Di seguito il documento con cui Pietro Ferrari, intervenendo per la CISL di zona e provinciale al Consiglio Provinciale aperto del 1 dicembre a Carpineti, ha esposto la posizione del sindacato sui problemi della nostra montagna. Il documento è ospitato anche sul sito della CISL di Reggio Emilia.
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Era il 15 marzo 2008, quindi prima delle elezioni politiche e prima della crisi quando le segreterie della zona montana e provinciali di CGIL, CISL e UIL presentarono il documento: “Linee guida per un confronto sullo sviluppo della montagna”.
In quella sede però a rappresentare la Provincia c’era soltanto il direttore dr. Capuano di cui comunque abbiamo apprezzato l’intervento.
In quelle quattro paginette il tema dello sviluppo e della occupazione su questo territorio veniva affrontato in modo ampio, anche se con un tono meno preoccupato di quanto non lo siamo oggi a soli otto mesi di distanza.
Ciò dimostra quanto nella global-economy il TEMPO sia una variabile importante e quanto le trasformazioni del quadro di riferimento siano veloci e spesso imprevedibili.
A fronte di ciò abbiamo invece un sistema di governo, a tutti i livelli, lento e farraginoso, incapace di assumere decisioni adeguate e tempestive.
Ciò comporta, naturalmente, un senso di sfiducia da parte dei cittadini nelle istituzioni, nei partiti ed anche nei sindacati che è letale per la continuità dei processi democratici.
Per non parlare del senso di inadeguatezza, dello scoramento di chi è stato chiamato a posizioni di responsabilità nel governo di questi processi.
Ritengo quindi importante e positivo che il Consiglio Provinciale abbia convocato questa riunione aperta e ne ringrazio il Presidente ed i capigruppo ed anche, naturalmente la Presidente e la Giunta che è presente quasi al completo.
Oggi la situazione in montagna è certamente più difficile che nel marzo scorso: le quotazioni del parmigiano reggiano non accennano a migliorare, nel settore industriale si moltiplicano le richieste di cassa integrazione, l’edilizia è quasi ferma, il commercio langue, il turismo, che è ormai soprattutto un turismo di week-end “mordi e fuggi”, non può non risentire delle difficoltà delle famiglie, che tendono a tagliare ciò che non è indispensabile e poi si aggiungono, in questo stesso settore, situazioni quali quelle ben note delle nostre stazioni invernali.
Ancora tutti gli economisti ci dicono che, se tutto va bene, ci vorranno almeno due o tre anni per recuperare!
In questo quadro è difficile cercare di vedere quella parte del bicchiere che sia “piena”, ma io ho cercato di farlo. Dico che se questa crisi (in sé la parola crisi non ha valenza etimologicamente negativa, significa “cambiamento repentino”) potrà aiutarci a cambiare un po’ gli stili di vita in modo consapevole, potrà essere di aiuto ad un mondo occidentale ormai incapace di controllare i consumi, di porsi il problema di quella larga parte della umanità che soffre per fame, malattie e guerre.
E’ un mondo, il nostro, ormai incapace di esercitare la grande virtù della SOBRIETA’!
Da questo punto di vista credo che la montagna, i montanari, partano avvantaggiati perché abituati da sempre ad essere più sobrii che altri.
Qui c’è ancora gente che va nel bosco a tagliar legna per il riscaldamento famigliare, c’è ancora gente che coltiva l’orto e il frutteto per i consumi domestici, c’è ancora insomma quel legame con la TERRA che, nei tempi difficili, ha rappresentato il mezzo per sopravvivere.
Qui c’è ancora chi ha più lavori, in fabbrica e poi nella stalla, ed esistono ancora legami di comunità e di auto-aiuto di un certo rilievo.
Insomma “io speriamo che me la cavo” meglio di altri, anche grazie ad un sistema di servizi sociali di alto livello che esiste anche grazie all’impegno di chi ha governato questo territorio nel tempo.
La parte del “bicchiere piena” non può però farci dimenticare la larga parte vuota.
Intanto va sottolineato ancora una volte che, nonostante un gran legiferare a livello nazionale e regionale la questione “montagna” sembra, nel concreto degli interventi che non si fanno, scomparsa dall’agenda dei partiti, dei governi ai vari livelli e degli amministratori che non siano quelli della montagna.
Il giornalista e scrittore Paolo Rumiz ha scritto: “La montagna, pur essendo la spina dorsal fisica del paese, è totalmente scomparsa … dalla politica e persino dall’immaginario nazionale. Sia le Alpi che gli Appennini restano mondi subalterni privi di autostima e rappresentanza politica”: infatti se si guardano i numeri che riguardano la nostra montagna ci si rende conto delle ragioni vere del disinteresse. Siamo 45000 abitanti sparsi in tredici comuni su quasi 1000 Kmq.: meno di 1/10 degli abitanti della provincia su quasi la metà del territorio!
