Home Diocesi ne' Monti Se la Chiesa è madre va amata come madre

Se la Chiesa è madre va amata come madre

4
3

Alcuni discorsi fanno parte del costume italico facile al giudizio su fatti, avvenimenti e persone, per cui non meriterebbero risposta, se non fosse che anche nel pettegolezzo c’è sempre qualche anima di verità.

Mi trovavo alla conclusione del Grest dell’oratorio. Il cortile ben animato, ragazzi e ragazze che si sfidavano ad un gioco medievale con i loro preti e con i loro papà e mamme, che si erano slanciate nel gruppo con entusiasmo e voglia di divertirsi pari o superiore a quella dei loro figlioli.

“Sì, il Don mi va bene. Sta con i ragazzi, li fa giocare e divertirsi serenamente ma è la Chiesa come istituzione che non mi va!”. Era il solito genitore, con aria da “intellettuale” che ripeteva frasi ormai sentite più volte. Volevo rispondere con una frase di Cesbron: “Chi ha torto non è la chiesa ma gli uomini di chiesa. E’ questo è tanto triste: la nostra religione è così vera, ma il nostro modo di viverla la fa sembrare così falsa”. Poi temevo di addentrarmi in altre questioni, che in quella sera di festa, non intendevo affrontare.

Comunque devo riconoscere un torto di noi preti, di adulti che lavorano nei gruppi e nei movimenti: non spieghiamo a sufficienza che la Chiesa non sono i preti e neppure i vescovi. La Chiesa è il corpo mistico di Cristo, è “la sposa di Cristo”, che talvolta, nei suoi uomini, tradisce il Signore, “prostituendosi” ad altri idoli ma rimane sempre una chiesa da amare, da servire, non da criticare, perché in essa vive Gesù Cristo e noi con Lui.

Chiesa da amare, nonostante tutto. Ricordo, anni fa, di avere mandato a Seregno, negli Incontri organizzati da don Armando Cattaneo, un mio “barabitt”, un ex allievo di Arese. Era un dibattito sulla Chiesa. Alcuni laici, nei loro interventi,mla criticavano duramente. Luigi è intervenuto con molta serenità, senza alcun timore: “Dite che la Chiesa è la vostra madre ma ne parlate troppo male, senza amore. Mia madre ha vissuto da prostituta. Io l’ho conosciuta che avevo 27 anni di età: l’ho trovata ammalata, stava male, invecchiata e imbruttita. D’accordo con mia moglie, l’ho presa in casa: era sempre mia madre anche se batteva i marciapiedi e mi aveva abbandonato da piccolo! Se la Chiesa è madre, va amata come madre, anche quando sbaglia!”.

Don Mazzolari avrebbe condiviso le parole di Luigi, lui che aveva sofferto da parte della Chiesa e per il suo far parte della Chiesa, quando scriveva a padre Umberto Vivarelli: «Ho amato la Chiesa più di me stesso. Anche se mi strappassero gli occhi, continuerei a vedere la Chiesa come mia madre».

Chi ha il compito di annunciare e di spiegare il Vangelo, in Oratorio o in parrocchia, deve portare i ragazzi e i giovani a comprendere la Chiesa, amandola, rimanendo fedelmente nella Chiesa, obbedendo ad essa, anche quando costa fatica.

La Chiesa può apparire come corteccia di un tronco d’albero che, nel tempo, ha subito ferito da temporali, da fulmini, scatenatisi contro di esso; può essere straccio o ostensorio, ma chi vi sta dentro scopre le meraviglie di Dio, scopre Cristo stesso che ne è il capo del Corpo, di cui noi siamo membra. “La Chiesa è da Dio per le cose di Dio presso gli uomini secondo lo stile di Dio”.

Nella storia non appare come una Chiesa di santi, ma come Famiglia, Popolo di Dio che tende alla santità, che accoglie anche chi è peccatore, “casta meretrix”, in cui abita lo Spirito Santo, nata sotto la Croce e riassunta in Giovanni e Maria. Una Chiesa da far risplendere luminosa nella carità, “non una caricatura demoniaca e interiorizzata di un Dio esteriore,che impone fardelli e punitivo”...

Occorre dare ai ragazzi e ai giovani fin da piccoli una retta visione della Chiesa anche come istituzione, che ritrova nel Papa il suo cuore, il padre e maestro e amico dell’umanità, voce di Cristo sulla terra. Questo è uno dei compiti dei catechisti e delle catechiste, che devono sentirsi Chiesa per testimoniarla ai loro ragazzi e ragazze.

