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Il dibattito / Stranieri in Appennino

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Riceviamo da una lettrice-collaboratrice-amica un intervento che, inserendosi nel dibattito sulla presenza di stranieri anche nel nostro territorio, propone una lettura del fenomeno da un particolare punto di vista. Che è quello sì stimolato dall'interesse personale e dagli studi compiuti, ma è soprattutto quello della persona che certe condizioni le ha già vissute sulla propria pelle, dato che Ameya Canovi (cioè colei che ci scrive) è di origini brasiliane ed è arrivata, straniera, sul nostro Appennino, in un periodo completamente diverso da quello attuale, all'inizio degli scorsi anni '70. Leggiamola, crediamo sia una testimonianza-riflessione che merita attenzione.

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Intervengo nel dibattito sui due ragazzi nigeriani mossa da una memoria di ragazzina straniera in terra straniera. Sono arrivata in Italia nel '72,avevo 11 anni e di straniero a Felina non ce n'era mezzo. La non conoscenza fa erigere barriere e preconcetti. Per il semplice fatto che non parlavo bene la lingua era stato deciso da qualcuno in paese che dovevo essere stupida, e come tale pure derisa, additata e chiamata con epiteti ridicolizzanti. L'adolescenza è età difficile per tutti, si sa. Alcuni di quelli che ridevano non hanno, ahimè, avuto una gran buona sorte, qualcuno ha anche ricoperto cariche sociali importanti, immemore dei dispetti adolescenziali.

Non ho mai provato la fame per fortuna, i miei genitori erano emigrati ma hanno sempre lavorato, hanno trovato la possibilità per farlo, e sono ritornati al paese natio, con dignità e godendo del rispetto di tutti. Di quella ragazzina presa in giro, oltre alle difficoltà e al doloroso disagio, ricordo la determinazione a imparare. E rivedo la stessa determinazione in certi miei studenti stranieri ora a scuola. Qualcuno di loro ha capito che imparare serve per stare meglio al mondo. Ma nel frattempo alcuni devono fare i conti con la fame.

Non voglio qui entrare nel dibattito da un punto di vista politico, non ho la conoscenza per farlo. Seguo la politica stando alla finestra, guardo più spesso "dentro casa", mi interessano i meccanismi della psiche poiché credo che il macrocosmo rispecchi e sia la risultante di tanti microcosmi. Vi sono meccanismi universali, l'istinto di sopravvivenza per saziare la fame ad esempio, e meccanismi culturali, il come procacciarsi il cibo. La piramide dei bisogni di Maslow ci mostra chiaramente come chi è intento a sfamarsi ben poco avrà per occuparsi dei massimi sistemi. Così pochi disquisiscono mentre molti si arrabattono per creare la base della piramide.

In alcune culture chiedere non toglie la dignità. Nel film "Un'anima divisa in due" di Silvio Soldini, Pabe, la ragazza rom che si innmora e va a vivere con un gagio, cioè un non rom, gli urla disperata in una delle numerose liti scatturite dal conflitto culturale: "Che male c'è a chiedere?". Il chiedere innesca in chi viene interpellato una serie di correlati emotivi. Chi vive chiedendo elemosina fa leva su alcuni di queste emozioni: pietà, imbarazzo, senso di colpa, carità cristiana. Chi chiede ci mette in contatto con la nostra stessa parte bisognosa. E da lì si possono scatenare una miriade di reazioni interiori. Dal non voler vedere, al sentirsi responsabili, impotenti, colpevoli, rabbiosi o all'urgenza di fare qualcosa per una parte di mondo che grida la propria fame.

Chiedere implica il suo complementare, il dare. Qui o là, viene richiesta non tanto una moneta, ma una riflessione, una presa di coscienza, una consapevolezza. Il microcredito, una certa analisi sociale super partes, lo stesso Amartya Sen, premio Nobel per l'economia nel '98, dimostrano che il dato di fatto esiste, ma esistono anche molte, tante possibili risposte.

