passeri identici tra loro, com’era dunque possibile che delle cose inanimate potessero essere uguali? Rinvigorito da questa nuova curiosità saltellò il più velocemente possibile verso il ramo sul quale gli Anziani erano soliti appollaiarsi e si rivolse loro con quanto fiato aveva in gola: “Perché le pietre possono essere uguali se noi, che pure le usiamo, non possiamo?”.
Uno degli Anziani rivolse il capo in basso, verso di lui, con uno sguardo d’evidente fastidio e compatimento – “Ancora tu, con le tue sciocche domande!, dimmi piuttosto quanto buon cibo hai mangiato fino ad ora?, quando scenderà la notte e pigolerai per la fame nessuno ne avrà per te, perciò va’ ad occuparti di cose più serie!”- e volse il capo come se Passerotto fosse già saltellato via.
Passerotto sapeva che l’Anziano aveva ragione, immerso nei suoi pensieri si era dimenticato di mangiare quanto bastava per affrontare la notte fino al momento in cui sarebbe stato possibile cercare il cibo senza troppi rischi, ormai il sole calava ed i Passeri Guardiani lanciarono il richiamo per tutta la comunità: era ora di ritirarsi nei nidi, la luce non consentiva più ai loro occhi di avvistare i Gatti Nemici con i loro sguardi notturni e la loro insaziabile fame di Passeri.
Anche Passerotto si diresse verso il nido della sua famiglia e si accucciò in un angolo cercando di prendere sonno.
Dopo qualche ora si destò, il Passero Anziano aveva avuto ragione, lo stomaco brontolava per la fame e ormai di dormire non se ne parlava più. Non si azzardò neppure a svegliare la Mamma temendo che lo sgridasse per non aver assolto il compito di nutrirsi da solo. Però la fame era davvero tanta, ma tanta che a Passerotto venne l’idea di avventurarsi a cercare qualcosa da mangiare, infrangendo così la regola più severa ed osservata dalla comunità dal tempo dei tempi: non uscire dal nido di notte.
“Se sarò svelto non se ne accorgerà nessuno e forse sarò abbastanza fortunato da trovare qualcosa da mangiare”.
Con cautela si scostò dai genitori e dai fratelli che dormivano placidamente dopo aver trascorso la giornata alla ricerca di buon cibo e buona acqua come ogni bravo Passero aveva il dovere di fare, scese dal nido e per la prima volta si trovò nel luogo che conosceva, ma solo e al buio.
La luna appoggiava i suoi raggi lattiginosi su ogni cosa permettendogli di intravedere ciò che di giorno gli era familiare, iniziò ad aggirarsi con cautela, un saltello dopo l’altro, stando attento a non fare il più leggero rumore.
D’un tratto, però, fu colpito da un terribile spavento: due immensi occhi gialli lo guardavano dall’alto, Passerotto pensò di aver incontrato un Gatto Nemico e rimase immobile nell’attesa dell’ineluttabile fine che gli Anziani gli avevano raccontato.
“Cosa ci fai in giro, piccolo incosciente?” – la voce sopraggiunse inaspettata, rauca ed un po’ scherzosa, Passerotto riaprì gli occhi che aveva serrati nell’attesa dell’orribile fine e si guardò attorno. Alzando il capo vide appollaiato su un grosso ramo uno strano tipo d’uccello e con la voce ancora tremante per la paura chiese: “Chi sei?”. “Sono Mastro Gufo” – risposero gli occhioni gialli. “Non ti avevo mai visto né avevo mai sentito parlare di te, anche tu mangi i Passeri come i Gatti Nemici?”. “Credi davvero che se mi cibassi di quelli come te saresti ancora qui a parlarmi? – ribatté Mastro Gufo – io esco dal mio nido la notte, quando voi Passeri rumorosi mi lasciate finalmente il silenzio necessario per riflettere sulle cose importanti della vita”.
“Anch’io, sai, mi domando delle cose, per esempio: deve pur esserci qualcosa che vada oltre il solo fatto di mangiare, bere, dormire e giocare”. “Il significato della vita, ecco cosa vai cercando, mio piccolo e giovane scapestrato”.
Passerotto restò pensieroso qualche minuto mentre Mastro Gufo lo osservava e mutava la sua iniziale curiosità in vero interesse per quello strano tipo.
