“Ogni uomo, appena ha i capelli grigi, deve portare un carico infinito: il tempo, i ricordi, l’infanzia propria, i vivi e i morti”. Così descriveva Ernst Wiechert, nel suo romanzo “Missa sine nomine”, il sentire di Amadeus, di ritorno a casa dal lager, con il passo lento, pesante, le scarpe sporche di fango e di sangue, il cuore gelato per quello che aveva visto e subito dalla violenza di una guerra, che i giovani vedono in TV o al cinema, senza prenderla sul serio.
Ma “il carico infinito” è anche quello degli anziani, che vivono soli o in casa di riposo: persone che hanno lavorato una vita e si sentono inutili, non considerati o stimati dalle stesse persone per le quali hanno consumato se stessi. Una visita, qualche parola scambiata, una memoria condivisa, quattro passi insieme può dare loro un momento di serenità, di cui hanno bisogno: è un sentirsi vivi, perché qualcuno li considera ancora, chiede un parere, un consiglio. Non tutti sono dotati del senso di umorismo di quel “nonno” di novant’anni, che giocava a carte, a “briscola scoperta”, con davanti il ritratto della propria moglie, morta prima di lui: “Ogni tanto la faccio vincere, se no si arrabbia”. Ma aveva conservato quella briciola di ironia e di umorismo perché c’era chi lo andava a visitare ogni giorno: “Altrimenti è come essere morti!”.
E’ un compito che non possiamo delegare solo alle badanti o alle infermiere professionali: a volte gli anziani abitano al piano sopra di noi o sullo stesso pianerottolo. Non costa molto un saluto al mattino, una spesa fatta per chi non può uscire, uno squillo di telefono o un tocco al campanello di casa per sentire se sono ancora vivi oppure no: “I miei del palazzo mi hanno adottata: quando preparano qualcosa di buono da mangiare me lo portano su anche da me! Non è un’elemosina: io so fare i tortelli come una volta. Ricambio così!”. “Alla sera ci troviamo per un momento di preghiera… Ci facciamo compagnia e ci prepariamo alla Buona Notte. Alla nostra età ogni giorno è guadagnato e di questo ringraziamo il Signore”.
Sono nate molte esperienze per gli anziani: dai circoli alle palestre alle case di riposo molto accoglienti, ma ci sono sempre quelli che sfuggono alle anagrafi assistenziali o parrocchiali perché sono poveri, perché malati, perché non sanno portare il peso dei loro morti, delle loro memorie. Per qualcuno sono pesanti come fossero pietra: “E i morti si sentono sul cuore, non sulle spalle”. Sono queste persone da ricercare e da consolare, da aiutare. Questa fatica darebbe significato anche alla nostra esistenza, ci ricorderebbe la bellezza e la felicità dell’amore donato, non misurabile, perché gratuito.