Prosegue, sul nostro Appennino, un dibattito interessante sulla scuola. Pubblichiamo questo ulteriore contributo di Paolo Bolognesi e Marino Friggeri.
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Quanto dice il dr. Pietro Ferrari nel suo garbato commento alle nostre righe del 16 ottobre scorso ci fa sorgere il dubbio di non esserci spiegati al meglio, o semmai di essere stati fraintesi; il che ci induce a ritornare sull’argomento partendo proprio dalle sue osservazioni.
Innanzitutto, noi non abbiamo messo sul piatto della bilancia i titoli di studio, quelli di una volta e quelli di oggi, per fare o tentare una classifica/graduatoria dei rispettivi saperi, non fosse altro perché un tema di questa portata non può essere affrontato in una o due pagine e richiederebbe quantomeno una pluralità di interlocutori (che, preferibilmente, abbiano a confrontarsi in contraddittorio).
Sempre sul tasto dei raffronti, ci siamo anche astenuti dall’accennare ai modelli scolastici di altri paesi europei, risvolto che figura essere all’ordine del giorno (basta seguire gli organi di informazione), anche perché se ne possono trarre spunti interessanti ed utili di riflessione.
Ancora, che nel tempo siano cambiate le esigenze didattiche pure noi lo abbiamo evidenziato nella nostra nota, senza imbarazzi e riluttanze, vuoi perché il negarlo sarebbe irragionevole, vuoi perché non siamo tanto ingenui e sprovveduti da non cogliere le differenze che intercorrono tra presente e passato (anche quando quest’ultimo è abbastanza vicino nel tempo).
Ciò detto, diventa arduo nascondersi alcuni aspetti della questione: non è da oggi che sentiamo insistentemente ripetere che fra gli studenti sono cresciute, e diventate sempre più ingovernabili, le manifestazioni di indisciplina, o di scarsa disciplina, e anche di irriverenza nei confronti di insegnanti e operatori scolastici, con forte disagio degli stessi, e non da oggi viene pure lamentata un’assenza o latitanza della famiglia quanto a fiancheggiare e supportare l’azione educativa condotta dalla scuola.
Noi siamo ovviamente pronti ad essere smentiti, ma se le cose stanno effettivamente così come le abbiamo qui riepilogate, salvo ovviamente le normali e fisiologiche eccezioni, viene spontaneo pensare che la scuola non possegga oggigiorno gli strumenti per poter reagire a siffatta non entusiasmante situazione, e viene parimenti da domandarsi come si possa rimediarvi, stante l’importanza che riveste l’ordinamento scolastico per il destino di un paese.
Proprio sulla base di questa premessa, e viste le attuali diatribe in argomento, noi abbiamo pensato di formulare le nostre considerazioni, la cui logica è così riassumibile: quando, nei diversi campi di attività, un modello organizzativo accusa persistenti criticità (specie se arrivano a sfiorare l’emergenza) gioverebbe concedersi metaforicamente una “sosta”, per guardarsi intorno e vedere di capirne l’origine e le ragioni, operazione che può riuscire facilitata dalla disponibilità di altri modelli coi quali tentare una comparazione.
E noi riteniamo per l’appunto che un modello di riferimento sia a portata di mano, e fosse quello degli anni trascorsi, gli anni che corrispondono grosso modo alla nostra giovinezza. Lo abbiamo giusto ricordato nella nostra nota di qualche giorno fa, non per sostenere che quel modello fosse intoccabile, dovesse cioè rimanere intatto e imbalsamato, ma per dire piuttosto che a nostro vedere ha prodotto effetti positivi e fra questi ha impedito o circoscritto il verificarsi di quanto oggi viene stigmatizzato sul piano dei comportamenti - il che non ci pare essere poca cosa - e andrebbe pertanto rivalutato.
Non ci pare poca cosa perché siamo dell’opinione che qualsivoglia formula organizzativa va impiantata su basi solide e durature, e su salde radici, innanzitutto etiche, pena il rischio di inevitabili cedimenti che possono poi tramutarsi in disfunzioni. Disfunzioni che siamo normalmente portati ad attribuire a chi lavora in quel determinato contesto, mentre andrebbero semmai imputate alle inefficienze “strutturali” del comparto volta a volta interessato (prima che all’apparato che vi presta la sua opera).
