Riceviamo e pubblichiamo.
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Vorrei sottoporre all'attenzione della redazione e di tutti i lettori una mia riflessione sulle manifestazioni del "No Gelmini day" a Roma.
Non voglio entrare nel merito se la riforma della scuola primaria del ministro Gelmini sia giusta o sbagliata, conta poco riguardo quello che vorrei sottolineare.
Credo che strumentalizzare dei BAMBINI mettendo loro il lutto al braccio o facendoli sfilare sotto le insegne sindacali sia ETICAMENTE E MORALMENTE deprecabile, tanto più quando tali azioni vengono da chi dovrebbe occuparsi dell'educazione e della crescita civile dei nostri bambini.
Trovo incredibile che non si siano levate voci indignate di fronte ad immagini come quelle mostrate dai telegiornali. Se fossero stati i miei figli ad essere strumentalizzati in quel modo avrei fatto il diavolo a quattro in ogni sede competente!
Mi piacerebbe conoscere l'opinione degli attenti lettori di Redacon a riguardo.
(Riccardo Bigoi, Ligonchio)
Siamo alle solite…
Le tecniche di inculturazione dei regimi sono sempre le stesse: ricordiamo tutti gli studenti irregimentati in sfilata negli anni ’70 a gridare slogan sempre e solo contro Pinochet o la guerra in Vietnam e mai contro i regimi di Breznev, Pol Pot o Mao Tze Tung o l’invasione dell’Afganistan… Basterebbe solo andarsi a rileggere i manuali di storia con cui ci hanno indottrinati sempre e solo in una direzione… sinistra… Oggi il bersaglio è la Gelmini, domani il Papa… picchia oggi, picchia domani… qualcosa attecchirà in quei cervellini sempre più vuoti e sempre più incapaci di senso critico, di ricerca storica e di sana memoria… La tesi di Bigoi è avvalorata dal bel commento di Marina Corradi su @CAvvenire#C del 3 ottobre, che segue.
(Commento firmato)
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“Strumentalizzare i bambini. Questo sì esclude dalla scuola – Il ‘no-Gelmini day’, giornata contro la riforma della scuola, ha visto volantinaggi, sit-in, notti bianche.
Legittima protesta, con però una stonatura nel modo in cui il dissenso degli insegnanti si è organizzato in qualche città. A Firenze alcune maestre hanno fatto scrivere sul diario agli alunni l’invito alle famiglie a firmare contro il decreto, a Bologna sarebbero stati distribuiti volantini in classe. ‘Siam bambini, siam piccini ma bocciamo la Gelmini’, recitava lo striscione di una manifestazione dei giorni scorsi nel ord, ed era appeso a una scuola elementare, a giudicare dall’età dei bambini nelle foto. Anche i ragazzi, insomma, arruolati come truppe nella battaglia. C’è, in questo, la traccia di uno sguardo che – comunque la si pensi sul ‘maestro prevalente’ – dovrebbe preoccupare. Come un retrogusto di strumentalizzazione di quell’’utenza’ particolarissima che sono i ragazzi. Non è una questione di correttezza formale. Se qualcuno, per una pure rispettabile difesa di proprie convinzioni o interessi, ritiene giusto far scrivere sul diario scolastico: mamme, papà, firmate contro la riforma, questa è strumentalizzazione. Cioè, è fare degli alunni uno strumento della propria lotta. Mentre a scuola i ragazzi, l’educazione, sono il fine. Sembra il segno di un equivoco stagnante nell’atmosfera pesante che grava sulla riforma Gelmini, mentre si attendono scioperi da tempo annunciati e ieri sera Berlusconi stesso è intervenuto per affermare che non ci sarà alcuna ‘cacciata’ di docenti, ma prepensionamenti e blocco del turn over. Non entriamo nel merito del dibattito sul ‘maestro prevalente’: annotiamo solo che se in quasi tutti i paesi europei, dalla Francia alla Gran Bretagna alla Spagna, alle elementari c’è il maestro unico, è difficile pensare all’insegnamento plurimo come a un dogma. C’è chi, in buona fede e con motivate ragioni, difende il sistema oggi in vigore. Ed è una posizione che va risolutamente rispettata. Ma – viene il dubbio di fronte appunto a certe stonature, a certi toni da barricata – il problema per altri invece non è forse tanto didattico, quanto di conservazione di posti di lavoro. Questione seria; che però non può essere risolta facendo della scuola un bacino per docenti in esubero. Perché la finalità della scuola, con tutto il rispetto degli insegnanti precari e delle loro giustificate ansie, non è mantenere i livelli occupazionali, ma educare, e questo deve venire