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Società / Allarme Anoressia-Bulimia- Iperfagia: anche nel nostro territorio è una realtà innegabile

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Una dipendenza, un’ossessione. La perdita di peso diventa la ragione di vita. Più che “essere” magra la giovane anoressica ha in mente un percorso, un viaggio agli inferi: quello della lotta al cibarsi, della rinuncia alla vita.

Come il più consumato degli alcolisti, l’anoressica è tossica, la sua dose è il contenimento delle calorie. Non esiste altro pensiero se non quello del cibo negato, la scarica di adrenalina è pari a quella del giocatore d’azzardo quando sulla bilancia l’ago scende. Un fremito di trionfo, l’ossessione si placa per un breve momento. Poi il tormento riprende. Di più. Si deve alzare il tiro, cioè calare di nuovo le calorie. Far scendere il peso. Si innesca un rituale morboso, maniacale con numeri, calcoli, bilancia. Il resto del mondo sbiadisce, tutto ruota attorno al supporto della propria ossessione: farcela.

La ragione di vita dell’anoressica è sconfiggere il bisogno di cibo. Nell’illusione di poter rinunciare al nutrimento, vi è simbolicamente la rinuncia alla madre.

Non importa se il corpo si riempie di peluria, meglio se il ciclo mestruale scompare, una noia in meno. Non importa il colorito giallastro dovuto al mancato assorbimento della vitamina D, non importa la mancanza di vitalità, il corpo repellente ossuto e cachettico viene sempre percepito come "troppo".

L’anoressica non vuole avere un bel corpo, attraente e sensuale, ma vuole scomparire, vuole una perfezione illusoria.

Insoddisfazione perenne, infelicità costante, depressione caratterizzano l’umore di chi si priva volontariamente del cibo. Spesso chi soffre di anoressia nervosa ha in comorbilità un disturbo di personalità: istrionico, ossessivo compulsivo ma più frequentemente borderline.

Quando lo stato depressivo diventa intollerabile l’anoressica può arrivare e cercare nel suicidio una liberazione che non trova nella vita. Frequentemente l’odio per se stesse è così profondo che viene alleviato dal comportamento autolesionista. Un’alta percentuale di ragazze anoressiche si procura tagli sugli avambracci, nei piedi. Si usano lamette, forbici, materiali appuntiti. In quei momenti dichiarano di sentire almeno qualcosa, il dolore fisico, di gran lunga preferibile a quello psichico.

Le famiglie delle ragazze anoressiche hanno configurazioni abbastanza classiche secondo Minuchin (1976), terapeuta che si è occupato a lungo del fenomeno, e differiscono dal copione della famiglia della ragazza bulimica.

L’invischiamento è la prima caratteristica. La madre non accetta che la figlia sia altro da sé, non la concepisce come un’entità individuale, indipendente, ma la vive come un’estensione del proprio sé. L’anoressica non necessariamente non è stata amata, ma è stata nutrita in modo inadeguato per lei. Anche il troppo amore non permette all’individuo di essere se stesso. Il “troppo” amore genitoriale può soffocare, fagocitare, inghiottire la figlia, che si sente non vista, tanto quanto chi è stato deprivato. Il clima emotivo della famiglia è di una tensione costante ma mai affrontata, i conflitti vengono negati, sommersi, dissimulati. Nei casi di comorbilità con disturbi di personalità o fenomeni di dissociazione non sono infrequenti violenze e abusi sessuali durante l’infanzia.

Il ruolo della società nell’insorgere della malattia non è marginale. L’immagine della donna inesistente, inconsistente, tutta ossessionata da una dieta per diventare qualcosa che non è, conviene a una società maschilista.

Chi ha il potere gode dell’assenza di chi è “altrove” impegnato a inseguire una chimera. Una donna dipendente dal diventare ciò che non è, una donna che non si piace mai, insoddisfatta, aggressiva e violenta verso se stessa, intenta a martoriare il proprio corpo, la distoglie dall’essere presente a se stessa, e dalla partecipazione alla Res-pubblica .

La giovane anoressica è comoda, non si occupa di politica, non ha opinioni sui fatti accaduti, se studia, ha ottimi voti, ma per un perfezionismo estremo, senza nessun interesse per la vita comunitaria. La giovane che digiuna aborrisce le occasioni sociali, demonizza ogni cibo che non sia diet e light . È vero non consuma molto cibo, ma si lascerà facilmente manovrare.

E inoltre l’industria di cibi “zero calorie” è lì pronta a fiorire.

