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Derrick, ispettore di una montagna che cambiava

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E così apprendiamo che se ne è andato anche l’ispettore Derrick. Impietosa, la cronaca, ci ricorda che il suo ciuffo grigio era in realtà un parrucchino.

Non importava. Horst Tappert si era calato talmente nel personaggio che non ne avrebbe smesso mai più i panni, da quel lontano 1973. Anche dopo la fine delle scene, nel 1998, aveva continuato per un po’ a godersi la meritata pensione e gloria, partecipando a innumerevoli serate.
Poi... la scelta: farsi da parte. In un composto silenzio. Proprio lui che, costantemente, continuava a entrare nelle case forte dei oltre 280 episodi registrati in oltre 25 anni di produzione della fortunata serie.

Diciamoci una cosa: chi di noi ha vissuto il passaggio dagli anni Settanta ai primi anni Ottanta (proprio quando il telefilm sfondava su Rai Due) all’ispettore di Monaco si era affezionato davvero. Perché? Diremmo per una duplice serie di motivi. Tra i primi, comuni anche a chi montanaro non è, come non ricordare la morale proposta da Derrick: la lotta del bene contro il male che trionfa sempre. Un classico da teatro greco. Non prima, però, di avere portato il male a interrogarsi su se stesso. Poi, come non ricordare altri elementi di facile identificazione. Come la presenza, in ogni puntata, del fido collega dell’ispettore, Harry Klain (Fritz Wepper), sempre al suo fianco, un po’ come Robin con Batman, emblema dell’amico fidato che tutti vorremmo avere nei momenti difficili (e non solo) della vita. E via di questo passo.

Ma, per quanto riguarda la geografia e le ambientazioni, forse anche perché in quella Monaco grigia degli anni Settanta pareva di intravedere il cambiamento che nel decennio successivo avrebbe interessato l’Appennino. La malinconia della solitudine della grande città in parallelo a quella dei primi anziani soli in borghi che andavano svuotandosi, l’arrivo delle autovetture lunghe al posto di quelle di piccola cilindrata, la povertà che cozza con la ricchezza, la diffusione della cronaca nera. Poi nei suoi modi gentili e nella sua malinconia era facile riconoscere le generazioni che stavano vedendo scomparire definitivamente un’epoca. Quelle di genti che avevano assaporato la vita di sussistenza e che erano attaccate alle cose e ai sentimenti semplici. Forse non era casuale che anche Tappert avesse fatto la guerra e fosse stato fatto prigioniero. Aveva provato le emozioni di tanti montanari o dei loro familiari, ne aveva condiviso anche l’età. E la falce del tempo passa ingloriosa anche su coloro che sembrano immortali.

Rimane la nostalgia. Come quella per il bianco e nero. L’avvento delle prime tv a colori, da noi ben dopo gli Stati Uniti o la città, ci consegnò anche il volto a colori di Stephan Derrick. Davvero la montagna era cambiata.
Una curiosità non passa inosservata: l’attore ottantacinquenne, possedeva anche una casa in Norvegia, sull’isola di Hamaroy. L’aveva costruita su un terreno donatogli dal sindaco della cittadina situata oltre il circolo polare artico: l’ispettore vi si recava per due mesi l’anno, godendo la solitudine ed il silenzio dei ghiacci. Era un montanaro davvero.

(Gabriele Arlotti)