“Vorrei poter restare con te, ma io non vedo nel buio e corro un grosso rischio, sono uscito dal nido per la fame e se gli altri Passeri mi scoprissero potrebbero cacciarmi dalla comunità per aver infranto la Legge Sulla Notte”.
“Ogni cosa comporta un prezzo da pagare, io posso vegliare sulla tua sicurezza quando sei con me, ma sta a te decidere se ne vale la pena; io posso trasmetterti ciò che ho imparato nei miei lunghi anni di studio, ma tu sei disposto a sacrificare il tuo posto nel mondo per apprenderli?”. “Sì – fu la subitanea risposta di Passerotto – quanto tempo ci vorrà?”. “Quanto ne occorrerà a te per imparare ciò che desideri – disse Mastro Gufo, poi aggiunse – ora torna nel nido e riflettici, se domani notte ti vedrò tornare farò di te il mio allievo”.
Passerotto tornò sui suoi saltelli e guadagnò la strada del nido, nessuno si era accorto della sua assenza, si accoccolò tra i membri della famiglia ma non riuscì a dormire, non sentiva più neppure i morsi della fame per i quali aveva corso dei tremendi rischi, pensava solo alle parole di Mastro Gufo. “Andrò” - decise e finalmente si addormentò.
Non fu una notte di sonno quieto come tutte le altre, sognò i Gatti Nemici che dilaniavano il suo corpicino e gli Anziani che lo scacciavano dalla comunità per aver infranto la Legge Sulla Notte, si vide solo nel mondo senza più alcun amico che gli rivolgesse la parola o gli offrisse asilo, ma il mattino, quando si svegliò sudato ed agitato per i terribili incubi, la sua decisione non vacillò: “Andrò”.
Trascorse la giornata imitando il comportamento dei suoi compagni di gioco per passare inosservato e convincere gli Anziani che aveva messo il capino a posto, ma attendeva l’oscurità con trepidazione e gioia.
Giunto il buio ripeté l’impresa della notte precedente e si diresse senza incertezze nella direzione degli occhioni gialli. “Voglio sapere!” – esordì senza neppure l’ombra di un Buonasera. Mastro Gufo lo guardò e gli pose una domanda: “So che hai chiesto agli Anziani di quegli strani solchi, cosa sai a riguardo?”.
“Nulla – rispose Passerotto – so solo che alcuni sono uguali tra loro e che, cercando bene, se ne trovano di simili su molte delle pietre che ci sono sparse qui attorno”. “Hanno una particolare grazia – aggiunse – per questo mi sono incuriosito, ma non so di più”.
“Quei solchi sono lettere – esordì Mastro Gufo gonfiando tutte le penne con la pompa di chi si appresta a fare una rivelazione importantissima – ed hanno la funzione di comporre parole che esprimono pensieri. Il compito per domani sarà imparare a distinguerle le une dalle altre e per agevolarti ti darò un pezzo di corteccia su cui ho trascritto tutte le lettere che si trovano in questo posto, ora vai”.
Il giorno appresso Passerotto, nascondendo il frammento di corteccia sotto le piume, si aggirò furtivamente sulle lastre di pietra per imparare a distinguere le lettere le une dalle altre come Mastro Gufo gli aveva raccomandato di fare. La notte stessa, eccitatissimo, si presentò all’incontro e Mastro Gufo gli insegnò a comporre le parole che usava per parlare attraverso le lettere delle pietre.
Fu un compito lungo e faticoso che durò molte notti ma alla fine, trionfante, Mastro Gufo disse ad un esausto Passerotto: “Ora sai leggere e scrivere”. “E a che mi serve?” - chiese con un filo di voce il piccolo allievo. “A comprendere i pensieri che non sono tuoi, ad apprendere le conoscenze di chi è stato prima di te e che ha lasciato incise per sempre, oltre la sua stessa vita, su quelle pietre che ti piacciono tanto” – rispose Mastro Gufo.
“Su quale posso imparare il significato della vita?” – domandò Passerotto intuendo finalmente la ragione di tanto studio. “Devi oltrepassare la siepe che delimita il confine della Comunità dei Passeri – esordì Mastro Gufo – dietro a quella siepe, quasi nascosta dal muschio e dalla polvere, si trova una pietra che risponde alla tua domanda. La distinguerai dalle altre perché è assai più recente e siccome non è stata scolpita dagli stessi Due Zampe che hanno edificato i “Fori Imperiali” l’hanno gettata lontano. Ma – e la voce di Mastro Gufo si fece grave – io non potrò proteggerti oltre la siepe, devi essere consapevole che la risposta che vuoi richiede il rischio della tua vita”.
