Home Cronaca “Detrattori della riforma: pentitevi!”

“Detrattori della riforma: pentitevi!”

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Riceviamo e pubblichiamo.

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Nella sua replica del 21 ottobre Pietro Ferrari ci obietta di non affrontare la sostanza del problema, che a suo dire è chiara come il sole, a cominciare da una riduzione di 85.000 unità per il corpo insegnante, cui si aggiungono le 45.000 riguardanti il personale non docente. Sono le prime due voci tra quelle che ci sottopone chiedendo una risposta, risposta che noi qui di seguito gli stiamo fornendo, pur se in questi giorni diversi giornali hanno dato ampie spiegazioni in materia di Scuola, non solo per le questioni da lui sollevate.

Ferrari parte dunque dai numeri, mentre a noi pareva più ovvio concentrarci innanzitutto sul disagio che, per ammissione unanime o quasi, sta affliggendo la nostra Scuola, e proprio per questo ci siamo dilungati nell’esporre e motivare quanto più compiutamente il nostro pensiero (non volendo esprimerci con proclami secchi e rituali su un argomento così delicato).

Se però vogliamo ragionare di cifre, dovremmo in primo luogo chiederci perché mai, allo stato dei fatti, vale a dire con l’attuale dimensione del corpo insegnante, e di quello amministrativo-tecnico ausiliario (ATA), permanga nella Scuola un siffatto disagio; dovremmo realisticamente dedurne che il numero degli operatori, a parte l’aspetto costi, non si è rivelato al riguardo un fattore risolutivo, e vanno di riflesso percorse altre strade per far fronte alle difficoltà di cui sta soffrendo la Scuola (a meno che qualcuno non ci smentisca, e si metta ora a dire che tali difficoltà non esistono e sono solo una nostra invenzione).

Entrando più nel dettaglio, l’art. 64 della legge 133/08 (dal titolo “Disposizioni in materia di organizzazione scolastica” , all’interno del capitolo “Contenimento della spesa per il pubblico impiego”) si propone di:
• quanto al personale insegnante, avvicinare il rapporto alunni/docente ai quozienti europei, aumentando di un punto quello nostro, e tenendo comunque conto “delle necessità relative agli alunni diversamente abili”. Se la differenza, ossia la forbice, tra i nostri parametri e quelli europei è dell’ordine che troviamo da più parti scritto, non dovremmo stupirci più di tanto se il nostro Paese cerca un graduale allineamento in proposito;
• quanto al personale ATA, ottenere una riduzione complessiva del 17% della dotazione organica, nell’arco del triennio 2009-2011. Non conosciamo quale sia il rispettivo dato percentuale rispetto alla popolazione scolastica, ma immaginiamo che anche per questa categoria di dipendenti valga lo stesso principio di fondo, quello cioè dell’allineamento, che francamente non ci sembra privo di logica.

Ci risulta peraltro che anche un Quaderno Bianco sulla Scuola risalente all’autunno scorso, e dunque prima dell’attuale Governo, avesse evidenziato un non insignificante “esubero” del corpo insegnante, sempre in rapporto alla popolazione scolastica, e sempre con riferimento ai dati OCSE; ma se Pietro Ferrari fosse a conoscenza di altri e diversi indici sarebbe senz’altro utile venirne a conoscenza.

Del resto anche il D.P.R. n. 233, del giugno 1998, ad opera di altro Governo e di altro Presidente del Consiglio, dettava norme “per il dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche e per la determinazione degli organici funzionali dei singoli istituti…”, il che sta a dirci che in questo campo il tema della “razionalizzazione” non è nuovo, e non lo si è fatto spuntare solo oggi, all’improvviso e all’insaputa degli addetti o di chi a vario titolo ne è interessato.

Noi non sottovalutiamo di certo le questioni occupazionali, vale a dire le attese di chi aspirerebbe ad entrare negli organici della Scuola, ma i problemi della Scuola vanno guardati nel loro insieme, posto che il parcellizzarli non ci farebbe uscire dalla situazione che si è andata determinando (e che ha generato, come si diceva, una innegabile e diffusa insoddisfazione, alla quale bisogna porre rimedio onde evitare che abbia ad acuirsi).

Quanto ai fondi, è lo stesso art. 64 della legge 6 agosto 2008, n.133, a dirci che il 30% delle economie verrà destinato ad incrementare le risorse contrattuali, sarà cioè reinvestito nella Scuola, e dunque anziché di tagli si dovrebbe parlare di misure volte da un lato a non eludere le necessità di risparmio, e nel contempo ad ottimizzare la spesa, un obiettivo che a noi sembra piuttosto apprezzabile.

Circa il destino dei plessi con meno di 50 alunni, anche la stampa locale ci sta dando conferma che nessuna nostra scuola è a rischio chiusura, e andrebbero dunque fatti rientrare tutti gli allarmismi impropriamente diffusi nei giorni scorsi. Ce lo aspettiamo soprattutto da parte di coloro che erroneamente, ma in totale buona fede e con “onestà intellettuale”, hanno dato un’interpretazione restrittiva alle norme in corso; confidiamo inoltre che i medesimi potranno sentirsi ulteriormente rassicurati dal contenuto del “Piano programmatico degli interventi” che licenzierà il Ministro della Istruzione, e anche dai Regolamenti che ne seguiranno, sempre in forza della legge 133/08.