(Ameya Gabriella Canovi)

5 COMMENTS

  1. Ritrovare la tolleranza
    A questa bellissima e profondissima riflessione vorrei aggiungerne un’altra: cos’è che davvero ci allontana? Credo sia la “paura” del diverso, “diverso” a 360°. Ci hanno insegnato ad avere paura di quello che non si conosce, ma non ci stanno insegnando ad “ascoltare” a capire a imparare la diversità. Come sempre etichettiamo la massa per il comportamento di alcuni che fanno dell’illegalità la loro filosofia di vita, ma questo in ogni nazionalità, anche la nostra. In questo mondo frenetico manca il tempo per parlarci e comprendere vicendevolmente. Ritroviamo questo tempo e insieme forse ritroveremo la tolleranza.

    (Alma)

  2. Questione di tempi?
    Io credo sia anche una questione di soncronismo dei tempi. Posto che dall’ALTRO c’è sempre molto da imparare, penso che mentre l’uno insegna (a volte inconsapevolmente), l’altro debba trovarsi nella condizione idonea all’ASCOLTO. Un po’ come spugna asciutta, pronta ad accogliere, raccogliere e immagazzinare liquidi. Quando invece una spugna è satura di liquido ciò NON può avvenire. Se l’ALTRO ci parla ma noi NON siamo nella giusta predisposizione l’osmosi non avviene. Un bellissimo aforisma recita così: OGNI GIORNO CIASCUNO DI NOI INSEGNA QUALCOSA AGLI ALTRI, ANCHE SENZA SAPERLO!

    (Umberto Gianferrari)

  3. Il contributo degli storici
    Vorrei contribuire al dibattito con una voce non mia, ma della prof.ssa Adriana Dadà, docente di storia contemporanea all’Università di Firenze, autrice di numerose ricerche e testi su balie, tessitrici, venditrici ambulanti e il variegato universo degli emigranti toscani in particolare verso l’America.
    Scrive Adriana Dadà in un passaggio di un saggio più complesso: “Come storica ho assistito con stupore e disdegno all’evolversi in senso razzista dell’atteggiamento di una parte consistente del mondo politico e culturale italiano; ma soprattutto, come studiosa della storia degli italiani e in particolare dei toscani emigrati per secoli, ho dovuto fare i conti con i fenomeni di ‘rimozione’ individuale e collettiva dell’esperienza migratoria degli italiani. I nuovi migranti erano disconosciuti nelle loro problematiche individuali e collettive, come se il fenomeno non fosse già stato vissuto per secoli da generazioni di italiani. Gli europei nel loro complesso, infatti, sono stati per secoli migranti: dagli esploratori, ai missionari, avanguardie del moderno mercantilismo e colonialismo, alle migrazioni di massa del XIX secolo e della prima metà del XX. Solo nel periodo 1860-1914, 150 milioni di europei sono partiti, spesso lasciando per sempre il loro paese; più di 30 milioni di italiani nel periodo 1870-1945 sono stati protagonisti della stessa storia. Tenendo conto del rapporto fra partenti e popolazione residente – che è stata a lungo la metà di quella odierna – si capisce che le proporzioni bibliche dei fenomeni migratori sono attribuibili più a quella che non a caso è stata definita ‘emigrazione di massa’. Sfatata la leggenda dell’eccezionalità dei flussi migratori odierni, è lecito quindi interrogarsi sul fatto che esistano legami fra questi fenomeni, almeno nel lungo periodo della storia contemporanea. E’ dimostrata la continuità e similarità dei fenomeni, che si muovono all’interno dello sviluppo di una società industrializzata, dove il capitale finanziario colonizza via via tutto il globo, portando con sé modelli di sviluppo, meccanismi di produzione e di sfruttamento della forza lavoro. Gli spostamenti di manodopera in aree più favorevoli per il controllo sociale e la possibilità di estrazione di maggior plusvalore rientrano infatti, da quasi due secoli, nello stesso meccanismo, pur variando aree di partenza e di arrivo”.
    Chi vuole leggere il resto del saggio può collegarsi a @Lhttp://www.scform.unifi.it/ssis2/materiale/2005_11_14_Dada.doc@=www.scform.unifi.it#L.
    Chi vuole ascoltarla su questi temi insieme ad altri storici e magari partecipare al dibattito può venire a Casina martedì 21 alle 21 ai “Martedì letterari” alla Casa cantoniera che questa settimana hanno per tema proprio la “nostra” emigrazione.

