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Ospedale, reparto esempio di buona sanità

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Ospedale, luogo di degenza, cura e riabilitazione. Ospedale luogo di malattia e sofferenza, a volte acuita dalla disorganizzazione. Posto triste, spesso rattristato da carenze economiche e da malasanità. La malattia è una condizione umana, talvolta può divenire disumanizzante: toglie l’individuo dalla funzionalità quotidiana, dagli affetti, dalla dignità. Lo rende dipendente, non più abile. Soprattutto se si è giunti in un periodo del ciclo di vita in cui si tirano le somme e il corpo si arrende al passare del tempo. Si diventa così pazienti da riabilitare più a lungo. Si ha bisogno di sostare per periodi dilatati, dove il moderno ritmo frenetico si perde e lascia posto a una riflessione lenta.

Chi arriva all’ultimo piano dell’ospedale di Castelnuovo Monti sa che dovrà restarci a lungo. Lontano da casa per così tanto, i pazienti della Lunga Degenza trovano lì un’altra casa. Diventando quindi inquilini stabili, quelli che stanno lassù. Medici e infermieri corrono, tutto il giorno. Passano in fretta, accudendo uno e l’altro. Avendo ben presente il caso di ogni singolo paziente, c’è un forte lavoro di equipe, e il passaggio di informazione tra le varie componenti sanitarie è efficace e rapido. Qui l’autonomia è un obiettivo da riconquistare, molti l’hanno perduta a causa di una degenerazione cognitiva, un ictus che non ha avuto pietà, o altri accidenti o incidenti che occorrono in quel processo che ci accade, chiamato vita.

Ho avuto modo di sostare a lungo nel reparto di Lungo Degenza questa estate. E di osservarne il ritmo e la melodia. A prima vista una malinconica realtà. Lì la malattia non passerà in fretta. Non ci sarà un intervento risolutivo a rimettere in piedi i pazienti in quattro e quattr’otto. Lì il canto è quello della pazienza e lo strumento è la presa in carica, nel vero senso della parola. Alcuni pazienti non ci sono più come presenza, sono assenti a loro stessi, vanno imboccati e accuditi come bambini, altri hanno subito gravi danni il cui recupero è lento, vago e incognito.

Loro, gli operatori del reparto, ci sono. Sono là ad accoglierli. C’è molto da fare, e viene fatto. Nessuno si tira indietro, correndo qui e là trovano il tempo di fare due battute, di scherzare con i loro vecchietti, passano e allungano a volte una carezza, come fossero i loro bambini. Con pazienza e amorevolezza si prendono cura di questi corpi martoriati dagli anni o dagli eventi.

C’era una musica bella, paradossalmente, l’estate scorsa nel reparto di Lungo Degenza. Una melodia delicata, un sorriso pronto, qualche infermiere più pazzo che saliva sui carrelli dei medicinali, o improvvisava corse con i malati in carrozzina. C’erano anche delle risate. Si conoscono tutti, si diventa una grande famiglia e i progressi di uno sono i progressi di tutti. Chi torna a camminare ha il tifo degli altri, ancora seduti sulle rotelle. Chi si riprende da un incidente dopo due mesi e torna a casa viene salutato con commozione da medici, infermieri, Oss e compagni di viaggio.

Voglio dire grazie a questi lavoratori della salute, osservandoli ho appreso che si può ridere, scherzare e curare allo stesso tempo.

Questo è utile, funziona, è un esempio di buona sanità e buona volontà, ci sono medici, fisioterapisti, personale infermieiristico, tutti in gamba e efficienti, che fanno del loro meglio. Tutti. I malati si sentono protetti e molti anziani non vogliono tornare a casa, sentendosi accuditi e cullati lì. Altre strutture private sono molto eleganti, arredate con bei colori e menù alla carta. Tuttavia la relazione col paziente non sempre è così autentica. Qui si è tutti nella stessa barca, l’obiettivo non è l’immagine ma il recupero vero della salute del paziente.

Ho visto una bella sanità, e lo volevo dire. Con un grazie di cuore.

(Ameya Gabriella Canovi, la figlia della Manfredi ex-paziente stanza 016)

1 COMMENT

  1. Le “long-angels” del S. Anna
    Che bello riverdervi quasi tutte, anche la nostra famiglia ha di voi un ricordo affettuoso e colmo di gratitudine. Abbiamo passato, purtroppo più volte, mesi difficili ma abbiamo condiviso i progressi, anche se lenti, della malattia che colpì la nostra amatissima Clara. Vi ho ribattezzato le “long-angels della lungodegenza” e sono certa che oltre alla grande forza di volontà che deve avere la paziente, anche le vostre amorevoli attenzioni contribuiscono alla riabilitazione ed al ritorno, quando possibile, alle cure dei propri cari. Ancora grazie a voi tutte per la vostra opera e soprattutto, per il vostro sorriso.

    (Cristina Casoli, figlia di Clara Rombaldi)