Natale tempo di regali e acquisti. E poi arrivano i saldi. Anche quest'anno ci saranno frenesia ed eccitazione? Feste, consumo, abbondanza di cibo, dolci e spumante simboleggiano voglia di celebrazione, calore e vicinanza che raggiungono l'apoteosi in questo periodo dell'anno. Ma "mala tempora currunt" e in tempi di restrizione economica come si comportano le persone? Rinunciare ai regali?
Usare la creatività o acquistare idee già pronte?
Quanto denaro si è disposti a investire sul Natale?
Assalto ai saldi?
Di seguito una riflessione su una modalità comportamentale riguardo allo shopping che può diventare disfunzionale e un piccolo test da autosomministrarsi per riflettere se dietro all'acquisto sfrenato c'è una insoddisfazione che non è possibile colmare con beni materiali.
Lo shopping può essere usato in modo terapeutico. Comprarsi oggetti desiderati, che diventano status symbol, oggetti totem per l’individuo, può essere gratificante. Concedersi oggetti tanto sospirati o di valore può assumere significati simbolici e rappresentativi nella vita dell’individuo. Sentire di avere potere di acquisto crea nella persona un senso di autoefficacia, di realizzazione. Fare acquisti e seguire la moda può essere creativo, divertente. Si tratta di una modalità compensatoria, innocente vanità che solleva il morale e aumenta il benessere.
Altra cosa è lo shopping ossessivo e compulsivo.
Esso viene attuato come un comportamento che permette di fuggire una realtà spiacevole, come ogni altro uso di sostanza. Segue un iter ben preciso: insoddisfazione implacabile, irritabilità, ansia. Acquisto. Profonda soddisfazione momentanea. Infine down, angoscia e una serie di sentimenti negativi.
A livello dei neurotrasmettitori è coinvolto il circuito dopaminergico, carente. Si crea un picco adrenalico che illude la persona di essere onnipotente, il controllo viene perso e l’individuo finisce in un vortice senza fine, dove non c’è un limite e l’acquistare diventa fine a se stesso, diventa incontenibile, pressante, senza controllo. Degli oggetti acquistati non vi è in realtà alcun bisogno. Essi non verranno, nella maggior parte dei casi, nemmeno mai utilizzati. Forse regalati o nascosti. I compratori compulsivi si dividono in categorie come Collezionisti, Onnivori, Affaristi (ricerca di offerte, aste on line). Il momento dell’acquisto è progettato maniacalmente, diventa un rito personale, segreto, quasi una trance ipnotica, dove si prova un falso senso di liberazione dai problemi.
Quanto è diffusa come patologia?
Nel 2001 lo shopping compulsivo è stato riconosciuto come un disturbo ossessivo compulsivo dall’APA (American Psychiatric Association) ma non ancora inserito nel DSM-IV (Manuale statistico delle malattie mentali). L’80% sono donne. La fascia d’età 30-40 anni. Livello culturale medio-alto. Le statistiche ancora non sono attendibili, ma come ogni altra Nuova Dipendenza è un comportamento che si sta diffondendo come frutto di una tipologia precisa inserita in una specifica società.
Come riconoscerla?
Come in ogni dipendenza, lo shop addicted viene sopraffatto dalla vergogna, rimorso e senso di colpa dopo aver messo in scena il rituale degli acquisti. Il compratore compulsivo sente una solitudine incolmabile che nessun oggetto potrà colmare, può essere presente dissociazione, come vedersi dal di fuori mentre si acquista, disperazione e impotenza, depressione. Si instaura così il loop bisogno-comportamento disfunzionale-angoscia e di nuovo comportamento disfunzionale compensatorio nel tentativo di riparare e alleviare. E accade di sentirsi come risucchiati da disperazione e sentimenti autodistruttivi. Le conseguenze di tale comportamento sono isolamento, debiti crescenti, si arriva a spendere fino a più di dieci volte quanto guadagnato, paura di essere scoperti, sotterfugi, richiesta di prestiti, fino a cadere nelle mani degli usurai nel tentaivo di porre rimedio ad una spirale malefica. Chi convive con la persona affetta da ossessione per gli acquisti sperimenta un crescente senso di paura, impotenza, inutilità e non comprende la malattia dell’altro che è visto come irresponsabile, “cattivo”, insensibile. M$entre l'altro ha bisogno di una dose di acquisti sempre maggiore per sentire il picco adrenalinico, pari a qualsiasi altra dipendenza.