La ragazza anoressica è tutta intenta a scrivere pagine e pagine di conteggi e menù ipocalorici sui blog Pro-Ana, siti di comunità virtuali di mutuo sostegno in cui ci si scambiano consigli per dimagrire con velocità, suggerimenti su come resistere alle abbuffate in agguato, e inni alla dea ANA, filosofia di vita di colei che sposta sul digiuno l’enorme vuoto affettivo in cui naviga.

La mancanza di vero nutrimento porta a cibarsi di “altro”, sostanze, dipendenze da comportamenti, persone.

L’anoressica si illude di risolvere l’estremo bisogno di amore negandosi l’amore: affamata di amore, ella vi rinuncia. Non potendo avere la madre intera, finge con se stessa di poterne fare a meno, e simbolicamente impedisce che il mondo e la vita entrino dentro di sé. Solitudine e isolamento, espressione triste accompagnano l’anoressia. Unica compagna l’ amata e odiata bilancia.

Minuchin sostiene, in un’ottica sistemica del fenomeno, che la ragazza diventa l’accentratrice dei conflitti irrisolti nel cerchio familiare. Con il suo sintomo essa “salva” la famiglia da sfasci maggiori, diventa agnello sacrificale per ottenere cambiamenti nel comportamento di tutti i membri. E spesso riesce a attirare attenzioni, a mettere in moto sentimenti, a rinsaldare unioni che stavano vacillando. Lungi dal volere sostenere teorie colpevolizzanti che scaricano solo sui genitori le responsabilità, occorre fare una riflessione più ampia. Se l'1% delle adolescenti incontra un disturbo della condotta alimentare, non tutte poi continuano questa strada in salita e sviluppano la malattia vera e propria. Alcune rientrano nei canoni, sfiorano appena il tunnel ma poi ritornano indietro, fortunatamente. E tornano ad avere un rapporto sereno e funzionale col cibo, restando solo un brutto ricordo il periodo di fissa in cui non mangiavano. Per altre invece il percorso diventa estremo, sono necesari ricoveri e terapie intensive.

In un'epoca incerta e dai valori in rapido mutamento, il disagio può prendere la via di una dipendenza. Nessuno è escluso, nessuno si senta immune. Si cerca un appoggio per funzionare, per aggiustare, per comunicare la propria sofferenza. Che sia il cibo, il gioco d'azzardo, una sostanza, non importa il linguaggio che si sceglie per manifestare il dolore. E' sul dolore che si deve riflettere. Chiudere gli occhi e pensare che a noi non accadrà è negare il problema.

Paradossalmente il grido di aiuto e di dolore dell’anoressica rimette in moto l’amore tra i membri della famiglia, essa con il suo sintomo inconsciamente smuove vecchi rancori, obbliga la famiglia a porsi dei quesiti, a dialogare, a riunirsi. L’anoressica diventa una paladina dell’intero sistema, porta alla luce antiche ferite dell’intera famiglia. Che ne esce in alcuni casi rinsaldata.

Sul comportamento da abbuffata da cibo, variante di uno dei tanti disturbi della condotta alimentare : BULIMIA

Sull'alimentazione compulsiva senza condotta da eliminazione si veda anche DCA
e BINGE EATING DISORDER

4 COMMENTS


  1. Ciao Ameya, molto interessante il tuo articolo. Come sempre riesci a descrivere, con un linguaggio semplice (comprensibile a tutti) ma incisivo, le debolezze, le ossessioni, le dipendenze… degli esseri umani. E’proprio vero: “il dolore psichico” è di gran lunga più forte di “quello fisico”. Quanto siamo fragili!!!

    (Saura Montecchi)


  2. Ciao, Ameya, ho letto il tuo bel post sull’anoressia e concordo con tutto ciò che hai scritto. Tuttavia é difficile un commento su un argomento così vasto di cui tu hai toccato soltanto alcuni aspetti (d’altra parte non potevi scrivere un trattato…), ma in realtà sono infiniti.
    Sottolinerei, casomai, oltre tutto ciò che hai detto, anche l’influenza preponderante della società, dei mass-media e soprattutto della moda che ha sposato essenzialmente due tendenze:
    a) il bisogno della donna di essere valutata alla pari con l’uomo, anche nel mondo del lavoro, e quindi la necessità di una forma corporea asessuata e quasi maschile (negazione della femminilità);
    b) la propensione di molti stilisti ad immaginare una donna androgina e a proporla in tal modo nelle loro sfilate e poi sulle copertine dei giornali.
    Un altro fenomeno che fa riflettere é l’attuale preoccupante estensione dell’incidenza dell’anoressia in una fascia d’età una volta inconsueta, ovvero nelle donne negli “anta”. Non é raro, infatti, che oggi l’anoressia esordisca in donne quarantenni o cinquantenni. Anche tutto ciò ha a che vedere con i cambiamenti sociali e con il bisogno di proporre un corpo adolescenziale, addirittura infantile, scattante, magro e… quasi eternamente giovane.

