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Il 1859 reggiano

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La Deputazione reggiana di storia patria in modo inedito ha ricordato il 1859 reggiano, chiamando ad illustrare gli eventi e le istituzioni nazionali alcuni rappresentanti degli organi dello Stato con sede a Reggio. Ha introdotto i lavori il presidente del sodalizio Gino Badini, direttore dell'Archivio di stato cittadino, che ha inquadrato il problema nel più vasto scenario socio-politico.

Della prefettura e della sua evoluzione ha parlato Roberto Bolognesi, capo di gabinetto del prefetto. “L’organo prefettizio - ha sottolineato fra l’altro il relatore - dopo essere stato formalmente istituito con regio decreto nel 1861, risulta ancora vitale e operativo, in un contesto decisamente diverso da quello della seconda metà dell’Ottocento. Al prefetto del Regno erano assegnati incisivi poteri di controllo nei confronti degli enti locali, ma quei poteri furono esercitati in modo da garantire la migliore soddisfazione degli interessi locali promuovendo, nel contempo una graduale e omogenea crescita delle amministrazioni comunali. In questa ottica - ha sottolineato ancora Bolognesi - si potrebbe affermare che il prefetto italiano, sotto certi aspetti, nasce già come organo dello Stato capace di operare secondo logiche moderne improntate al principio di sussidiarietà verticale. Ciò diversamente da quanto caratterizzava il modello del prefetto francese. A questa attività – ha proseguito il capo di gabinetto della prefettura - erano associate le dettagliate relazioni che, ad esempio sulla realtà reggiana, i prefetti inoltravano al ministro dell'interno in cui si illustravano quelle che oggi, con un linguaggio moderno, potremmo definire le "eccellenze" e le "criticità" ovvero i “bisogni” delle comunità della nostra provincia, effettuando anche analisi di carattere statistico particolarmente approfondite. Il primo ad utilizzare le scienze statistiche fra i prefetti fu il trentaseienne Giacinto Scelsi, il più giovane prefetto del regno, il quale, dopo avere partecipato alla spedizione dei Mille, venne nominato prefetto nel 1861 e resse la prefettura reggiana dall'ottobre 1868 al luglio 1872”.

Ha preso poi la parola il commissario capo della Polizia di Stato Emiliano Arcelli: “Con il passaggio dall’assolutismo allo Stato costituzionale anche la pubblica sicurezza deve adeguarsi al mutato rapporto tra potere e cittadini. Nell’ambito reggiano – ha detto Arcelli - gli anni immediatamente precedenti l’Unità d’Italia sono scanditi dall’empito della passione patriottica, nella trepidante attesa della cacciata del governo filoaustriaco e del raggiungimento dell’indipendenza. Parallela ai mutamenti del quadro politico e sociale è l’evoluzione della presenza statale sul fronte della pubblica sicurezza: la recezione della normativa sardo-piemontese in materia testimonia l’intento di realizzare un’omologazione con il modello sabaudo, sì da superare quei particolarismi locali che potrebbero frenare la corsa verso l’unificazione del Paese”.

La relazione del colonnello Giovanni Fichera, comandante provinciale dell'Arma, ha ripercorso il periodo che va dalla fondazione dell'Arma dei carabinieri all'unificazione del regno d'Italia: “quasi mezzo secolo in cui i carabinieri, istituiti con le regie patenti del 13 luglio 1814, emesse dal re Vittorio Emanuele I, hanno fornito all'unificazione nazionale un contributo assolutamente rilevante e determinante. Un Corpo scelto, definito d'elite, quello dei carabinieri reali, che fu gradualmente distribuito sul territorio, non solo nelle città ma anche nei villaggi più sperduti, baluardo e insostituibile presidio della ‘pubblica e privata sicurezza’. I primi carabinieri giungono a Reggio – ha sottolineato il comandante dei carabinieri - all'indomani della fuga del duca Francesco V d'Austria Este, il 13 giugno 1859, mischiati nelle file dell'Armata Sarda che entrò in città dal passo del Cerreto passando da Castelnovo ne’ Monti. L'organizzazione delle prime stazioni, tutte dipendenti dalla divisione di Modena comandata dal maggiore Giuseppe Formenti, avviene in pochissimo tempo e già nei primi mesi del 1860 sono operative le stazioni di Scandiano, Montecchio, S. Ilario, Castelnuovo nei Monti e Castelnuovo di Sotto; nella bassa Guastalla, Luzzara, Reggiolo, Novellara, Brescello e Poviglio. In totale gli uomini presenti nella nostra provincia erano 70 tra cui 16 sottufficiali e fra questi, un solo maresciallo. Nel giro di poco furono istituite le stazioni di Correggio, Rubiera, Castellarano, Carpineti, Gazzano-Casina, Villaminozzo, Collagna e San Polo d’Enza. A Reggio il primo quartiere (caserma) che ospitò i carabinieri fu la chiesa di San Filippo e l’annesso oratorio, chiesa sconsacrata ed assunta in carico dal demanio con requisizione nel 1797, dopo lo scioglimento della congregazione dei filippini. Sul finire dell’800 l’amministrazione provinciale acquistava dalla famiglia Curini una parte del palazzo di corso Cairoli; nel 1893 e seguenti, la Provincia provvedeva alle spese per adattare il fabbricato a caserma dell’Arma. Nel più ampio quadro della riorganizzazione dell’Esercito venne ristrutturato anche il Corpo dei carabinieri, cui fu attribuita con r.d. 24 gennaio 1861, la nuova denominazione di Arma ed assegnato il primo posto tra tutte la Armi dell’Esercito. Nel 1862 ebbe termine il processo evolutivo che portò l’antico piccolo Corpo dei Carabinieri di Terraferma a trasformarsi in grande Arma dell’Esercito italiano, idonea ad operare attivamente nella vita del nuovo Stato unitario. Un processo tormentato da infiniti problemi organizzativi – ha concluso il comandante provinciale dei carabinieri - la cui positiva soluzione va attribuita alla capacità indiscussa degli uomini che vi provvidero ed, in generale, al senso del dovere di tutti i carabinieri.

Infine il colonnello Alfonso Di Vito ha illustrato la presenza dei finanzieri a Reggio nel periodo ducale anche sulla base della copiosa documentazione acquisita presso l’Archivio di Stato di Modena. “Quella dei finanzieri reggiani è una presenza antichissima – ha ricordato Di Vito - ed un primo documento risale al 1799 allorquando la Dogana fu trasferita nell’ex convento delle Clarisse”. Il colonnello della Guardia di Finanza ha, in proposito, sottolineato con orgoglio la continuità di tale collocazione in quanto tuttora la Finanza occupa la stessa sede, se non la più antica certo fra le più antiche d’Italia. Sono stati poi illustrati i regolamenti emanati nel tempo e i compiti che i finanzieri svolgevano di assoluto rilievo per il finanziamento delle casse ducali e di conseguenza per la vita dello Stato. Sono stati citati episodi anche curiosi su come venivano svolte le attività anticontrabbando e di vigilanza ai posti daziari.