    (Giovanna Caroli, assessore alla cultura del Comune di Casina)

  4. La presa di posizione della Caritas
    Da leggere e meditare.

    (Normanna Albertini)

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    Editoriale del Direttore – Ordinanze anti-accattonaggio

    Lontano dagli occhi, lontano dal cuore!

    Dopo oltre un mese dalle ultime elezioni, dopo il tourbillon di nomine a completare le giunte che dovranno governare e amministrare nei prossimi 5 anni e dopo esserci lasciati alle spalle i proclami e i bisticci della campagna elettorale, ecco che le macchine amministrative dei Comuni sono tornate al lavoro quotidiano.
    Nonostante l’avvicinarsi delle ferie e del riposo estivo, leggendo i giornali di questi giorni, sembra che la priorità di alcuni Comuni sia divenuta quella di fare ordinanze per la sicurezza dei cittadini e il decoro pubblico. Potevamo aspettarci queste mosse dalle amministrazioni dove hanno vinto centro-destra e Lega, perché coerente con quanto hanno promesso. Ma … sembra che, per una sorta di “par-condicio”, anche i Comuni amministrati da maggioranze di centro-sinistra si siano allineati. Forse per dovere di “riconoscenza” all’aumento straordinario (quasi ovunque) dei voti ricevuti dalla Lega?
    Non so cosa ci stia sotto, non mi voglio addentrare in questioni politiche, ma mi permetto di fare alcune riflessioni riguardo le ordinanze anti-accattonaggio emesse in questi giorni (dai Comuni di Reggio Emilia, che ha già pronta anche quella anti-lucciole, di Guastalla e di Castelnovo ne’ Monti).
    Come prima riflessione mi chiedo se davvero queste sono le priorità di un Comune. In un momento storico dove la crisi economica sta manifestando le conseguenze più gravi, dove la questione “casa” sta diventando un problema per molte famiglie che non riescono più a pagare affitti e mutui, dove i servizi sociali sono sempre più in affanno e inadeguati a dare risposte all’aumento di richieste, mi chiedo se le questioni “di facciata” siano davvero le più urgenti.
    Leggendo il testo di queste ordinanze, in effetti, non si può nascondere che ci sia anche una questione estetica, di decoro che si vuole salvaguardare. In particolare, quella del Comune di Guastalla, nelle giustificazioni dell’impianto dice che si intende “limitare il senso di degrado pubblico che tali manifestazioni comportano”. Una questione “di facciata”, appunto!
    La frase coniata dagli americani “Not in my garden” (basta che non sia nel mio giardino) dice molto bene lo spirito che è sotteso a questi ripieghi amministrativi che non affrontano i veri problemi, non ricercano le cause delle manifestazioni ma semplicemente cercano di allontanare il problema. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore, appunto!
    Sarebbe necessario distinguere chi è costretto all’accattonaggio e rientra in giri di vero e proprio sfruttamento da chi vende qualcosa per arrangiarsi e mantenersi. Nel primo caso è giusto cercare di limitare il fenomeno ma sarebbe necessario perseguire gli sfruttatori e non gli sfruttati. Nel secondo caso ogni situazione sarebbe da analizzare attentamente e farsi carico di tante storie concrete di povertà subita e non certo voluta.
    Queste ordinanze mettono tutti gli sfruttati sullo stesso piano e non c’è dubbio che si reggono sulla volontà di accontentare un po’ la cittadinanza e di tenerla buona dimostrando di poter controllare i “fastidiosi” mendicanti e illudendo le persone di avere risolto questo problema anche con proclami piuttosto impegnativi, come dice ancora il testo dell’ordinanza di Guastalla: “impedire ogni ipotesi di minaccia all’incolumità pubblica e di reato a danno dei Cittadini”.