Passerotto guardò negli occhi il suo maestro e disse: “A che mi serve una vita della quale non conosco il senso e lo scopo?; tu non mi dai scelta: devo andare”.
“Prendi questa corteccia tenera – disse Mastro Gufo – e con il becco incidi su di essa le parole che troverai, poi torna da me”.
Passerotto saltellò verso il confine della comunità e più si avvicinava alla siepe più avvertiva dentro di sé un senso di paura che aumentava ad ogni balzo. Si fermò proprio prima di catapultarsi nel mondo sconosciuto ed irto di pericoli che lo attendeva. “Che cosa mi trattiene? – si chiese – Sono terrorizzato, questa è la verità, ma se non avessi paura potrei fare qualunque cosa. Dunque è la paura che mi rende prigioniero, senza di essa sarei un Passero libero”. Senza più esitare entrò nel territorio sconosciuto e zampettò alla ricerca della lastra indicatagli da Mastro Gufo. Non badava più a non fare rumori, non gli interessava neppure di incontrare i Gatti Nemici o pericoli ancora peggiori, non aveva più paura e disse a sé stesso “Questa è già una risposta, non importa se non tornerò indietro perché il senso di libertà che ho conquistato con questo gesto dà già un significato alla mia vita”.
Questa riflessione infuse in Passerotto un senso di calore e di felicità che lo esortò a cercare con maggiore lena e finalmente trovò la pietra che gli aveva indicato Mastro Gufo. In fretta incise sulla corteccia le lettere che leggeva e quand’ebbe terminato si adombrò, non comprendendo il significato delle parole. Tornò da Mastro Gufo che lo attendeva sul solito ramo e gli disse con tono deluso: “Non hanno senso, sono parole che non significano nulla!”.
“Perché sei un presuntuoso ignorante – lo rimproverò Mastro Gufo – stai leggendo una lingua antica che da centinaia d’anni non si usa più per parlare, leggo io per te: COGITO, ERGO SUM., che significa: PENSO, DUNQUE ESISTO.”
Passerotto reclinò il capo riflettendo sul significato di quanto gli aveva letto il suo maestro e pronto ribatté: “Ma anche le pietre esistono eppure non pensano anche se, come hai detto tu, durano più della nostra vita”.
“Esistere non significa solo possedere la facoltà di pensare, ma anche accrescere la nostra conoscenza su quanto ci circonda, riflettervi, avere delle proprie opinioni ed il coraggio di non sottrarsi mai ad essa, per quanto alto sia il prezzo che chiede per rivelarsi, perché la conoscenza ha fame di se stessa e non smette mai di voler imparare. Alcuni lasciano le loro parole scritte affinché ciò che hanno appreso non vada perduto. Quello che hai letto rappresenta per me il significato della vita, ma ognuno deve cercare da solo la propria risposta. Ora vai, non ho altro da insegnarti”.
Passerotto indietreggiò colpito da quelle parole, non riuscì a dire nulla al maestro che per tante notti gli aveva insegnato e lo aveva protetto; Mastro Gufo lo guardò allontanarsi e distolse lo sguardo da quel piccolo essere quasi con un senso di rimorso perché sapeva che aveva imboccato una strada che non avrebbe potuto lasciare mai più.
Passerotto riprese la via del nido, ma la forza della rivelazione di Mastro Gufo lo aveva colpito con tale violenza che dimenticò le usuali precauzioni e calpestò un rametto secco producendo uno schiocco che svegliò tutta la comunità.
Fu molto facile scoprire chi aveva infranto la Legge Sulla Notte, ogni famiglia fece la conta di chi era presente nel nido ed un nome fu pronunciato ad alta voce, come un’accusa: Passerotto.
Il mattino dopo, appena i Passeri Guardiani garantirono la sicurezza alla comunità, Passerotto fu convocato alla presenza degli Anziani, il cielo era cupo ed i Guardiani avevano annunciato un imminente nubifragio, perciò il tempo a disposizione era poco.