Può essere curato?
Molti tossici dello shopping soffrono di altre dipendenze associate, essi spesso abusano di sostanze, può essere presente un disturbo alimentare, disturbo d’ansia generalizzata o un altro disturbo dell’umore.
E’ possibile rispondere al seguente questionario, in caso di risposte QUANTITATIVAMENTE significative, è indicato fare una riflessione sui propri bisogni emotivi.
Scala di valutazione per lo shopping compulsivo
Quanto frequentemente acquista cose che non usa?
Quanto frequentemente acquista cose senza avere il denaro sufficiente?
Quanto spesso raccoglie oggetti che altri hanno gettato?
Quanto si sente in obbligo di acquistare qualcosa anche se non le occorre?
Quanto spesso si sente in ansia o depresso quando non acquista qualcosa che avrebbe veramente voluto?
Quanto spesso fa acquisti per sentirsi meglio?
Quanto spesso sente il bisogno di possedere assolutamente qualcosa che vede mentre sta facendo shopping?
Fino a che punto si sente angosciato o sconvolto per aver comprato oggetti superflui?
Lo shopping eccessivo le ha causato difficoltà finanziarie?
Lo shopping eccessivo ha interferito sulla sua vita sociale o sul suo lavoro?
Lei guarda nei rifiuti di altre persone per trovare cose da portare a casa?
Spende più tempo del voluto facendo shopping?
Sporadicamente ognuno può ritrovarsi in comportamenti non proprio adattivi, tuttavia il problema sta nella frequenza. Farsi tentare dalle vetrine resta un piccolo piacere se sporadico e supportato dalla voglia di fare regali a chi si ama, dimostrando, attraverso il gesto e non l'oggetto, un affetto implicito e così simbolizzato.
Shopping compulsivo e avarizia…
Questo articolo mi ha colpito molto. Da
commerciante ormai di una certa esperienza, sto a contatto con la gente tutto il giorno e ne ho viste anche di queste. Mi è capitato di notare questo comportamento, la persona sembra imbambolata, in vari casi ho provato a parlarle, prendendo il discorso alla larga e “sondando” l’effettiva importanza dell’acquisto. A volte sono numerosi regali per terze persone, a volte prendono l’oggetto per sè; tuttavia il più delle volte dopo una bella chiacchierata e dopo aver lasciato parlare di sè quella persona, “il bisogno” se n’è andato, come dimenticato. Ho notato anche che la stessa persona è tornata successivamente ed un po’ timidamente “cercando” non più oggetti bensì di fare “due chiacchiere”.
Conclusione senza troppi paroloni che ingrandiscono solo la cosa: un po’ di attenzione e di amore verso una persona sola possono fare molto.
Mi è capitato anche di vedere un mio “collega” approfittarsi di una situazione del genere e purtroppo non ho avuto la possibilità di “affrontarlo” ma gli auguro che il suo karma agisca in proporzione! Detto questo però c’è da dire che lo shopping compulsivo è decisamente molto raro, questo per la mia modesta esperienza. Molto più frequente è l’avarizia, figlia disperata del nostro capitalismo, e invito la dottoressa Canovi a trattarne; l’avaro non è mai povero, è sempre ricco o benestante, generalmente ha un carattere forte, per lui è sempre tutto troppo caro, e te lo dice in faccia. Piuttosto che darti 30 euro per un oggetto fa un’ora di macchina per spenderne 20 ma intanto compra altri 200 euro di merce perchè è in offerta, dando soldi a un centro commerciale che spreca e produce tonnellate di CO2. Non pensa che quei 10 euro ti servono per mantenere la tua famiglia, eppure anche in questi giorni quanti clienti che percepiscono neanche 1000 euro al mese hanno fatto compere nel mio negozio, e non morranno di fame…
L’avaro ha una personalità inattaccabile, blindata come la cassaforte di casa sua, ma penso provi un’enorme solitudine… Io quando ne incontro cerco sempre di offrire loro qualcosa…
Saluti a tutti!!!!!!