    Sono convinto che i mendicanti “di professione” insieme a quelli che cercano davvero un minimo di sostegno alla loro povera vita da qualche spicciolo che cade nelle loro mani, si sposteranno in un Comune “free”, cioè libero (per adesso), dove chiedere l’elemosina è ancora possibile.
    Un’altra domanda alla quale non riesco a trovare risposta è: come faranno le persone colte in flagranza di accattonaggio a pagare la sanzione amministrativa che va dai 100 ai 500 euro? A chi sbarca il lunario con le briciole raccolte elemosinando, credo risulti difficile trovare cifre importanti per pagare la multa … ironia della sorte: dovranno fare gli straordinari e accattonare ancora di più!
    Infine, una considerazione, che ritengo la più importante. La filosofia principale che muove queste risoluzioni (così come il Pacchetto sicurezza che diventerà legge del nostro Stato) implica la discriminazione di una parte di popolazione: una fascia della nostra società che non vogliamo, ci infastidisce per il semplice fatto che tutti i giorni è davanti ai nostri occhi a ricordarci che abbiamo troppo e che siamo egoisti.
    Il decoro delle nostre piazze, dei nostri parcheggi e dei sagrati delle nostre chiese sarebbe proprio quello contrario a quanto queste ordinanze esprimono. I poveri, gli emarginati sono i nostri tesori, i nostri gioielli, quindi sono loro il nostro decoro. Se li scacciamo per metterci il cuore in pace, per non sentirci inquietati dalle domande che la loro condizione inevitabilmente pone al nostro comodo vivere, avremo una pace egoista ed escludente, sicuramente una pace NON cristiana.
    “I poveri li avrete sempre con voi” ci ha ricordato Gesù nel Vangelo. Ce lo ha detto per ricordarci che, dopo la sua morte, sono loro ad incarnare in modo privilegiato la presenza del nostro Dio. Almeno noi cristiani facciamo un sobbalzo di fronte a questa cultura perbenista che ostenta le proprie ricchezze e futilità e che, nello stesso tempo, risulta essere vessatoria nei confronti dei poveri, degli emarginati, degli sfruttati, di coloro che (senza negare le tante fatiche che si fanno) ogni giorno ci chiedono a livello personale e comunitario di convertirci! Facciamo un sussulto e chiediamo conto ai nostri amministratori, a quanti abbiamo votato del perché di comportamenti che sembrano tesi più alla difesa dei nostri averi che alla ricerca del bene comune.
    Le soluzioni a questo tipo di problemi si possono trovare insieme e può essere che il trovarle risulti estremamente difficile (e sicuramente non bastano le ordinanze comunali!) ma tutti possiamo fare un cammino di condivisione e di conversione, vivendo maggiormente la sobrietà, la solidarietà e la vicinanza a coloro che fanno più fatica, a coloro che sono COMUNQUE nostri fratelli da amare e non da… respingere, cacciare o multare!

    (Gianmarco Marzocchini, direttore Caritas diocesana Reggio Emilia–Guastalla)

  5. Grazie Am!
    La nostra Costituzione è ispirata, nei suoi principi fondamentali, all’insegnamento evangelico e marxiano. La nostra società però non ha recepito nel suo complesso i valori su cui si fonda. L’egoismo, l’egocentrismo, l’individualismo dettano ancora legge nei comportamenti interpersonali e sociali. Se le persone, poi, sono estranee al luogo in cui si vive, straniere, di colore o anche solamente diverse, non le si riconosce come persone con gli stessi nostri bisogni, dignità e diritti. Ci si difende, di solito per timore di perdere benessere e privilegi o si disprezza nella presunzione di essere i migliori. Il tempo dell’isolamento satollo e sprecone sta volgendo al termine; meglio sarebbe per tutti diventarne consapevoli e disporsi con senso di equità, di curiosità e di umanità che, in fondo, dovrebbe competerci, ad aprirci agli estranei, ai diversi, agli stranieri colorati o non, per costruire qualcosa di migliore di ciò in cui ci troviamo a vivere per il bene di tutti.

    (Monticlem)