“Tu hai infranto la Legge Sulla Notte e conosci la punizione che ti spetta, ma ti concediamo di giustificare la tua colpa” - esordì il Capo Anziano.
“Ho voluto apprendere la conoscenza – rispose Passerotto – voglio rispondere a me stesso quando mi domando che cosa sono e per quale scopo esisto, a cosa mi conduce ripetere ogni giorno gli stessi gesti: mangiare, bere, dormire. Voglio sapere quale traccia rimarrà di me nella comunità e qual è il mio posto in essa”.
“Tu non hai alcun posto nella comunità – esordì l’Anziano – non esistono posti speciali, ogni Passero compie quanto è già stato fatto dai suoi avi e non deve chiedersene la ragione, perché è così che è sempre stato e sempre dovrà essere”.
“Ma io sono un individuo! – gridò Passerotto con gli occhi che si colmavano di lacrime perché era ormai consapevole che parlava agli Anziani che non volevano, non potevano capire – ho pensieri miei che sono diversi da quelli di chiunque altro, che posso trasmettere e voglio conoscere i vostri!”.
Il Capo Anziano si levò sulle zampe e si rivolse a Passerotto: “Sei bandito! con queste parole tu, Passerotto, non fai più parte della Comunità dei Passeri, nessuno potrà rivolgerti la parola, né procacciarti cibo o fornirti riparo. Da questo momento non esisti più”.
“Ma è proprio da questo momento che esisto – urlò Passerotto a tutti ed in fondo a nessuno – io ho pensieri miei che non potrete togliermi con nessun bando, voi non volete ascoltare né vedere perché siete sordi e ciechi a qualunque cosa non sia uguale a voi. Siete voi che non esistete perché siete tutti così uguali che la scomparsa di uno di voi non cambia nulla ed invece dovrebbe, dovrebbe, perché ognuno di noi è particolare e insostituibile!”.
“Puoi andare, queste sono le ultime parole che udrai dalla comunità”.
Passerotto volse il capo e con gli occhi resi ormai ciechi dalle lacrime riuscì ad intravedere solo teste che si giravano, si nascondevano e occhi che non lo guardavano.
Ricompose le penne che si erano arruffate durante la sua animata discussione e voltò le ali alla comunità che si era raccolta in un gruppo compatto e attonito. Sapeva quello che avrebbe fatto, voleva l’ultima conoscenza possibile a chi non ha più voce e ne accettava il prezzo: in fondo non era poi così alto.
Raggiunse la lastra oltre la siepe, al termine della frase c’era un buco rotondo il cui nome era “punto”, si adagiò al suo interno. Passerotto era così piccolo che la cavità poteva contenerlo fin oltre il suo capino. “Sono pronto per conoscerti Primo Passero, pago il prezzo che chiedi”, si accoccolò e guardò in alto.
Il cielo si fece improvvisamente cupo e la prima goccia di pioggia colpì il minuscolo becco come una sassata voltandogli il capo. Passerotto lo girò di nuovo e continuò ad osservare il cielo e le perle d’acqua lucente che scendevano sempre più numerose. E mentre la pioggia riempiva sempre più in fretta il “punto” che lui aveva scelto, trepidante e con gli occhi sbarrati, aspettò l’arrivo dell’ultima conoscenza.
Ormai stremato, gli parve di scorgere il Primo Passero, bellissimo, che scendeva presso di lui, lo accarezzava e fissandolo gli chiedeva: “Dimmi, dunque, hai finalmente trovato le risposte che cercavi?”. “Sì - rispose Passerotto - ne sono davvero felice e non ho alcun rimpianto del passato!”. “La tua determinazione e il tuo coraggio - soggiunse Primo Passero - sono certamente inconsueti: meriti, quindi, un premio. Tornerai perciò tra i Passeri come mio messaggero e con la tua storia e le tue conoscenze li cambierai perché comprendano come non si possa esistere senza pensare e, pensando, ci si avvicini sempre più alla verità assoluta per trovare la luce, la pace, il calore e l’amore”.
La prima su Redacon. Un vero piacere
La montagna sa, alle volte, rivelarsi scrigno di sorprese, cultura, cuore.
Eccone un caso con perle d’Autore in passaggi davvero inaspettati.
Vorremo leggerti ancora.
(Fulminant La Penna)