Questi primi giorni di novembre 2008 ci ricordano una preziosa ricorrenza: i 60 anni dalla fondazione di “Casa Nostra” per iniziativa di don Artemio Zanni. Vale la pena ricordarla perchè vediamo che troppi giovani del nostro paese nulla ne sanno e ben poco possono capire di una scuola e di una piazza dedicata a “Mons. Artemio Zanni” e del gruppo statuario della Madonna di Fatima presso la cappella centrale del paese. Ancor meno di loro, poi, possono capirlo i “nuovi felinesi” provenienti da altre regioni d’Italia e del mondo.
Ricapitoliamo in breve quel fatto
Il 25 aprile 1945 terminava, qui da noi, la seconda guerra mondiale lasciando un cumulo di rovine morali e materiali per evitare le quali tanto si erano spesi qui a Felina, il cappellano don Giuseppe Iemmi, 26 anni, ucciso sulla Fosola il 19 aprile di quell’anno per aver recriminato l’uccisione sommaria di due innocenti, e il parroco don Anastasio Corsi, 77 anni, morto poco dopo, il 3 agosto, di crepacuore. Occorreva un nuovo parroco capace di affrontare una così difficile situazione. Gli occhi dei sacerdoti più attenti caddero su don Artemio Zanni, 31 anni, appena rientrato dalla prigionia in Germania dove – tenente cappellano del presidio di Pola – era stato volontariamente internato con i suoi soldati. I Germania si era distinto per la difesa dei soldati, per creare convivenza e “sussistenza” tra persone che morivano di fame. Ottenuto da un comprensivo comandante tedesco un “pass” come muratore scelto, potè spostarsi nella Berlino distrutta dai bombardamenti, visitare gli italiani in diversi campi, portare aiuti e consolazioni. Liberato dagli angloamericani, con il loro aiuto creò nel castello di Wilelmstrasse un ospedale per cento soldati italiani e cento russi sofferenti di tubercolosi. Tanti non riuscirono a sopravvivere e li seppellì nel piccolo cimitero ricavato nel parco del castello: “Vi ho sepolti a decine, miei cari ragazzi – scriverà nei suoi Ricordi – ed ogni volta, interprete dei vostri famigliari lontani e ignari, ho sofferto come non mai nella mia vita”. Nell’attesa del rimpatrio, impegnò un migliaio di soldati italiani nel dare aiuto alla popolazione locale a riparare sommariamente le case dai danni, ancor caldi, della guerra, creando un favorevolissimo clima di fraterna collaborazione e riappacificazione. Per mantenere quel clima costruì pure una chiesetta dedicata alla Madonna di Fatima perché ricordasse agli abitanti del luogo la voglia di perdono e di pace dei prigionieri italiani. Girò per la Germania in cerca di italiani ammalati dimenticati e, con automezzi della Pontificia Opera di Assistenza, li portò ai treni letto per il rientro in Italia.
...e, finalmente, rientra anche lui...
Pesa poco più di trenta chili. Resta qualche settimana in famiglia per rimettersi in forze ed eccolo pronto, a novembre 1945, per assumere la parrocchia di Felina come parroco provvisorio (“economo spirituale”, nel linguaggio ecclesiale del tempo) in attesa di diventarlo in forma giuridicamente definitiva. Anche qui, il tema della evangelizzazione passa per lui attraverso il tema della carità, dell’aiuto alle famiglie bisognose e, in particolare, delle giovani costrette ad emigrare come “serve” e dei bambini orfani di guerra o comunque bisognosi. Per le prime istituisce un laboratorio di tessitura nei locali della “corte” della canonica e, per le giovani mamme, fonda la scuola materna (“Asilo infantile”) intitolata a William Manfredi, “Elio”. Per i secondi fonda l’“Orfanotrofio della montagna reggiana”, detto, per il suo carattere di casa-famiglia, “Casa Nostra”, con sede nella Casa Bucci del Belvedere. All’origine due fatti: il ricordo dei soldati che, morendo prigionieri in Germania, gli raccomandavano i loro bimbi piccoli e l’aiuto prestato a due bimbi felinesi, Francesco e Maria Rosini, che vivevano in un tugurio della Fosola con la mamma pesantemente ammalata. Don Artemio è parroco da poche settimane quando apprende della loro esistenza. Consapevole, per la recente esperienza, di che cosa significhi freddo, fame e malattia, conduce a valle la loro mamma, febbricitante, in barella e la fa curare per il disagio sia psichico che fisico, mentre accoglie i due bimbi (sette anni lui, dieci lei) in canonica. E, da Francesco e Maria, subito il pensiero e l’attenzione di don Artemio vanno per i tanti bimbi della montagna. Comincia a raccoglierli e, dove sorge l’attuale campo sportivo piccolo, inizia la costruzione di un'apposita grande casa per loro. Difficoltà e occasioni del momento, lo dirottano poi sulla già esistente “Casa Bucci”, sulla cui stalla edifica la cappella e le stanze soprastanti. E, in ricordo della sofferenza dei soldati italiani in Germania, intitolò la cappella alla Madonna di Fatima. Appena potè, poi, commissionò alla scultrice correggese il gruppo statuario rappresentante la Madonna che appare ai tre pastorelli. Per mancanza di soldi, restò in gesso fino a che don Pietro Romagnani, attuale parroco, le fece rifare in bronzo per salvarle dall’ormai imminente disfacimento. Per mantenere i bimbi, don Artemio aprì una piccola fabbrica di “spole intelligenti”, cioè di spole per candele d’altare, usando un brevetto del signor Lino Cavalletti di Pantano. Aprì anche un distributore di benzina con pompa a mano e un forno da pane; ma questo sarà più un debito che un utile perché in anni nei quali la fame era ancora, era facile distribuire pane, ma altrettanto impossibile – per un prete – farselo pagare da chi non aveva soldi. E così “Casa Nostra” sorse e visse più che altro su una caterva di cambiali.