prima di tutto. Se la quasi totalità delle risorse della scuola in Italia è usata per pagare (poco) un numero molto elevato di insegnanti, è legittimo il dubbio che converrebbe averne meno, più retribuiti e dunque più qualificati. O almeno, si dovrebbe poter discuterne senza annunci di battaglia e lance in resta. Altrimenti viene il sospetto che non le preoccupazioni didattiche animino tanta animosa reazione, ma la difesa di interessi di una categoria. Ora, è normale che ciascuno difenda i suoi interessi. Lo fanno tutti: per un contratto non escono i giornali, si bloccano i mezzi pubblici, mesi fa i camionisti hanno appiedato l’Italia. Il corporativismo è un marchio avanzante del nostro tempo. La scuola, però, almeno crediamo, dovrebbe essere un terreno diverso, proprio per via di quella particolarissima ‘utenza’. Il fine della scuola sono i figli, quelli di tutti; ciò che abbiamo di più caro, in un momento in cui l’emergenza educativa è evidente, sulle cronache dei giornali come nelle case. Se almeno su questo ci si potesse mettere d’accordo, sul primato dell’educazione sopra ogni altra questione, forse lo scontro si farebbe meno aspro. Se da ogni parte ci si ricordasse che la scuola non è area di mantenimento dell’occupazione intellettuale, né terreno di lotta contro un padrone sfruttatore. Alla scuola affidiamo i figli, perché crescano. È, dovrebbe essere, il luogo per eccellenza del bene comune. Ciò che viene prima. Ciò che, di un Paese, è più caro.
(Marina Corradi, su @CAvvenire#C del 3 ottobre 2008)
Strabismo
Caro sig. Bigoi, avrei apprezzato un commento di questo tono anche quando migliaia di bambini manifestavano con cartelli e striscioni al “Family day” contro le unioni omossessuali e contro le convivenze fuori dal matrimonio. Ma forse quelli erano esseri di una specie superiore, del tutto edotti sull’obiettivo del raduno che con convinzione e consapevolezza hanno seguito i loro padri, le loro madri e i sacerdoti delle loro parrocchie.
(Luigi Bizzarri)
Quale sorpresa…
Gentile signor Bizzarri, “Family day”, traduzione letterale dall’inglese: “giorno della famiglia”. Quale incredibile sorpresa che i figli fossero in piazza coi propri genitori! Ma per favore…
(Riccardo Bigoi, Ligonchio)
Doppiopesismo
Non scantoni, caro sig. Bigoi, non scantoni. Presumo che i genitori dei bambini che hanno parecipato al “No Gelmini day” fossero ampiamente consapevoli del significato della manifestazione, alla quale hanno consentito ai figli di partecipare, come lo erano i genitori che hanno portato i figli al “Family day”.
Il punto è un altro. Se lei sostiene, ed io personalmente potrei in linea di principio essere d’accordo, che si sono strumentalizzati i minori sulla vicenda perchè loro della questione, vista l’eta, non potevano averne e darne un giudizio autonomo e personale, lo stesso vale anche per il “giorno della famiglia” (se per caso ha dimenticato vada su “You Tube”, clicchi “Family day” e osservi le decine di filmati presenti). Riconoscerlo da parte sua smentirebbe la sgradevole sensazione di un patetico e grossolano “doppiopesismo” a cui peraltro la nuova classe dirigente berlusconiana ci ha largamente abituato. A partire dal comico fatto che i più tenaci sostenitori della “famiglia” di famiglie ne hanno tre o quattro.
Mah!
(Luigi Bizzarri)
Controriforma scolastica
Signor Bigoi, è anche vero che i bambini che attualmene frequentano la scuole saranno coloro che ci rimetteranno maggiormente con questa riforma. Non credo nemmeno alla rivolta degl insegnanti come una rivolta di una corporazione. In questi giorni, per motivi universitari, ho potuto conoscere le attività che le varie scuole reggiane propongono. Sono progetti bellissimi, portati avanti con passione da tante insegnanti e dirigenti, dove si capisce come l’apprendimento è un qualcosa di diverso da quello di riproduzione della conoscenza, è un’attività dove il bambino è protagonista, è costruttore di “conoscenza”; un tipo di apprendimento adatto a una società così complessa. Forse negli altri paesi il modello prevalente è quello del maestro unico (e non credo sia così, tra l’altro); quello che so, e che ho visto, è che le è delegazioni di tanti paesi vengono a Reggio per studiare il modello reggiano. Tornare al maestro unico è un danno enorme nei confronti della scuola e del nostro paese.
(Simone Ruffini)