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Frane e alluvioni in montagna? La risposta è in un viaggio del 1714

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Frane e alluvioni? Gatta-Pianello sì o no? Situazione idrografica della montagna reggiana? Assenza di cura della terra? La risposta, o meglio, l’indicazione di una possibile risposta, è quanto mai vicina, ma nascosta: in biblioteca, dove mi sono imbattuto in una raccolta dei viaggiatori italiani del passato e, naturalmente, proprio nel passato. È questa la notizia.

Abituati a viaggiare di corsa, in macchina, sempre più veloci di qua e di là si perde il senso della ricerca e dell’osservazione. L’aveva invece Antonio Vallisneri, celebre e rimpianto scienziato reggiano di fama europea, professore universitario a Padova nel XVIII secolo, membro della Royal Society di Londra e amico di Lazzaro Spallanzani. Nel 1714 parte in cammino da Reggio Emilia a Fornovolasco, passando dalla valle e dalle sorgenti del Secchia, e ne tira fuori un brano dal titolo “Le sorgenti della Secchia e la grotta che urla”.

Il brano apre il Meridiano Mondadori uscito in libreria nel 2008 e dedicato ai viaggiatori italiani dal settecento a oggi: i paesaggi della montagna reggiana sono così tra i protagonisti di un'iniziativa editoriale che mostra quanta sete di conoscenza del mondo avessero gli abitanti ed esploratori della penisola. E, spesso, il viaggio più sorprendente è quello che si compie sulle tracce delle proprie origini. Vallisneri le ripercorre dal reggiano, terra d’adozione, sino alla Garfagnana, dove nacque nel 1661, per studiare come scaturiscono le sorgenti.

Per Vallisneri, i fiumi nascono dalle piogge che “filtrano dall’alto nel terreno”, e non dai cosiddetti lambicchi, “secondo cui l’acqua del mare penetra sotto i monti ed evapora per il calore delle rocce, condensandosi nelle fenditure superiori del terreno, che perciò funziona come un alambicco”. Non ci interessa qui vedere se Vallisneri avesse o meno ragione sull’ipotesi delle sue “fontane perenni”, ma cogliere i dettagli della sua descrizione del paesaggio montano.

La sua scelta è quella della meticolosità e della lentezza itinerante, per cogliere la natura sul fatto e per esporre “coll’ordine della gita, affine di rappresentare più vivamente ai lettori la faccia del terreno sul quale ho viaggiato, e di condurgli per mano a quei luoghi”. Troviamo qui la ricchezza del contatto con il suolo, che come personificato assume un volto, e con il lettore, preso per mano, punto di riferimento per chi vuole divulgare saperi.

L’esordio di Vallisneri è pieno di desiderio: “Bramoso di vedere la prima origine della nostra famosa Secchia”. Pensate: ci svegliamo, apriamo la finestra, e ci chiediamo l’origine del cielo prima, del Cusna poi, dell’albero infine. E in tutto c'è acqua: le piogge, le nevi disciolte, la linfa che scorre nei rami e nel verde dei prati. Sentiamo anche noi questo desiderio antico di secoli e secoli?

Si passa poi all’ “altissimo, ed aspro monte, che chiamano Cerè dell’Alpi”. Vallisneri narra dell’incontro con affossamenti, rialti, buche, solchi, argini, scanalature, cavità piene di acqua, e ancora con boschi dove conservate sopravvivono ghiacci e vecchie nevi. Quel “duro dorso”, come scrive, è segnato da inzuppamenti, continui ruscelli, selve “orridissime” che precipitano in crepature e grotte. “Luoghi barbari”, disabitati nel 1714, pieni di nidi d’acqua, i lambicchi delle fonti che ricevono acque distillate da nubi e le donano a noi: ecco la “provvida sapienza di Dio”. Il cielo e la conformazione della terra “operante” ci donano l’acqua, creatura naturale. Passa a parlare del monte Valestra e delle analogie rilevabili dall’Erice a Genova, in Carso e Carinzia, finché non tocca il tasto allora e ancora dolente delle frane: una notte “dormì a Cervarecchio”, paese sui monti di Reggio, “mezzo scoscesa gli anni scorsi per un’orrenda rovina”. Lo stesso, racconta Vallisneri, successe a Casteluovo dè Monti, fondato sulla continuazione del monte e fatto di sola terra, ma anche nella valle del Dragone e in quella dell’Enza, sopra Ciano.

Per Vallisneri, questi sono luoghi “sitibondi d’acque che passano ad una inestimabile profondità. Ogni quattro gocciole che cadano, vi sono fanghi enormissimi”: le acque “sono tracannate” dalla terra, a formare fiumi sotterranei. Prima che tutto franasse, si sentivano “le acque penetrate fino alle fondamenta rumoreggiare, fluire, rodersi” e si portavano via case e foreste d’un botto, come se il terreno “diceva un vecchio, fosse tenera pasta”. La soluzione, ieri come oggi, è l’intervento prudente dell’essere umano, come quell’operaio che a Castelnuovo “provvide all’imminenti rovine con profondi canali, deviando l’acqua sotterranea nell’alveo di un torrente vicino”.

Lo scienziato studiò ragioni ed effetti degli smottamenti, con annesse soluzioni, attraverso il viaggio paziente e la registrazione delle esperienze dei montanari, divulgandole in tutta Europa. La valle del Secchia era assetata nel 1714, lo è ancora oggi, così del resto tutta la montagna reggiana tanto generosa di ciò che dà la vita.

Dal passato possiamo recuperare chiavi di lettura per il presente, e tradurle in azione e progetti: Vallisneri insegna a guardare in faccia la terra, alla ricerca passo a passo del dettaglio incisivo, e coniuga alla potenza inondante della natura, la sapienza e la tecnologia degli umani che vi entrano in armonia.

Ecco, potremmo ritornare a viaggiare la montagna delle spelonche e delle gocciole, a sederci e ascoltare il turbinio di acque che scorrono sotto i nostri piedi giorno e notte, mentre indaffarati lasciamo scorrere il tempo. È proprio in quei momenti che di solito il fantasma di Vallisneri appare d’un tratto parlando di progettualità ecologica e sussurrando che “il tesoro più grande è saper guardare lontano attraverso gli occhi di chi è più vicino: la natura e le sue persone”.

Chiudo il libro degli scrittori italiani di viaggio, manco fosse quello della “storia infinita” e mi sento contento, trasognato: lì da subito, ben prima di Indie, Mississippi, Tibet, oceani e deserti, protagonista è la ricchezza della montagna reggiana e le acque che vi scorrono. I sogni fanno bene e Vallisneri, in verità, è ben altro che uno spirito: le sue parole sono lì, stampate, per essere lette ancora a lungo. E forse le frane non sono altro che un avvertimento della natura: “Svegliatevi!”.

Vallisneri, Antonio. 1714, “Le sorgenti della Secchia e la grotta che urla”, in Luca Clerici (a cura di) 2008, Scrittori italiani di viaggio. 1700-1861”, volume primo, pp. 1732, Milano: Mondadori.
Disponibile presso la Biblioteca Comunale Campanini di Castelnovo Monti.