Incontrando gruppi di genitori, le domande che pongono riguardano il “che fare” con i propri figli: "Io ne ho tre: ho sbagliato con il primo; con il secondo ho cercato di non ripetere quegli sbagli e ne ho fatti altri, con il terzo!".
Subito li rassicuro. I figli non vogliono genitori perfetti, si accontentano che siano passabili. Lo diceva anche il grande Bettelheim in un suo libro dal titolo: “Un genitore quasi perfetto”. Ho aggiunto che dal primo al terzo figlio sono cambiate tante cose: i mutamenti oggi sono rapidi, non sempre siamo in grado di riconoscerli, di accoglierli e governarli in modo da non provocare danni e mettere a frutto le potenzialità che essi contengono.
E’ un fatto che si sono moltiplicati i punti di riferimento. Fin dai primi anni di vita, da quando entrano nel mondo della scuola, alle fasi dell’adolescenza e della giovinezza, della maturità che si raggiunge più avanti negli anni. Gli esperti dicono che l’età della maturazione va da 15 ai 32/34 anni! Sentendo questo, più di un genitore si è spaventato: “Per così tanti anni li devo mantenere?”. Non è questione di mantenimento ma i problemi diminuiscono quando si aiutano a staccarsi da casa, responsabilizzandoli, sull’uso delle cose, del tempo, sul rapporto con le persone, sul sentirsi utili in famiglia e fuori, con un cammino graduale che, affrontato nei momenti giusti, rende “adulti” i nostri ragazzini.
Non è un compito facile per genitori sprovveduti o accentrati su se stessi, sui propri problemi, personali o di coppia, ma non è impossibile, se ci si avvale della collaborazione di altre famiglie, che hanno già fatto la stessa esperienza o si trovano nella stessa situazione con i figli. Anche il linguaggio, legato alle nuove tecnologie, crea distacco, lontananza per chi non le conosce, è analfabeta sul loro uso.
Comunque rimane vero, attuale, il linguaggio dell’amore, che funziona sotto tutti i cieli, tutti i meridiani e paralleli! Le cose non riempiono il cuore, neppure i facili “paradisi artificiali”,che sono le droghe o le fughe dalla realtà, mediante rapporti soltanto virtuali. Creassero serenità, donassero felicità, aiutassero a vivere sereni, avremmo trovato la ricetta giusta per i nostri ragazzi e ragazze! Ma sappiamo bene che non è così! I nostri figli vogliono sentirsi “vivi” e lo sono, se in casa ci sono autentici rapporti d’amore. E qui “il prezzo da pagare” è alto: il nostro stare con loro!
Colgo sempre come perle le sue riflessioni, Don. Mi stanno arrivando in un ordine cronologico inverso, peccato, ma questa è un’altra storia… La centralità dell’amore è innegabile nelle relazioni soprattutto quando gli altri sono figli. Mi permetto di aggiungere all’importanza dello star bene con loro la consapevolezza del momento che si sta vivendo. Un gioco, una conversazione, un momento con loro, possono diventare lezioni uniche e costruttive se si sa davvero cosa si sta vivendo. E l’esperienza, spesso, insegna più delle parole. Equazione del vivere: dolore, consapevolezza, perdono, amore, speranza=costruire. Allora si può sentire il cuore davvero pieno e può anche aver ragione Bollea quando dice che “le madri non sbagliano mai”. Può aver ragione sì, se interviene la Provvidenza!
Grazie.
(Giovanna Guazzetti)