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Crisi / Cooperazione toccata ma consapevole dei suoi punti di forza

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Riceviamo e pubblichiamo.

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E’ certo una cooperazione toccata dalla crisi, ma anche consapevole dei suoi elementi di stabilità e dei suoi punti di forza quella che è emersa oggi dal convegno promosso dalla Confcooperative su “Dentro e fuori dalla crisi: dove e quale cooperazione?”.

Una cooperazione – come ha detto in apertura il presidente Giuseppe Alai – “che non tradisce, che a volte non avrà le caratteristiche dello sprinter, ma non va nel fosso, perché compete da sempre puntando sul lavoro, sull’economia reale, sulla distribuzione della ricchezza, cioè su quei principi che vanno urgentemente ripresi da tutto il sistema produttivo per ritornare ad una cultura imprenditoriale che è stata soppiantata da un orientamento alla finanza che ha prodotto vere e proprie devastazioni, largamente superiori a quelle avvenute con i bond in Argentina”.

“L’efficienza delle imprese – ha proseguito Alai – non si misura solo in valori economici, ma nella capacità di generare coesione tra le persone e nelle comunità, nell’orientare gli utili agli investimenti e non verso la finanza (le prime 12 banche saltate negli USA, ha detto Alai, avevano i più elevati rating per la capacità di produrre utili, ma erano totalmente squilibrate nel rapporto tra questo e il patrimonio), nel difendere e nel far crescere il lavoro, unica condizione affinché rimanga ricchezza in circolazione”.

Una svolta forte, secondo Alai, puntando sul riequilibrio di tre fattori: il lavoro, appunto, il risparmio e il credito.

Un equilibrio, secondo il prof. Antonio Matacena, direttore del Master universitario in Economia della cooperazione all’Università di Bologna, che già si era incrinato alla fine degli anni settanta, quando le tradizionali imprese capitalistiche sono passate dalla massimizzazione del profitto alla massimizzazione del valore di borsa; già qui, in sostanza, si ritrovano le origini di una crisi esplosa in un mondo finanziario e speculativo sul quale si sono dirottate (per poi essere bruciate risorse non legate al risparmio e a profitti non reinvestiti in impresa, in innovazione e su mercati, la cui globalizzazione ha prodotto un effetto domino senza precedenti.

Dalla crisi – ha detto Alai - si esce se si interrompono meccanismi puramente rivendicativi e conflittuali tra banche e imprese; se il lavoro non viene considerato un puro costo ma un valore; se si generano nuove alleanze imprenditoriali nel territorio e nelle comunità locali; se si sposa, in definitiva, ad una cultura che non considera l’impresa un valore in sé, ma lo considera tale in funzione di dove, come produce, come ripartisce la ricchezza, quali meccanismi di governance e di partecipazione adotta, quali ricadute genera nelle comunità locali.

“In questo senso – ha detto Matacena nel corso di un appuntamento non casualmente organizzato alla vigilia della celebrazione della Giornata internazionale della cooperazione proclamata dall’ONU – è davvero una risorsa straordinaria, ma deve fare maggiormente sistema, crescere dimensionalmente laddove le dimensioni sono un fattore di competitività, capitalizzarsi maggiormente (proprio mentre la dimensione del capitale sembra perdere peso nelle imprese capitalistiche) e, soprattutto, evitare qualsiasi forma di omologazione valoriale alle altre imprese”. “Oggi – ha concluso Matacena – la cooperazione è chiamata non solo ad essere diversa e ad affermare questa diversità, ma è e deve essere realmente alternativa”.