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Apertura di mente

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Spesso, vivendo all’estero tra emigranti, mi viene in mente un vecchio professore di filosofia. Ci ricordava a volte un esperimento scientifico dal vago sapore di parabola... Un bambino è messo a capo di un tavolo, sul quale si trova un bell’orsacchiotto, mentre, all’altro lato, una persona tiene davanti a sè sullo stesso tavolo una mela. Questa è evidentemente nascosta da uno schermo alla sguardo del bambino. Alla domanda che cosa vedi? il bambino dirà un orsetto. E che cosa vede l’altro, secondo lui? lo stesso, risponderà sicuro. Cambiando posto, seduto, allora, davanti alla mela il bambino darà come risposta di vedere naturalmente una mela. E l’altro? Dovrebbe vedere anche lui... una mela! Sembra, infatti, che attorno all’età di due anni un bambino creda che gli altri vedano come lui, cioè proprio quello che vede lui.

E al nostro professore concludere: “Certi adulti sono rimasti a questo stadio. Credono (e a volte, esigono!) che altri vedano come loro, quello che essi vedono, dal loro medesimo punto di vista!” Imparare, infatti, che l’altro ha un angolo di veduta differente dal nostro e che ciò merita rispetto è un bel segno di maturità raggiunta.

Nell’esperienza di emigrazione ogni migrante è costretto a una conversione dello sguardo. Per forza di cose si troverà a cambiare il suo abituale punto di vista, cioè l’osservare il mondo secondo la propria cultura, le abitudini acquisite o le tradizioni vissute. Entrerà, quindi, in un nuovo contesto socio-culturale, diverso e sconosciuto. E acquisterà uno sguardo differente sulla vita, sul tempo, sul corpo, la fede... Operazione laboriosa, ma senz’altro feconda.

Passando, a volte, alla Trafalgar Square mi imbatto in qualche giovane italiano e lo sento dire: “Ma guarda quel palazzo, è tutto trasformato, non è più come prima...” Vengo allora a scoprire che ogni anno è solito fare un salto qui a Londra. “Splendido modo di vivere, - mi viene da esclamare - avere un piede in Italia e uno in una capitale europea, tanto da esservi familiare!” Così, sento l’accento toscano appassionato della propria terra intrecciarsi con un altro modo di vedere la vita, il mondo e le relazioni. E diventare un originale passaporto per il mondo di domani... Anzi, lo è già per vivere nella società pluralista e multiculturale che si profila oggi.

Un emigrante, in fondo, riuscirà, forse a mettere insieme diverse prospettive con un grande risultato: diventare uomo di sintesi. Riconciliare, infatti, il mondo originario e quello incontrato, la weltanschauung, la visione del mondo del luogo dove si è nati e quella di dove si vive sarà salutare. Farà nascere in voi una forza impensata nel superare i confini di un sistema. Favorirà la vostra crescita in umanità e un’apertura di mente sorprendenti. In fondo, lo stesso atto del vedere ha bisogno di due occhi - due punti di vista - per cogliere la profondità di campo!

Uscire da uno sguardo unico, da un punto di vista unilaterale è una conquista impagabile. Una città - come qualsiasi situazione che viviamo - si può osservare sempre da tre punti di vista strategici: da dentro, da fuori, dall’alto, tutti ugualmente importanti. Ridursi, allora, alla propria unica percezione - anche se all’interno stesso delle cose o nel cuore di una situazione - è non comprendere come altri luoghi di osservazione siano preziosi e complementari. L’alterità di un altro sguardo fa crescere in sintesi, in apertura di orizzonte e in profondità di visione! In fondo, un bel proverbio africano lo ricorda: “Se pensi come me sei mio fratello, ma se pensi diversamente da me sei due volte mio fratello. Perché grazie alla ricchezza che mi porti e a quella che ti do ci arricchiamo reciprocamente!".

(Renato Zilio missionario a Londra)