Dal bollettino settimanale "Camminando... " della parrocchia di Vetto di questa settimana proponiamo l'apertura di don Carlo Castellini. Si tratta del commento al Vangelo della domenica.
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“Se tuo fratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo… ”. Raramente la parola di Gesù contiene una raccomandazione così inattuale e così difficile da attuare.
Anzitutto c’è da dubitare di avere rapporti così stretti e assidui con persone in modo tale da doverle considerare “fratelli”: oggi infatti viviamo in una società che ha fatto dell’individualismo una bandiera. Passata l’ubriacatura dell’assemblearismo sessantottino, ci siamo rattrappiti nel privato, tanto che una delle leggi oggi più invocate è quella della privacy, la cui violazione è uno dei pochi “peccati mortali” aborriti anche dagli atei.
Poi c’è da dubitare che qualcuno commetta davvero una “colpa”. Una colpa contro chi? Se è contro Dio non c’è problema, quando si sentono autodifese del tipo: “Io da molti anni pratico l’autoconfessione. So che Dio mi perdona, perché Gli parlo tutti i giorni con preghiere spontanee, spesso vado in chiesa ad accendere una candela, faccio del volontariato… ”.
Infine, l’imperativo: “ammoniscilo”. Parola desueta perché presuppone un Superiore e un inferiore, uno che Insegna e uno che ascolta, uno che Comanda e uno che obbedisce… ma oggi non abbiamo superato definitivamente i vecchi ruoli sociali e famigliari? Se diamo del “tu” a tutti, chi è l’altro per potermi insegnare qualcosa?
Al di là della facile ironia… sotto l’impermeabilità ai consigli e alle raccomandazioni dobbiamo saper vedere una grave perdita di senso dell’appartenenza alla famiglia e alla società, prima ancora che alla Chiesa e alla sua gerarchia di valori.
Se, ad esempio, un bambino cresce in una famiglia di separati, arriverà più facilmente a detestare i genitori e perderà il senso di riconoscenza verso chi l’ha messo al mondo e verso le figure adulte. E se un altro bambino sente lontana e insignificante la figura del padre, crescerà senza Legge, senza i connubi colpa-castigo e merito-premio che formano in lui la coscienza retta e i criteri dell’agire.
E ancora, pensiamo alla manipolazione delle menti giovanili esercitata da mass-media, ricchezza e pubblicità, per cui conta solo “avere” ed “apparire”, senza sensibilità verso i poveri e verso i limiti economici dei genitori. Senza radici e cresciute piene di pretese, le nuove generazioni si sentiranno svincolate da qualsiasi legge o minimo comun denominatore sociale. Ricordiamo l’agghiacciante freddezza con cui recentemente un giovane assassino pretendeva di essere subito rimesso in libertà, o l’assoluta indifferenza con cui tre minorenni di Torre Annunziata hanno confessato una violenza sessuale ai danni di una turista…
Cosa c’è sotto a queste tragedie, spirituali prima ancora che morali? C’è l’idolo assoluto della Libertà, cui vengono sacrificati tutti i valori più belli, persino quello della ricerca della Felicità! Si pensi ad esempio alla seduzione sottile del pensiero divorzista, per cui se una quarantenne non ha ancora tradito il marito (anche se con lui è felice e serena), viene considerata dalle amiche una povera retrograda che non sa godersi la vita.
Dopo tanta denuncia, verrebbe da rinunciare alla correzione fraterna… Proponiamo però una piccola via di soluzione. Se l’idolo è l’io, il soggetto, il fare “ciò che mi pare e piace”, provochiamo chi pensiamo abbia sbagliato a valutare se è “davvero” felice. Se non conta più l’oggettività della norma morale, ci resta pur sempre il confronto con l’esperienza del soggetto, con l’esito ultimo e profondo delle sue scelte. Con l’animo del Buon Pastore, preghiamo tanto per coloro che rischiano di dannarsi per l’eternità e, fin d’ora, di condurre una vita amara.
Sentiamo come si riverberava questo dramma nell’animo di sant'Agostino: «Se sono nell'errore, dicono, se sono vicino a morte, perché mi desideri? Perché mi cerchi? Rispondo: Perché sei nell’errore, voglio richiamarti; perché ti sei smarrito, voglio ritrovarti. Replicano: “Voglio smarrirmi così, voglio perdermi così”. (…) Se non vuoi il fastidio di dovermi sopportare, non sperderti, non smarrirti: E' troppo poco se io mi contento di affliggermi nel vederti smarrita o sperduta. (…) Senti infatti che cosa viene dopo: “E le pecore grasse le avete ammazzate“(cfr. Ez 34, 3). Se trascurerò la pecora smarrita, anche quella che è forte si sentirà trascinata ad andar vagando e a perdersi” (dal «Discorso sui pastori»).
(Don Carlo Castellini)