Nel caso della scuola, quelle radici sono per noi identificabili, in larga misura, nei principi e nei canoni che un tempo improntavano (fin da bambini perché così venivamo cresciuti) il nostro relazionare, e che dovrebbero essere in qualche modo ripristinati, atteso che il convivere di una comunità si regge sostanzialmente sul come i suoi componenti sanno tra loro rapportarsi.
Anche allora c’erano scolari molto vivaci, ma sapevano contenersi, e più d’una famiglia - causa i pressanti impegni di lavoro, volti a soddisfare bisogni economici che talora erano quelli più elementari - non poteva seguire i propri ragazzi così come avrebbe voluto, ma non rinunciava tuttavia ad indirizzarli con inflessibile e tenace fermezza. Lungi da stonate enfatizzazioni, intendiamo dire che quel sistema, pur nella generale scarsità dei mezzi, ha tenuto e retto in virtù della tensione etica e del senso civico che lo animavano, e una delle cui facce era l’abituale rispetto per le istituzioni di vario grado (sia nei confronti di chi le rappresentava sia dei luoghi che le ospitavano).
Le misure legislative in corso ci paiono andare verso il recupero di cui stiamo dicendo, il che non ci sembra affatto una regressione, motivo per cui, al di là degli eventuali correttivi e perfezionamenti che vi si potranno apportare, non comprendiamo chi vuole rigettarle in blocco e respinge di fatto l’idea che sia stato proprio l’indebolirsi di quei vecchi valori a provocare una serie di guasti, ivi compreso il malessere che sta angustiando il mondo della scuola.
Nel leggere l’insieme dei commenti al nostro scritto rileviamo comunque, con intuibile conforto e piacere, che non siamo i soli a condividere il discorso dei valori e a pensare che possiamo trarre qualche buona lezione da un passato neanche molto lontano. Una regola che può peraltro valere in più di un settore, anche come contrappeso e rassicurazione davanti a problematiche che hanno assunto dimensione planetaria e che talvolta paiono sfuggirci e andar fuori dalla nostra portata.
D’altronde i valori di cui andiamo parlando non hanno colore politico (sono politicamente neutrali, o almeno dovrebbero esserlo) e chi li definisce autoritari e li rifiuta qualificandoli di destra sembra oggettivamente soffrire di un'inguaribile settarismo; ma la cosa è del resto spiegabile perché sarebbe irrealistico contare su un ripensamento autentico (cioè non strumentale e di facciata) da parte di coloro che per anni hanno cocciutamente osteggiato quei valori, contrapponendovi le tesi del nichilismo, e hanno nel contempo puntato a svilire il ruolo della famiglia; o quantomeno a sminuirlo.
Pietro Ferrari asserisce anche che “si rischiano gravi danni per le piccole scuole della nostra montagna” e ci chiama pertanto in causa quali amministratori, ancorché di opposizione.
Pure a noi preoccupa l’ipotesi di una penalizzazione per le nostre scuole, ma proprio sulla stampa odierna abbiamo visto citate le parole del ministro dell'istruzione che in proposito suonano parecchio rassicuranti, dal momento che i previsti accorpamenti non contemplerebbero chiusure di scuole di montagna, e neppure delle isole, e pare dunque prematuro mobilitarsi.
Ma se vogliamo allontanare in via definitiva il pericolo della chiusura delle scuole più decentrate, occorre far sì che quelle nostre zone abbiano a ripopolarsi in modo stabile, creandovi opportunità occupazionali. Diversamente non verrà mai meno il timore che prima o poi abbiano a seguire la sorte delle numerose scuole frazionali del nostro Appennino, che nel tempo sono andate lentamente a svuotarsi, e quindi a finire.
Qui sì che tutti insieme dobbiamo cercare le possibili soluzioni, d’intesa con le categorie produttive e i corpi sociali, per ridare slancio e prospettive alla nostra montagna, ed è un terreno che ci ha visto sempre partecipi, e crediamo propositivi.
Se però qualcuno la vuole mettere ad ogni costo in politica, e calcare sui toni, noi non ci tiriamo di certo indietro, e riteniamo fra l’altro di non essere a corto di argomenti, se e quando la materia arrivasse sui banchi del Consiglio comunitario, come avvenuto ogni qualvolta si sono affrontate tematiche di questa rilevanza.
