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“Ragazzi che ti obbligano ad esser vero”

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Di tutti gli avvenimenti che scorrono su internet o sui mass-media i miei sono sempre di un “piccolo uomo” a contatto con i fatti giornalieri dei giovani e delle loro famiglie, che possono interessare quanti a livello educativo sono coinvolti come me nei loro problemi.

Sono appena ritornato da quattro giorni in montagna, immerso nella neve, insieme ai miei ragazzi del Centro, che tanto hanno dato e danno alla mia vita, ragazzi e giovani che hanno un vissuto sofferto ma ti obbligano ad esser vero, a non contare frottole, a dire quello che sei, quello in cui credi, per cui tu vivi.

Non solo loro - “i barabitt” - vogliono questo ma tutti i ragazzi e le ragazze, che desiderano incontrare adulti credibili o, almeno passabili, che testimonino la bellezza del vivere e che hanno saputo dare una destinazione alla loro vita e, di conseguenza, in grado di chiarire e orientare anche la loro.

Avvolti spesso da malinconie e tristezze, che spengono i loro sorrisi, soli nell’affrontare la vita, ricercano testimoni in coloro che sono passati attraverso le loro stesse sofferenze per capire come se la sono cavata.

Li ha colpiti la testimonianza di un prete che si occupa di tossicodipendenti ma ancor più quella di una ragazza che lavora con cerebrolesi: apparteneva anche lei alla società del mutuo lamento, della gente mai contenta di quello che fa, in cerca di un lavoro a fine studi, che umilia: “Tanti anni di studio, un libretto pieno di ottimi voti e poi… ”.

Viene finalmente assunta in questa comunità di cerebrolesi: incontra ragazzi e ragazze sorridenti, contenti di un gesto di simpatia, di una carezza o di un canto, di una filastrocca, di una danza, di un gioco semplice, tanto poco bastava loro per essere felici. Nella loro essenzialità di vita ha trovato lei un motivo di gioia: “Mi basta tornare tra loro per dare una carica alla mia vita. Ho capito che la mia insoddisfazione era legata alle cose, al confronto con le mie compagne. Da loro ho appreso la felicità delle relazioni, dei gesti del quotidiano, che riempiono il cuore! E pensare che all’inizio, ho provato non repulsione, ma quel sentimento di pietà, che li allontanava più che avvicinarli a me. Mi sembravano 'minorati' rispetto ai ragazzi del mio gruppo scout. E invece con il passar dei giorni ho scoperto che erano dei privilegiati da invidiare!”.

Ai miei ragazzi non sembrava vero quello che diceva la Monica. Li ha convinti il suo sorriso: era aperto, donava gioia, speranza. Era credibile!