(Paolo Bolognesi e Marino Friggeri, consiglieri della Comunità montana)

4 COMMENTS

  1. Numeri
    Spesso si citano dati come esempio di una situazione oggettiva, ma i dati possono essere travisati e stravolti.
    Alcuni esempi.
    Il ministro dice: “La spesa per la scuola è fuori controllo”. Non è vero, perchè purtroppo la spesa per la scuola è costantemente diminuita. I dati del ministero dell’istruzione dicono che negli anni ’90 era il 3,9-4,0% del Pil, ora è del 2,8% del Pil.
    Il ministro dice: “Aumentano i docenti, diminuiscono i bambini”. Dall’anno scolastico 2001/02 fino all’anno scolastico 2007/08 gli alunni sono costantemente cresciuti mentre i docenti sono diminuiti del 4-5% (si vedano i dati del MIUR).
    Il ministro dice: “Il 97% della spesa per la scuola è destinata agli stipendi”. Anche questo dato è fornito con una colpevole svista. La spesa per l’istruzione è composta da 42 mld dello Stato, più 10 mld di regioni ed enti locali; in totale 52 mld. Per gli stipendi del personale si spendono 40 mld circa, che su 52 mld complessivi rappresentano il 78% del totale, una percentuale inferiore al 79% che è la media europea.
    Come si vede i numeri possono essere letti in molti modi. La cosa grave è usarli in modo distorto per orientare l’opinione pubblica di un paese.

    (Cleonice Pignedoli)

  2. A proposito di numeri
    Buongiorno. A proposito di numeri riporto di seguito uno stralcio di un’intervista del 12 dicembre 2007 fatta al presidente della Fondazione per la Sussidiarietà Giorgio Vittadini: “Quell’inutile spreco di risorse che sta uccidendo la scuola”.
    Quest’anno (2007), come negli ultimi anni, la pubblicazione dei dati Ocse-Pisa dà un quadro impietoso e realistico della situazione della scuola italiana: l’Italia è al 33esimo posto per competenze di lettura, al 36esimo per cultura scientifica, al 38esimo posto per quella matematica, con risultati peggiorati rispetto alle precedenti rilevazioni. Solo i licei e il nord superano “l’esame”: il resto è nebbia. I dati, non proprio incoraggianti, non dicono purtroppo nulla di nuovo: si limitano solo a confermare un peggioramento continuo della scuola italiana. Le colpe vengono da lontano: nessuno può essere accusato di essere il “mostro” che ha rovinato la scuola da solo. D’altra parte nessuno può chiamarsi fuori: ci si aspetterebbe un esame di coscienza personale e collettivo che porti ad ammettere la necessità impellente di rivoluzionare il nostro sistema educativo.
    Occorre domandarsi: “Negli ultimi anni sono state fatte troppe riforme, occorre più serietà e un po’ di buonsenso”? Come mai i paesi in cima alla classifica dell’Ocse, per raggiungere i loro risultati, hanno intrapreso una decentralizzazione/destatalizzazione dei sistemi, una drastica riduzione delle materie e delle cattedre in nome del core curriculum, una differenziazione degli indirizzi, una personalizzazione dei percorsi individuali, una certificazione rigorosa delle competenze, una preparazione esigente dei docenti, una severa valutazione delle scuole, degli insegnanti, dei dirigenti? Bastano serietà e buonsenso se permane lo statalismo, la mancanza di autonomia delle scuole pubbliche, la resistenza feroce contro la parità scolastica (pubblico-privata) e la libertà di educazione, la mortificazione della funzione intellettuale degli insegnanti, lo spreco inutile di risorse che sta uccidendo progressivamente la scuola italiana (siamo il quarto Paese per spesa nell’Ocse)? Non vorremmo finire come Don Ferrante che, non credendo al morbo, ne morì.
    Mi pare proprio che la legge Gelmini vada in questa direzione…
    Buona giornata.

    (Riccardo Bigoi, Ligonchio)