(Paolo Bolognesi e Marino Friggeri, consiglieri della Comunità montana dell'Appennino reggiano)
Complimenti colleghi!
Condivido le indiscutibili e doverose precisazioni che molto correttamente hanno scritto i colleghi consiglieri della Comunità montana Bolognesi e Friggeri, ringraziandoli anche a nome del mio gruppo.
(Marino Rivoli)
Questo maestro unico è un maestro solo
Apprezzo la moderazione del tono, ma mi sembra pericoloso prendere a modello la propria giovinezza e il buon tempo andato… proprio perché è andato. Molti passaggi dell’intervento mi sembra evidenzino poi che a mettere in crisi è l’atteggiamento educativo della famiglia. Vi sembra sia di aiuto limitare alla mattinata il tempo dell’asilo e ridurre a una la maestra anche con i bimbi piccolissimi, vi sembra siano queste le richieste attuali dei genitori che sempre più spesso lavorano entrambi?
Il problema della legge Gelmini-Tremonti è che comincia con un cappello pedagogico e finisce unicamente con la contabilità. Una riforma pedagogica non può non essere discussa e condivisa, prevedere tempi di riflessione e preparazione, di attuazione e verifica: nulla c’è di tutto questo nell’attuale decreto. Condivido l’importanza di una figura che privilegi la relazione e l’attenzione al bimbo nella sua interezza, ma il maestro unico proposto oggi è in realtà un maestro solo: solo davanti alla complessità del nostro tempo e alle sue mille emergenze; solo davanti alla necessità di definire gli elementi fondamentali, basilari della conoscenza in mezzo al moltiplicarsi delle informazioni; solo davanti a modelli educativi che lasciano soli anche i bambini, a modelli educativi… ineducanti che rendono difficili le relazioni sociali e l’imparare; solo ad accogliere le mille difficoltà e le mille estraneità che il nostro tempo produce; solo a difendere una figura e un ruolo che trovano sempre meno riconoscimenti.
La scuola ha davvero bisogno di riflessione e cambiamenti radicali, ma per ora mi sembra si sia presa la direzione sbagliata.
(Commento firmato)
Ribadisco: belle parole, ma…
Gli amici Bolognesi e Friggeri continuano a riempire pagine con bei ricordi, ma non affrontano la sostanza del problema che è chiara come il sole.
E’ prevista una riduzione del corpo insegnante di 85.000 unità!
E’ prevista una riduzione di personale non insegnante di 45.000 unità!
E’ previsto un risparmio di spesa di 8 miliardi di euro sulla scuola!
E’ prevista la chiusura dei plessi con meno di 50 alunni!
E’ previsto l’accorpamento delle istituzioni scolastiche con meno di 500
alunni!
CREDIAMO CHE TUTTO CIO’ GIOVI AD UN MIGLIOR FUNZIONAMENTO DEL SISTEMA SCOLASTICO?
Aggiungo che qualsiasi riforma scolastica è sempre passata attraverso una discusssione democratica nelle sedi opportune; questa “riforma” (perchè come tale la si vuol fare passare!) da chi e dove è stata discussa? Quando mai è stata proposta al vaglio democratico della discusssione pubblica?
Vorrei che, con la grande onestà intellettuale che voglio riconoscere agli amici Bolognesi e Friggeri, mi si rispondesse su queste cose.
(Pietro Ferrari)
ATTENZIONE!!!
Perché in tutte le scuole primarie di tutti i paesi europei c’è il maestro unico o prevalente? Tutto il sistema educativo europeo è obsoleto e pedagogicamente assurdo?
(Raimondo Motti)
Reinvestiamo i risparmi nella scuola
Se ho capito bene, Paolo Bolognesi e Marino Friggeri pensano sia giusto “concedersi metaforicamente una sosta” per discutere di valori e di modelli didattico organizzativi (maestro unico o no) senza pregiudizi.
Credo sia una proposta accettabile, dovrebbero solo spiegarlo alla Gelmini ed al Governo, la fretta non l’abbiamo mica noi.
Mi permetto di aggiungere una osservazione, se il tema vero non sono i tagli ma il miglioramento del sistema scolastico, perché il ministro non prende l’impegno di reinvestire TUTTI I RISPARMI derivanti da una eventuale riforma condivisa NELL’ISTRUZIONE E NELLA RICERCA?