(Commento firmato)
Dell’avarizia e altri disagi
Gentile Signor commerciante, mi scuso se le rispondo solo ora, ma le feste mi hanno travolto e ho visto solo ora il suo interessante commento che porta alla luce un tema importante e che chi vende ha ben sott’occhio: il rapporto col denaro. Il denaro ‘sta per’, è un simbolo, e come tale racchiude in sé svariati significati. Le attribuzioni di significato sono sia individuali sia collettivi e propri di una società. L’avere nella nostra società a regime capitalistico ha un senso che è sommatorio; più è, meglio è. Tuttavia il voler avere sempre più nasconde una fame di essere. E come lei ha acutamente osservato il rituale dell’acquisto può simboleggiare ‘altro’. Così come ‘altro’ nasconde chi non vuole spendere ma vuole solo avere. Solitamente il non volere dare implica un’attitudine narcisistica; ci sono persone che soffrono di disturbi di personalità, non malattie vere e proprie ma modalità disfunzionali di relazionarsi con se stessi e con il mondo. E queste modalità distorte trapelano anche dall’utilizzo dei simboli, nello specifico il denaro. Ha colto bene: chi soffre di manie di grandiosità, di carenza di empatia, di speculazioni che appaiono egoismo puro, nasconde una grande solitudine, insicurezza e carenza di autostima. Che crede di compensare con presunti affari, risparmi autocentrati; e spesso tale atteggiamento non ha nulla a che fare con lo stipendio percepito. Ci sono persone umili, che guadagnano stipendi modesti, che sanno essere generose, empatiche, danno valore alle relazioni e non all’accumulo di ricchezza, sono serene e non hanno il bisogno di aggrapparsi a oggetti e a calcoli sterili. Prima di giudicare e condannare tali comportamenti è opportuno ricordare che sono dovuti a una incapacità di fluire in modo rilassato con l’esistenza, di fatto le persone ‘avare’ non sono mai sazie, mai paghe. La povertà interiore è ben più dolorosa che il dover far quadrare il bilancio.
Infine il suo commento ci ricorda che ognuno può essere ‘terapeuta’ per gli altri. Il negoziante consapevole che dietro al bisogno di acquistare ci può essere anche la ricerca di conforto potrà essere di gran aiuto ai propri clienti; di fatto la più grande terapia è l’accoglienza, è il saper ascoltare. Come osserva, magari entrano da lei per fare due chiacchiere non sapendo bene nemmeno loro cosa cercano, e lei dimostra di riconoscere il bisogno che va ‘oltre’. Da quanto scrive lei è un bravissimo ‘terapeuta’.
(Ameya Gabriella Canovi)
Si riveli, Sig/ra commerciante, sarebbe bello ri…conoscerla!!!
Sarebbe bello sapere chi è il/la commerciante del commento, mi compiaccio del suo atteggiamento nei confronti dei clienti, assai raro, nella mia esperienza. E’ più facile che cerchino di appiopparti un abito che ti sta EVIDENTEMENTE malissimo piuttosto che dimostrarsi professionali e consigliarti altro. Si riveli, non ne avrà che complimenti, anche di persona.
Complimenti anche alla dottoressa Canovi, sempre sensibile e puntuale nel trattare argomenti delicati e purtroppo assai diffusi.
(Celeste Grisendi)