3 COMMENTS

  1. Comunità e gerarchia
    Carissimo don Chiari, ci conosciamo da tempo, noi; da quella torrida estate in cui io e altri 3 miei amici di Castelnovo siamo venuti a fare esperienza da educatori all’oratorio cittadino Don Bosco di Reggio sotto l’intelligente guida sua e di don Matteo. Le scrivo per parlare della chiesa, delle mie riflessioni da giovane laico credente ma un po’ disilluso. Frequenti, e un po’ vuote francamente, sono le voci simili a quella del padre da lei citato: sinceramente credo siano simili alla storiella della volpe e dell’uva che, vedendo la fatica e la difficoltà di seguire con rettitudine una vita da cristiano “semplice”, cercano di ingannare loro stessi e gli altri dando fondamento teorico alle loro azioni sbagliate.
    Chi non va in chiesa perchè non gli vanno a genio i preti parte dal presupposto sbagliato: in chiesa io vado per ringraziare Cristo ed apprendere come affrontare la vita alla luce del vangelo, non per seguire ciecamente ciò che mi viene detto dal ministro celebrante.
    Però il fatto sussiste: rimane arduo seguire una religione che predica la povertà, il perdono, l’umiltà ma che ha a capo una stuola di gerarchi con indosso vistose croci ingioiellate e preziosi anelli al dito, meta di numerosi baci. Non è questa la mia chiesa. La mia chiesa è quella che lei ha descritto e che mi ha fatto vedere all’oratorio: quella che si fa carico degli ultimi, che insegna e che fa crescere nei valori corretti, quella che è innanzitutto comunità affettuosa di credenti e non gerarchia ecclesiale, quella in cui ognuno si sente parte di un organismo vivo e sano e che riesce a coinvolgere ogni singolo fedele.
    Le critiche dei diffidenti si scagliano di solito contro la gerachia ecclesiale, che invero racchiude in sè molte contraddizioni, ma è una teoria che a mio parere nasce da una inconsapevolezza profonda dell’innata bellezza della vita di comunità di fedeli. Vita che però, oggi, trovo sempre più raramente nelle assemblee di fedeli. Aspettando le sue illuminate parole, le porgo distinti saluti.

    (Alessio)

  2. vorrei che GESU’ scendesse in campo…….
    Un poco troppo facile affidarsi alla pretesa dell’amore filiale, incondizionato, senza riflettere o analizzare i passi falsi della Chiesa. Con tutto il rispetto per i soldatini di Dio (preti e suore) che sono la vera ossatura della Chiesa, l’istituzione in sè credo sia il più grande bidone mai proposto all’umanita, e per dimostrarlo non serve andare indietro di secoli (caccia alle streghe), o di anni (vedi rapporti Chiesa-fascismo), basta vedere come si comporta il Papa con l’attuale rappresentante del governo italiano. Questa credo sia una grande tristezza che Gesù porta nel cuore. Altro che la Chiesa è come la mamma e va amata incondizionatamente, ma se la mamma mi dice di andar nel fosso….??? io che faccio?? mi viene in mente Gesù nel tempio, quando si scaglia contro i mercanti, chissà cosa farebbe oggigiorno se “scendesse in campo” e caro Don Vittorio non sa quanto io lo auspico!!!!

    (Commento firmato)


  3. Ti ho letto Alessio e ti rispondo con due testimonianze sulle quali puoi riflettere. La prima è del grande Bernanos il quale diceva che la chiesa non è la casa dei santi, una specie di casta dei giusti, ma è aperta ai peccatori, tra i quali puoi mettere anche noi preti che a volte facciamo fatica ad essere quell’alter Christus, che tutti si aspettano da noi. Ma ce la mettiamo tutta ed abbiamo bisogno di essere sostenuti, amati dalla Comunità in cui viviamo.
    La seconda è di un mio prof. all’Università, un santo prete, che vicino alla morte,scriveva a noi studenti:
    “Miei fratelli, ho finito! Dimenticate, vi prego, il mio volto e la mia voce, che troppo a lungo avete dovuto quest’anno sopportare, ma non dimenticate la parola di Paolo, che vi lascio come estremo Messaggio: “Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei”. Se l’effetto delle mie troppe e troppo povere parole di quest’anno avessero ottenuto di accrescere in ognuno di voi l’amore per la Chiesa, io sarei sommamente pago e orgoglioso. Se a un povero uomo come me fosse lecito pensare a un motto da incidersi sulla mia tomba, io sarei estremamente orgoglioso se, con qualche verità, si potesse scrivere sulla pietra del mio sepolcro: “Ha amato la Chiesa”: “Dilexit ecclesiam”. Sia comunque davvero questo l’anelito supremo di tutta la nostra vita: amare la Chiesa come la ama Cristo”.
    E la Chiesa come ho scritto siamo tutti noi, preti e laici,chiamati ad essere Famiglia di Dio,che risplende per la carità, la bontà, la capacità di perdono e di riconciliazione, di accoglienza, di speranza.

    (don Vittorio Chiari)