(Giuliano Maioli)
Molto brevemente: è semplicemente grottesco che si voglia mascherare quello che un puro taglio alle spese vestendolo di assurdi contenuti che nulla hanno a che vedere con la soluzione ai problemi della scuola. Io mi occupo di impresa e non voglio dare un taglio politico a questo intervento, ma in un momento dove l’unico baluardo di fronte all’assalto dei paesi emergenti è l’ottimizzazione della gestione delle imprese e la produzione di prodotti tecnicamente evoluti, cose possibili solamente con personale altamente preparato e qualificato, è autolesionismo puro tagliare sulla formazione dei nostri ragazzi. Chi vuole metterla sul piano politico arrampicandosi sugli specchi per giustificare i contenuti di questo provvedimento si ricordi che qui è in gioco la formazione delle nuove generazioni e conseguentemente la nostra economia e non un sottile e sterile gioco politico.
(Sergio Sironi)
Protestare è un dovere
Proprio oggi al tg il premier Berlusconi ha dichiarato che, nonostante le proteste, il decreto Gelmini non verrà ritirato. Penso che una dichiarazione simile sia contro la democrazia; in uno stato democratico si discute e si cercano insieme soluzioni, non si impone a tutti i costi una legge che nessuno vuole. A questo punto penso che la questione non sia più di destra o di sinistra ma di coscienza: La riforma interesserà i figli di tutti e i disagi che questa riforma porterà peseranno su tutte le famiglie. Ho letto sul giornale che se la riforma dovesse passare chiuderanno, per esempio, le scuole di Toano, Quara e Cerredolo; immagino che i bambini verranno dirottati su Cavola, ma non credo che la scuola di Cavola potrà ospitare tutti questi alunni; e allora cosa si farà? Si costruirà un nuova scuola? E i soldi? E i trasporti? Su chi peseranno i costi per trasportare i bambini? Ma sulle famiglie, naturalmente! Non certo sui comuni che già faticano a tirare avanti. E tutti questi tagli alla scuola cosa produrranno? Sicuramente ragazzi sempre più impreparati. E come mai è necessario fare tagli alla scuola perchè mancano fondi e poi si trovano soldi per salvare le banche? Io mi auguro che il buon senso prevalga perchè con questa riforma è in ballo il futuro del nostro Paese, perchè i ragazzi di oggi saranno gli adulti di domani. Il presidente Berlusconi ha anche dichiarato che il governo non potrà tollerare manifestazioni da parte di studenti, insegnanti o genitori: ma stiamo scherzando?! Non eravamo uno stato democratico?! Protestare è un nostro diritto, anzi, un nostro dovere. Mai come in questo momento ci sembra necessario.
(Monica Belli)
Bravo Silvio!
Stamattina Berlusconi ha detto che sarà pronto a fare presidiare le scuole dalla polizia… Che sorpresa!! Un’altro gesto di pura democrazia! Protestare è un diritto e un dovere del cittadino. Spero che le persone che portano avanti l’idea che questa legge sia giusta e che questo modo di comuicare col popolo sia democratico facciano una sola cosa: -VERGOGNARSI-
(Mattia Rontevroli)
Io supporto ma…
Su questo tema la sinistra è razionale e la destra qualunquista, se si deve governare lo si faccia con la testa. Punto due… per quello che ho visto stamattina gli studenti meritano tutti i tagli possibili. Forse in montagna non arriva ma davanti le sedi c’erano solo trecento gatti.