Il logo di "Casa Nostra"
Logo di “Casa Nostra” era il brano di Vangelo di Matteo 19,14: “Lasciate che i piccoli vengano a me”. E furono tanti i bimbi che bussarono alla porta di “Casa Nostra”. Quando il 1° novembre 1948 avvenne l’inaugurazione di “Casa Nostra” i bimbi erano già una ventina. Nel 1965 saranno una quarantina. Anche dalla pianura si chiedeva a don Zanni di accettare bambini bisognosi. “Casa Nostra” era la prima e unica opera assistenziale per bambini di scuola elementare e media di tutto l’Appennino reggiano, caratterizzata da uno stretto clima famigliare. L’assistenza ai bimbi era garantita dalla “signora Giulia” (la sorella di don Zanni), da alcuni suoi nipoti e da collaboratori pressoché volontari come – per ricordarne uno – il futuro diacono Giacomo Vivi e la sua mamma. Per alcuni anni collaborarono anche le suore “Piccole Figlie del Sacro Cuore” di Sale (Alessandria) che gestivano pure l’Asilo d’infanzia parrocchiale e, più tardi le suore di don Prandi.
A Felina c'erano contrasti, ma su "Casa Nostra" erano tutti d'accordo
Nella Felina del primo dopoguerra c’erano tanti contrasti, anche contro al Chiesa; ma attorno a “Casa Nostra” e al gran bene che essa faceva, tutto il paese si trovò unito e solidale. Chi offriva mano d’opera, chi aiuti in natura (mele, patate, uva... ), chi faceva il bucato per uno o più bimbi; alcune ragazze prestarono lunghi periodi di volontariato. Con il migliorare dei tempi, dopo il “boom economico” cui si era giunti dopo gli anni ’50, la funzione di “Casa Nostra” iniziò lentamente a declinare, tanto che già verso il 1980 don Artemio pensò di trasformarla in opera per gli anziani. Ma i tempi erano cambiati. Il volontariato semplice famigliare del dopoguerra era sorpassato da una burocrazia assistenziale che richiedeva mezzi impossibili per una parrocchia e un paese come Felina e, con la morte di don Zanni, il 23 gennaio 1990, anche “Casa Nostra” entra nella storia. Ma una storia che, nei suoi valori, nei suoi “fatti di Vangelo” ha ancora tanto da insegnare a tutte le persone di buona volontà di oggi. Per questo è bene ricordare.
(tratto da Bollettino della comunità della zona pastorale di Felina, Gatta, Gombio, Villaberza, S. Giovanni, ottobre 2008)
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Grazie
Grazie per averci ricordato quello che è stato Don Zanni per la nostra comunità, grazie per queste splendide foto!
(Lucia Attolini)
Falso magro
Ho letto bene? Don Zanni era stato un tempo 30 kg di peso? Io lo ricordo molto ma molto più robusto! Una delle prime orfanelle, divenute grandi, veniva al mercato al lunedì in corriera e spesso si fermava a pranzo da noi. Le si illuminava il viso al parlare o al sentir parlare di Don Zanni! Un prete grosso; anzi, un prete GRANDE!
(Umberto Gianferrari)
Sono il nipotino (settantenne) di Don Zanni, missionario in Africa (Zambia) dal 1966… e sono commosso! Un testimone del vangelo come lo zio non va dimenticato. In buona parte se sono missionario lo debbo anche a lui e a suo fratello maggiore, il Padre Leone Zanni, pure missionario in Africa. Io volli imitarli… ma ne son ben lontano!… Ciao a tutti.
(P. Umberto Davoli)