    (Umberto Longoni, sociologo e psicologo)

  3. Sono una madre…
    Sono J., madre di una figlia di 19 anni, bulimica da due. Scrivo per il bisogno che sento dentro di dare voce a ciò che accade a chi vive vicino e con profondo amore ad una persona affetta da questo tipo di dipendenza. Dei genitori che vivono questa devastante esperienza non se ne parla, siamo come un esercito fantasma, un esercito di dolore.
    All’inizio di tutto questo pensavo fortemente che avrei potuto contribuire in buona parte alla guarigione di mia figlia, avrei fatto le cose “giuste” perché questo accadesse, mi sarei impegnata in tutto e per tutto, modificando la mia vita, insomma disponibile a “mettere sul piatto” tutto quello che potevo, tutta me stessa e tutta la mia vita…
    Ma purtroppo non funziona così… Mi c’è voluto un anno buono prima d’incontrare il doloroso muro dell’impotenza, un muro così duro che mi ha veramente spezzata… E’ difficile fare i conti con l’impotenza quando di mezzo c’è la vita e il benessere di tua figlia, è una prova davvero dura, così pregna di dolore che a volte mi sembra un castigo e a volte invece non so come fare per contenerlo tutto…
    Ci faccio i conti ogni singolo giorno, il risultato non torna mai, a volte si avvicina un po’, ma non torna mai.
    E’ una questione d’accettazione, di accettare che la vita ha i propri disegni e che ognuno di noi, mia figlia compresa, ha il proprio cammino e le proprie modalità per percorrerlo… Razionalmente questo lo comprendo molto bene, emotivamente il mio cuore di madre urla dolore e urla paura. E tanta solitudine, tanta solitudine dentro e fuori… Tanta solitudine dentro perché è lì che ti portano i grandi dolori; solitudine fuori è anche perché il dolore che tu porti e specchi costantemente, ormai da ben due anni, fa paura e tanti “amici” che non ce la fanno e si allontanano. Anche questo comprendo molto bene ora, per fortuna, evitando così rancori o errate interpretazioni…
    Navigo in queste acque sempre burrascose con tutta la mia famiglia, compreso mio figlio 15enne, che sta vivendo la sua adolescenza in un frangente famigliare davvero difficile.
    Sì, perché questa malattia non dà tregua, non dà tregua a mia figlia così come non dà tregua a nessuno che le sta accanto; è un costante logorio, ti scava fino a mangiarti dentro…
    E io mi dico che devo assolutamente staccarmi, non esserne così coinvolta, non farla diventare “la mia malattia” ma purtroppo continuo a fallire, non riesco a proteggermi, l’istinto materno che porto dentro di me mi spinge a vivere tutto questo a “viscere scoperte”, creandomi così ferite su ferite…
    Vorrei tanto vedere un po’ di luce…
    Grazie, Ameya.

    (J.)

  4. Sono una madre 2
    L’urlo di dolore che sento di accogliere e condividere tutto, cara J…, è il mio. Condivido tutto. E’ un dolore potente e martellante come mille trivelle. Logorante e strisciante, da cui è difficile liberarsi. Sostengo anch’io tutto questo da molti anni ormai… Anche se mia figlia è giovane… e mi sento sola. Sempre più. Lotto ogni giorno da quel giorno… a testa bassa come un ariete, ma talvolta sono sfinita. Fan bene certi dottori a ricordarci che il problema non è nostro… ma loro! Tutte balle, il problema è anche mio… altrochè! Come lo è di tutta la famiglia e di mia figlia più piccola, che sostiene da quasi sempre una situazione assurda. E mi sento sola di fronte ai dialoghi che sfociano nei silenzi, perchè questo dolore sa dividere e allontanare… Ogni tanto mi scopro rassegnata e ho paura. Sono stata disposta ad ogni tipo di riflessione e analisi sul mio essere madre… Ho compreso gli errori. Come dice Don chiari i figli non vogliono genitori perfetti ma passabili… e allora credo che passabile lo sono stata e forse lo sarò… Ma basterà?… Non lo so…

    (Commento firmato)