Se poi si guarda a quella parte del territorio montano che è in maggiore sofferenza, i comuni del crinale (Busana, Collagna, Ligonchio, Ramiseto e vIllaminozzo), si tratta di 8600 abitanti su quasi 500 kmq., cioè la meta del territorio della Comunità Montana, poco meno di un quarto dell’intera superficie provinciale.
Appare evidente che numeri così ridotti di abitanti, che per di più sono in diminuzione e sempre più anziani, possano “giustificare” un certo disinteresse.
Ma allora bisognerebbe dirlo in modo chiaro e non moltiplicare appelli e norme che restano regolarmente inapplicate e servono soltanto a salvarsi la coscienza per aver ottemperato al disposto dell’art. 44 della Costituzione: “La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane”.
Pochi giorni fa, il 26 novembre, è stato presentato al Senato l’ennesimo disegno di legge trasversale dal titolo “Disposizioni per la valorizzazione e la tutela dei territori montani”.
Ad una rapida lettura sembra che l’articolato si faccia carico di un concetto che Mauro Corona aveva espresso, nel suo modo un po’ naif, col suo decalogo “Per la montagna dove non nevica firmato, cioè di quei 1850 comuni montani (“dell’invecchiamento e del declino demografico” e della “montagna marginale”) che il CENSIS dice che vivono in una situazione di notevole disagio economico, sociale e strutturale.
Ancora, per restare sulla contemporaneità, voglio ricordare il “Manifesto di Asiago” del 23 ottobre scorso, in cui i comuni e le comunità Montane hanno ribadito la necessità di assicurare alle “terre alte” ampie “autonomie” e, a livello locale, il nostro documento unitario, di CGIL, CISL e UIL, che ho citato all’inizio e il “Manifesto per l’Appennino” propostoci or ora dalle associazioni di impresa da una idea di Confcooperative.
Purtroppo, a fronte di queste importanti dichiarazioni di intenti e valide proposte programmatiche, la realtà dei fatti è che, per citare solo alcuni fatti concreti:
a) a livello europeo è stata abolita la “riserva finanziaria” per le zone montane (Obiettivi 1 e 2) nei Fondi Strutturali,
b) a livello di Governo non risulta che ci sia, nella Finanziaria dei “9 minuti”, alcuna attenzione specifica per la montagna; in compenso il Decreto Gelmini prevede la chiusura dei piccoli plessi scolastici,
c) a livello regionale la legge sulle Comunità Montane è sostanzialmente un documento “burocratico”, nel senso deteriore del termine, piuttosto che “politico” e, negli ultimi anni, le risorse per la forestazione e per la manutenzione del territorio sono state drasticamente ridotte; e potrei continuare parlando di risorse per il turismo ed altro,
d) a livello provinciale non pare che, in questi ultimi anni, uno dei principi informatori del PTCP in vigore, e cioè lo spostamento dell’attenzione sull’asse nord/sud del territorio anziché su quello est/ovest, abbia goduto di particolare attenzione; anzi, nel PTCP adottato recentemente da questo Consiglio Provinciale tale principio non viene richiamato,
e) a livello locale tutte le polemiche sulle Comunità Montane hanno certamente indebolito il ruolo dell’ente che si trova ora in oggettiva difficoltà operativa e in grave crisi di credibilità,
f) i comuni sono in grave difficoltà nel costruire i bilanci preventivi del 2009.
E’ allora necessaria una assunzione di responsabilità da parte di tutti per tradurre in FATTI le dichiarazioni di principio.
Intanto qui c’è un territorio, quello del CRINALE, con circa 8500 cittadini reggiani che credo corretto definire in una condizione di “stato vegetativo”. Occorre allora decidere se “staccare la spina” o mettere in atto, con la massima urgenza, una serie di interventi straordinari di rianimazione per cercare di fargli recuperare un minimo di funzionalità.
L’avvio del Parco Nazionale può essere uno di questi interventi, ma da solo non basta, deve essere accompagnato da molto altro.
Di questo “altro” un elemento importante, anche se non decisivo, è un intervento importante sulla SS 63 e leggo quanto abbiamo scritto sul documento sindacale:
“Le istituzioni devono inoltre assumere come priorità il problema legato al riassetto e all’adeguamento della viabilità: Il problema principale è rappresentato dalla SS 63 in tutta la sua estensione, da Reggio Emilia ad Aulla, che va visto come questione di valenza nazionale trattandosi di strada di collegamento interregionale”. Pensare alla SS 63 soltanto come strada di utilità locale per gli spostamenti da e per i comuni montani, non giustificherebbe gli ingenti investimenti necessari per razionalizzarla.
