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La forza delle donne immigrate

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Ieri l'altro alla Pagoda di Carpineti ha avuto luogo una rappresentazione che ha voluto parlare della situazione delle donne immigrate. Di seguito pubblichiamo un pezzo al riguardo scritto da Anna Corsi, felinese, volontaria dell'associazione "Rete Radiè Resch".

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La luce si abbassa e le dita dei musicisti che accarezzano gli strumenti ci portano in un altro mondo, dove il rumore del mare pare vicino e la voce di una donna irachena ricorda i pomeriggi assolati del suo paese; poi la guerra, la miseria e la fuga in Europa. Un racconto pieno di ricordi e abitudini a noi lontane, che aprono lo spazio dell’immaginazione ad una sofferenza viva, a particolari che la musica e il suo racconto richiamano ai nostri nervi più sensibili.

Valeria Oviedo Vanni dà corpo alle quattro donne immigrate che provengono da Iraq, Marocco, Argentina e Ucraina, alternando il suo racconto con la voce narrante, Elisa Pavone. Nell’insieme le due danno un senso di complementarietà, mentre i musicisti Consuelo Serraino e Luciano Casagrande alternano musiche che accorciano le distanze, evocando paesaggi interni ed esterni lontani, che nel breve spazio di qualche minuto diventano a noi vicini.

Il modo in cui viene cantata e tenuta viva la musica ricorda quello di Gian Maria Testa in “da questa parte del mare” o nello spettacolo teatrale “Chishotte degli invincibili”, mentre il racconto del viaggio in mare richiama alla mente la nostra emigrazione di italiani in America, ben narrata nel monologo di Alessandro Baricco “Novecento”, quando, descrivendo le stive degli immigrati, fa dire al suo protagonista “suonavamo tre, quattro volte al giorno. Prima per i ricchi della classe di lusso e poi per quelli della seconda; ogni tanto si andava da quei poveracci degli emigranti e si suonava per loro, ma senza divisa, così come veniva; ogni tanto suonavano anche loro, con noi. Suonavamo perchè l’oceano fa paura, suonavamo perché la gente non sentisse passare il tempo e si dimenticasse dov’era e chi era. Suonavamo per farli ballare, perché se balli non puoi morire e ti senti Dio. E suonavamo il ragtime perché è la musica su cui Dio balla, quando nessuno lo vede. Se cui Dio ballava, se solo era negro”.

E’ quasi una poesia la delicatezza dei movimenti di Valeria che, nell’interpretare la storia delle donne immigrate, riesce a proiettarci direttamente nel loro mondo interiore, nella sofferenza quotidiana che vivono, data dalla distanza dai figli, dagli affetti, dai soprusi che subiscono nelle nostre case, dall’ignoranza delle domande che vengono loro poste, dalla stupidaggine degli uomini che le credono tutte facilmente disponibili.

Un'immagine forte viene evocata dal racconto della donna ucraina la quale, stanca di vedere che in famiglia il cane ha un trattamento migliore del suo, inizia a castigarlo allontanandogli il piatto del cibo, riproducendo sull’unico essere più fragile di lei il sopruso subito. Pare che, come il cane, anche lei abbia una catena che le sta strozzando il collo, ma nell’elaborazione del gesto capisce che non sarà il sopruso a risarcirla dalla sofferenza quotidiana, pertanto decide di lasciarlo mangiare.

Così appare anche la forza delle donne immigrate, che continuano ad andare avanti nonostante tutto per mantenere i figli in patria, o per cercare di capire le regole e le abitudine del nostro paese, non sempre così comprensibili come noi immaginiamo.

Poi ci sono le lettere scritte e mai spedite, le confessioni delle sofferenze custodite nel cuore, il tango di una donna argentina che, in seguito all’instaurarsi della dittatura, emigra perché il padre è i desaparecidos, scomparso. E quando arriva dinnanzi ad un funzionario lo stesso le grida “con tutti questi immigrati, per risolvere il problema sarebbe utile mettervi su un aereo e gettarvi in mare”, non sapendo che forse tra quelle onde sarà caduto anche il corpo di suo padre.

Questo spettacolo insegna a stare attenti alle parole, ad alzare le orecchie, a mettersi dall’altra parte. E infine sì, ci fa capire, richiamando la nostra immigrazione di italiani in America, che questo presente che cammina con noi non ci è così distante.

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Sahar, Aisha, Valentina, Laura: un'irakena,una marocchina, un'ucraina, un'argentina. Quattro donne diversissime tra loro, scelte tra quelle presentate nel libro "In sospensione tra due mondi. Storie di donne migranti", le cui storie sono più significative ed esemplari. Donne come le tante che popolano la nostra quotidianità e che però appaiono trasparenti allo sguardo superficiale degli italiani, che le inglobano nel blocco informe degli immigrati.
Il testo teatrale, arricchito da musiche dal vivo, attraverso una voce narrante e un'interprete essa stessa immigrata, racconta le esperienze e le aspettative di queste donne, il coraggio e la determinazione nell'affrontare situazioni nuove, il doloroso processo di crescita e ci restituisce il loro sguardo, spesso ironico e disincantato sulla nostra realtà, richiamando alla memoria anche l'emigrazione italiana, che tanti oggi rimuovono.

Voce narrante. Elisa (Bettina) Pavone
Interprete Valeria Oviedo Vanni
Musicista Consuelo Serraino
Sceneggiatura Elisa Pavone
Regia Luciano Casagrande
Scenografia e costumi Giovanna Redolfi
Luci e Audio Nando Raffaelli

1 COMMENT

  1. Donne stranieri: occhi azzurri, quasi per dovere… e valigie sempre pronte…
    Così mi pare si dicesse, in una canzone… In punta di piedi, sottovoce, migliaia di badanti sono entrate a “far parte” delle nostre famiglie, portando nelle sgangherate valigie valori molto profondi; forse troppo profondi, per noi. Almeno per me. Una badante castelnovese in Quaresima non mangia carne. Ma neppure consuma latte od uova, perchè, dice, della carne derivati… Per prepararsi spiritualmente alla Comunione e/o alla Confessione si sta digiuni dalla sera prima! Un giorno andammo a Messa con una badante che poi pranzò da noi. Terminato il pranzo, presi la tovaglia per sbatterla fuori dalla finestra; lei mi guardò severa e bloccandomi disse: “Scherzi? Non vedi quelle briciole di pane? Non vorrai gettarle a terra! Non ricordi che il sacerdote ha spezzato il pane sull’altare?!”. Anche quest’anno chiederò ai preti della zona di dedicare alle donne dell’Est qualche minuto nella S. Messa che corrisponde alla Pasqua Ortodossa. Così le badanti potranno portare all’altare le loro caratteristiche uova dipinte ad arte e la loro fede profonda dalla quale c’è molto da imparare. Almeno per me.

    (Umberto Gianferrari)