Riceviamo e pubblichiamo.
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Al lettore anche un po’ disattento della stampa provinciale, capita di gettare l’occhio su articoli ad intervalli quantomeno settimanali, riguardanti il castello di Canossa, sempre segnalato per studi, pubblicazioni, convegni, rievocazioni storiche, le più diverse e soprattutto destinatario ripetutamente di cospicui contributi da parte degli enti pubblici.
In questa prima parte dell’anno sono stati previsti, per quanto si possa ricordare, nuovi scavi sulla sommità della rupe che sorregge i ruderi dell’antico castello, interventi per il rinnovo della pavimentazione in pietra e la ristrutturazione della casa del custode, unitamente a benefici diretti od indiretti di altro tipo, quali la sottostante sede della Matilde S.p.A.; inoltre si può anche conteggiare il coinvolgimento unitamente ai castelli matildici della zona (Bianello, Carpineti e Sarzano) di un intervento per complessivi € 900.000 formulato dalla Provincia con i benefici di fondi europei dell’Asse 4.
Non v’è dubbio che la mole di denaro spesa in molti anni per valorizzare ciò che rimane dell’antico castello e per risolvere tutti i guai succedutesi nel tempo per il fragile assetto statico geologico della rupe che lo sorregge ed anche in un prossimo futuro per l’abbattimento della dirimpettaia “ecomostro” porcilaia non possa che essere di difficile calcolo, ma certamente enorme è stato e, sarà ancora, il prezzo del prestigio che questo maniero del X secolo ha avuto nella storia in quanto testimone nel 1077 del “Perdono di Enrico IV” da parte di Papa Gregorio VII.
E’ notizia di questi giorni la riapertura del circuito matildico che riguarda ventitrè monumenti, tra castelli matildici e corti reggiane, e fa capo alla Matilde di Canossa S.p.A. con il sostegno di un corredo promozionale più che impegnativo e c’è da credere molto costoso.
E’ un luogo comune quello di affermare che la pubblicità è l’anima del commercio, in questo caso “turistico” basato sul patrimonio storico; purtroppo dalla facile consultazione del sito internet apposito, si evince che tutto si arresta per il nostro Appennino al Comune di Toano, che si fregia giustamente, con la sua bella Pieve, di essere Comune matildico.
Per quanto riguarda i comuni del crinale, anche se di questi alcuni come Villa Minozzo e Ligonchio potrebbero avanzare con sufficienti titoli la richiesta di inserimento nei comuni matildici, il buio “culturale” per questo contesto è abbastanza evidente. A parte qualche sprazzo pregevole di cultura di memoria storica come è avvenuto lo scorso anno con i convegni sulla “storia di Ramiseto” e sullo “Statuto di Vallisnera”, o in tempi più lontani a Minozzo con il convegno di studi sulla figura dello storico e studioso locale Francesco Milani e successivamente sui progetti di recupero della Pieve e della rocca del paese, poco altro se non di frammentario, si può ricordare.
Abitando a Minozzo, un paese tanto ricco di memoria storica, non posso esimermi dal confronto, anche se giustamente impari a priori, relativo agli impegni dell’ente pubblico per tutto ciò che riguarda il lascito storico di Matilde di Canossa, certamente più che importante, e le realtà storiche del mio paese, che, davvero, soffrono anche molto in termine di pubblicizzazione che, quanto a spesa, sarebbe anche molto modesta.
Il paese può vantare infatti la compresenza di due monumenti storicamente molto importanti. L’antica Pieve è stata definita, non credo per eccesso di generosità, una sorta di “piccola Ghiara” della montagna per gli ampi sapienti rapporti spaziali che presenta e per le meravigliose decorazioni che si possono ammirare sui suoi soffitti rese ancora più evidenti dopo le opere di restauro realizzate dal 1993 al 1996.
Dal suo sagrato sono ben visibili i notevoli “resti in elevato” della più che millenaria rocca, la cui costruzione viene fatta risalire all’epoca Bizantina, e che è oggetto di opere di recupero archeologico ed architettonico, che, pur avendo beneficiato di dispositivi diversi (legge regionale n. 6/89, obiettivi europei ed altri), sono state portate avanti in modo molto frammentario, nonostante l’importante evidenza della riscoperta di un patrimonio straordinario storico architettonico.
A breve, è auspicabile, per la concessione di un contributo derivante dai fondi degli obiettivi europei dell’Asse 3, la ripresa dei lavori dopo una lunga inspiegabile pausa, finalizzati al completo recupero di tutti gli ambienti della sommità del torrione e alla loro protezione.
Dopo questo già positivo risultato, rimarrà la notevole complessità del recupero archeologico ed architettonico dei lati ovest e sud del torrione medesimo, con un impegno di spesa prevedibile nell’ordine di alcune centinaia di migliaia di euro, un impegno oneroso, ma che sarà senz’altro gratificato non solo dalla messa in sicurezza della cinta muraria ma anche dalla riscoperta di nuovi ambienti posti nei piani sotterranei.
È già durata quattordici anni la penosa via crucis amministrativa delle opere di recupero della Rocca, i risultati sono notevoli ma non si è giunti nemmeno alla metà del loro cammino.
Questo monumento definito “il compendio storico dall’Appennino dalla calata degli Ungari al Congresso di Vienna”, non appartiene pertanto solo a Minozzo, o al Comune di Villa Minozzo che si fregia della sua effige nel suo stemma, ma all’intera comunità dell’alto Appennino, e per esso si richiede, così come per l’antica Pieve, una maggiore pubblicizzazione, finora molto scarsa, ed ovviamente un deciso intervento degli enti pubblici per il suo sollecito definitivo recupero. Necessiterebbe allo scopo una somma inferiore di quanto già previsto in questo primo scorcio dell’anno per il castello di Canossa.
È auspicabile che gli enti pubblici si prendano, per quanto di competenza, a cuore la risoluzione di questa problema, anche se la Rocca di Minozzo, per la sua origine bizantina non appartiene al patrimonio più che pregevole dei castelli e delle corti canossiane.
Dalla stampa si evince che uno dei tre progetti formulati dalla Provincia per i beni ambientali e culturali con i benefici degli obiettivi europei dell’Asse 4 sia riferito alle aree definite “porte d’ingresso” del Parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano.
Sono personalmente convinto che Minozzo, per la coesistenza di due importanti millenari monumenti e per la vicinanza al Parco di Stracorada insito sul Monte Prampa, dovrebbe essere tenuto nella dovuta considerazione nell’ambito delle scelte decisionali che saranno assunte in riferimento alle aree suddette.
(Giuliano Corsi)