Abbiamo anche scritto che “questa strada non può essere adeguata con micro interventi di limatura” e quindi è necessario che sui progetti si apra un dibattito democratico.
Abbiamo ancora scritto, sul tema viabilità, che “deve essere affrontato concretamente ed in tempi brevi il prolungamento della Gatta-Pianello almeno fino a Giarola con le stesse caratteristiche, per quanto attiene il rispetto dell’ambiente e la percorribilità, di “strada di accesso al Parco” del tratto Gatta-Pianello già funzionante”. Quanto previsto a tale proposito nel PTCP adottato non ci soddisfa: avevamo richiesto esplicitamente uno studio di fattibilità su questo progetto, la Presidente della Provincia aveva espresso il 7 luglio in seduta pubblica la disponibilità a realizzarlo, ma tale disponibilità non ha avuto alcun seguito.
Voglio citare ancora i temi della forestazione e della difesa del territorio che potrebbero rappresentare, insieme al turismo e all’agricoltura di nicchia, la vera industria di questo territorio, ma si tratta di settori in cui le risorse sono state progressivamente tagliate negli anni quando invece sarebbe stato necessario aumentarle in quanto si è fortemente ridotto l’intervento degli agricoltori e dei proprietari dei terreni che svolgevano autonomamente molte attività per migliorare e difendere i terreni.
Il 27 e il 28 novembre si è tenuto a Bologna un convegno a livello europeo sul tema “La protezione del suolo”. Il comunicato della Regione recita:”se dunque per la conservazione del suolo si punterà sempre più sulla prevenzione, un ruolo essenziale è affidato alle aree boscate e agli interventi del Piano forestale regionale 2007/2013, che ha fra i suoi obiettivi prioritari quello di assicurare la tenuta idrogeologica del territorio. Da sottolineare inoltre che i suoli forestali costituiscono un grande serbatoio di CO2 sottratta così all’atmosfera”: bella frase, ma la Regione ha coscienza della inadeguatezza totale delle risorse disponibili sul Piano Forestale?
Ancora, dalla Regione, leggo una dichiarazione dell’assessore Gilli: “5 milioni di euro per gli investimenti in Appennino”: si tratta delle risorse per gli Accordi Quadro che, per quanto attiene il nostro appennino sono una parte molto piccola destinata alla seconda fase del progetto “banda larga” (quella banda larga che doveva essere disponibile per cittadini e aziende ormai da qualche mese!) e ad “interventi di valorizzazione del patrimonio storico, culturale ed ambientale del territorio”. Mi sembra evidente che 5 milioni di euro spalmati su tutto l’appennino regionale son poco più che qualche nocciolina giusto buona per l’aperitivo, ma bisognerebbe che all’aperitivo seguisse il pranzo!
Ancora sul CRINALE operano le stazioni turistiche (che bisognerà smettere di chiamare “invernali” perché dovrebbero operare almeno sulla bistagionalità!) che sappiamo bene quali difficoltà stanno vivendo.
Anche su questo tema occorrerà cominciare a dire chiaramente che queste imprese, che svolgono un ruolo importante nell’area del crinale, non possono sopravvivere senza l’aiuto pubblico che dovrebbe essere significativo soprattutto per quanto attiene agli investimenti.
Dappertutto, anche nelle Alpi, e non solo nelle regioni a statuto speciale, gli investimenti nei trasporti a fune sono fortemente sostenuti dal pubblico che li considera importanti come quelli sulla viabilità. Bisogna cominciare allora a cambiare il modo di PENSARE a questo problema.
Mi sono dilungato sui problemi del CRINALE per l’estrema urgenza dei problemi, ma il resto del territorio montano non sta molto meglio.
La Conferenza Economica della Montagna, seppure con toni che abbiamo giudicato un po’ troppo ottimistici tanto che i sindacati hanno presentato una serie dettagliata di osservazioni, ha evidenziato i problemi ed alcune possibili soluzioni, ora occorre capire e decidere CHI FA CHE COSA e con quali risorse.
Lo studio “Ri-conoscere la montagna” di Confcooperative e Unione Industriali ha il merito di guardare ai problemi del territorio con un occhio meno economicistico e più sociologico ed è quindi un utile strumento per guardare OLTRE LA CONTINGENZA.
Insomma non ci mancano le analisi, ora occorre passare ai fatti concreti ed in tempi rapidi.
Alla fine riconosco di non aver parlato in specifico di problemi occupazionali e di situazioni specifiche, su cui comunque l’assessore Ferrari ha fatto un quadro molto preciso e dettagliato, ma ho ritenuto che di fronte al Consiglio Provinciale occorresse portare considerazioni e valutazioni di più ampio respiro, perché se non si risolvono i problemi a monte è difficile pensare di poter creare occupazione e lavoro.