  3. Ieri sera mi sono dedicato alla lettura del documento della Commissione tecnica per la finanza pubblica, del ministero delle finanze, che si intitola Revisione della spesa pubblica – rapporto 2008. Il documento esamina lo stato dei fatti e formula proposte in ordine alla razionalizzazione della spesa pubblica in quattro settori: giustizia, infrastrutture e trasporti, interni e pubblica istruzione. Mi sono concentrato sulla pubblica istruzione, settore che conosco, in quanto insegno da una ventina d’anni. La faccio breve: i problemi di razionalizzazione della spesa pubblica nel settore istruzione (cito dal documento) sono i seguenti: “il rapporto docenti/studenti è più alto, le classi sono mediamente più piccole, gli orari di lezione più estesi; ciononostante, i risultati misurati attraverso test di
    apprendimento applicati con metodologie consolidate a livello internazionale (principalmente l’indagine Pisa di fonte Ocse) sono assai modesti rispetto agli altri paesi sviluppati, e per di più sono declinanti negli ultimi anni. Esiste, inoltre, una preoccupante variabilità nei risultati tra
    aree del paese, tipologie di scuola e singoli istituti, che suggerisce una difficoltà del sistema educativo italiano a garantire una effettiva uguaglianza delle opportunità”.
    A fronte di questi problemi, il governo Prodi aveva previsto una serie di interventi di razionalizzazione, nella legge finanziaria 2008, che avrebbero portato ad un taglio di circa 50.000 insegnanti e 8.000 amministrativi nel triennio. Il problema fondamentale nell’attuazione degli interventi – fa notare il documento – è che il ministero detta indicazioni, ma l’attuazione spetta agli enti locali, competenti, in base alla Costituzione, per le politiche scolastiche regionali. Quindi, i costi sociali vanno a carico degli enti locali, i guadagni vanno al ministero. Il documento suggerisce che la via d’uscita sta nel prevedere organi paritetici governo-enti locali, all’interno dei quali concordare gli interventi e, soprattutto, sta nel lasciare a disposizione degli enti locali i risparmi ottenuti, da reimpiegare in interventi compensativi sul territorio. Il governo Prodi aveva previsto un periodo di sperimentazione di questi interventi, seguendo le indicazioni del documento, in alcune province campione, da iniziare nell’anno scolastico 2008-2009 per un periodo di tre anni, al fine di monitorare l’andamento e i livelli di razionalizzazione ottenibili, a fronte dei costi sociali necessari (chiusura di plessi, sedi, spostamento di classi, etc.). Con la caduta del governo, la sperimentazione non è partita. Cosa è partito, invece, con il nuovo governo, per raggiungere gli stessi obiettivi? Invece di 60.000 tagli ne abbiamo 130.000. Invece di reinvestire i risparmi nel territorio, i soldi vanno al governo a copertura di interventi in altri settori di spesa pubblica. E la concertazione con gli enti locali? Un comma nascosto in un decreto sulla sanità dice che gli enti locali saranno commissariati se non fanno esattamente quello che il governo impone. Quindi: il territorio sostiene i costi sociali, il governo incamera i risparmi di spesa, investendoli in settori diversi dalla pubblica istruzione. Nel contempo, sostiene che la scuola ne guadagnerà in qualità del servizio. Questo non è Governare: è Comandare.
    Quello che passa sui media è una cortina fumogena: il grembiulino, il voto numerico, la maestrina dalla penna rossa… La realtà, che presto sarà percepibile da tutti i genitori-utenti del sistema dell’istruzione, è quella di un feroce intervento di tagli di spesa, che non andrà a vantaggio della scuola, che sarà semplicemente ridotta ai minimi termini. Il passo successivo sarà probabilmente il sostegno e l’incentivazione delle scuole private con soldi pubblici. In questo modo si distruggerà un sistema d’istruzione che si pone come obiettivo la PARI OPPORTUNITA’ (non fraintendetemi: non sto parlando di spedire ad ogni cittadino il calendario della Carfagna… ), e si incentiverà un sistema che discrimina in base al reddito. Queste sono scelte politiche, non questioni tecniche. Scelte politiche che vengono mascherate da questioni tecniche (tagli, razionalizzaioni… ). La scuola italiana ha il grande problema del merito: non rende onore all’impegno del singolo e per questo è necessario un sistema nazionale di valutazione, oggettivo, indipendente, che valuti l’operato di docenti e istituzioni; ma, come dice la Costituzione (salvo, naturalmente, che non venga modificata) è necessario garantire il successo scolastico anche a chi – capace e meritevole – è privo di mezzi. Un sistema scolastico pubblico di qualità, a partire dalla scuola dell’infanzia, è il modo per garantire a tutti la pari opportunità formativa. In quale altro modo posso dimostrare di essere capace e meritevole, se non ho i mezzi (economici, ma anche culturali)?
    Il governo sta semplicemente sottraendo risorse, stiamo andando verso la demolizione della scuola pubblica. Le opportunità formative migliori, d’ora in poi, le avrà chi se le può permettere.

    (Commento firmato)

  4. Osservazione
    Noto che Bolognesi e Friggeri riportano dalla stampa locale che nessuna nostra scuola è a rischio chiusura. Può essere, lo si vedrà nel momento in cui usciranno i Regolamenti attuativi dei decreti legge. La lettura del documento che ho citato poc’anzi è al proposito quanto mai istruttiva: in Italia ci sono quattro regioni “virtuose”, quanto a rapporto docenti/studenti, dimensioni delle classi, etc., nella quali i tagli incideranno relativamente meno; questo perchè già da anni perseguono una politica scolastica rigorosa. Una di queste regioni è la nostra. Nella altre regioni non sarà così; là ci saranno tagli da lacrime e sangue. Sempre che il governo, poiché in molte di queste il voto è ad esso favorevole, non adotti due pesi e due misure. Come si sa, la politica è politica, e si regge sul consenso del voto… Ad ogni modo, non mi pare il caso di rallegrarsi solo perché “a noi non tocca”.

    (Commento firmato)