(mn)
Se l’occupazione è democrazia
Se uno straniero fosse arrivato ieri in Italia senza sapere nulla e avesse visto i telegiornali, con cronache di scontri e occupazioni degli scuole e atenei in tutto il Paese, cosa avrebbe pensato? Probabilmente che in Italia il ministro Mariastella Gelmini sta rivoltando l’università come un pedalino, che sta cambiando tutto con leggi draconiane che ne riscrivono le regole dalla base. Il malcapitato però sbaglierebbe di grosso, perché ad oggi la Gelmini non ha emesso nessun provvedimento che riguardi l’università. Peraltro, nella politica di risparmi che riguarda tutti i comparti della spesa pubblica, il settore della ricerca e dell’università è uno di quelli che risente di meno del periodo di “vacche magre”. E allora contro cosa stanno protestando gli studenti? Contro chi l’abbiamo capito, visto che la fantasia nei cartelli e negli slogan è in libero sfogo permanente, ma contro cosa purtroppo non è dato sapere. Anche perché se la protesta degli universitari fosse per i tagli all’università è a dir poco bizzarro che si manifesti con tanta violenza a tre mesi dall’approvazione della legge che li ha istituiti, datata 6 agosto 2008. Viene il sospetto che la maggior parte dei ragazzi che urlano e occupano, che partecipano a improbabili lezioni davanti a Montecitorio non sappiamo neanche di che stiamo parlando. Eppure ne avrebbero da lamentarsi, eccome. Potrebbero protestare, con ottime ragioni e dati di fatto, per la scarsissima efficienza del sistema universitario, per la latitanza didattica di moltissimi docenti, per lo sperpero di risorse che molti atenei continuano a perpetrare istituendo corsi inutili e seguiti da uno o due studenti, alla faccia di una situazione economica da fallimento. Dovrebbero insomma ribellarsi a quegli stessi rettori che spesso, con una rara faccia di bronzo, si improvvisano capipopolo, per evitare furbescamente di esser messi, come dovrebbero, sul banco degli imputati. E invece contro chi si rivolgono? Contro il ministro, come ormai d’abitudine da un trentennio a questa parte. Anche, e soprattutto, alimentati da un’opposizione che non manca di tenere alto il livello di ambiguità della protesta, mischiando tra loro cose che nella maggior parte dei casi non c’entrano nulla tra loro. Questa Occupazione non è un fatto di democrazia ma un vero e proprio atto di violenza di una minoranza nei confronti di chi vuole studiare e frequentare regolarmente le lezioni. Non è a caso che proprio ieri, nel pieno delle occupazioni degli studenti universitari, Veltroni abbia chiesto al governo di fare un passo indietro sul decreto Gelmini, un decreto che, neanche spulciato fino all’ultima riga, affronta il tema della riforma universitaria. In autunno, più puntuali della vendemmia e delle castagne, arrivano le occupazioni. Il motivo non è importante, anzi come si è visto non conta nulla, può anche non esserci. A pensarci meglio però la Gelmini una grave colpa ce l’ha: ha timidamente annunciato l’idea di voler trasformare le università in fondazioni, come già succede in moltissimi paesi occidentali, rendendo così le istituzioni autonome e responsabili anche a livello contabile. Ah, ecco qual è il problema: i ragazzi stanno facendo il gioco di quegli irresponsabili dei docenti che vogliono continuare a fare ciò che vogliono senza rispondere a nessuno. Bisognerebbe chiedere agli studenti inglesi, americani o tedeschi come funzionano le cose da loro…
(Damiano Ferretti)
Diritti e DOVERI
Potrete avere ragione nel dire che il protestare è democratico. Ma l’occupazione delle classi o addirittura di intere scuole, le quali impediscono ai giovani che ne hanno voglia di continuare a studiare per non restare indietro è una cosa molto ma molto brutta. Degna di essere affrontata con le forze dell’ordine. Ma scherziamo? Io che ho voglia di seguire i miei corsi e altri studenti me lo impediscono? Siamo fuori da ogni cosa. Speriamo che certi capofila di questi “branchi” di studenti si ravvedano e capiscano che continuando così chi ci perde sono solo loro e non otterranno mai niente di buono.
(Stefano)
Sai, Damiano…
…se uno straniero fosse arrivato ieri in Italia saprebbe cose sul presidente del Consiglio che tu sicuramente non vuoi sapere… Ti consiglio di stampare ciò che hai scritto e di andare davanti a qualche scuola e leggerlo ad alcuni insegnanti… non dico ragazzi… qualche insegnante o preside…
(Commento firmato)
Alt !!!
Contrordine… Dalla Cina super-Silvio dice che ieri non è vero che ha detto che avrebbe usato la polizia per fare sgomberare le scuole anche con la forza. In più ha assicurato che convincerà gli studenti ad abbandonare le aule a suon di storielle divertenti (giuro che non sto scherzando, guardate @Lhttp://www.repubblica.it@=www.repubblica.it#L). Lettori e lettrici di questo blog, io vi chiedo di aiutarmi a capire cos’ha quest’uomo sotto lo strato di linoleum ignifugo che ha in testa.
Buona serata.
(Mattia Rontevroli)