Il più grande fenomenalista? Kant. Il più acuto etico? Schopenauer. O ancora Aristotele, Platone, Descartes. Non verrebbe in mente di cercare la filosofia più sottile e più semplice in una religione e tantomeno in India e Tibet. Eppure questo è ciò che si propone di fare il libro "Vita e insegnamento di Lama Tzong Khapa" edito dalla nostrana "Chiara Luce" edizioni di Pomaia, (PI), punto fisso per chi cerca testi specifici sull'argomento del buddismo. Si apre un viaggio nella filosofia buddista, alla ricerca di un sapere profondo e difficilmente confutabile.
A fare questo, con l'ausilio di traduttori, è Je Tzong Khapa, alias Je Rimpoche, una figura straordinaria di filosofo itinerante delle montagne tibetane che rivela una biografia ai limiti del mistico. Viussuto nel medioevo a contatto continuo con un dio, di cui lui stesso sarebbe emanazione, passa i suoi anni meditando, scrivendo trattati e discorrendo coi principali maestri di buddismo. Giunge così a smussare e fondere le diverse tradizioni in un sistema filosofico efficace che prenderà il nome di scuola Ghelupa. Il linguaggio moderno e ricco di termini attuali, della traduzione italiana, permette al lettore di immedesimarsi nei dibattiti filosofici contenuti nel libro.
Impressionante l'opposizione argomentata contro nichilismo e materialismo, che in occidente hanno raggiunto portata enorme con Nietzche e Marx. Il nichilismo è definito come l'attitudine a non considerare la portata dell'oggetto di negazione, spingendosi troppo oltre; il materialismo come l'innato afferrarsi che sostiene una esistenza intrinseca delle cose. Il mondo non viene considerato come un oggetto inesistente, come il 'corno di un coniglio', ma come un fenomeno illusorio, il 'riflesso di uno specchio'; il maestro arriva a designare l'effettiva realtà di tutte le cose come fenomeni illusori. Come una stella, un difetto visivo, una lampada, un gioco di prestigio, la rugiada, una bolla d’acqua, un sogno, un lampo e una nuvola: vedi così tutti i fenomeni composti (dalle stesse parole di Budda ndr). Nulla quindi appare più come intrinsecamente vero, nulla a parte la realtà ultima delle cose, la visione dell'essere: il Nirvana.
Sconcertante anche l'abilità tutta orientale per descrivere gli stati mentali e l'agire dei fenomeni in questi, dalla 'realtà convenzionale' fino alla visione della 'realtà ultima'; vengono descritti in maniera esaustiva diversi stati di trance e meditazione e trattati i fenomeni come si presentano alla mente negli stessi, quasi una guida per il pensare. Perfino il 'cogito' cartesiano si rivela grossolano agli occhi di Tzong Khapa, che arriva a dire che è un errore dovuto all'innato afferrarsi al se della persona invece di riconoscere in quel luogo solamente il proprio pensiero.
Le argomentazioni, sono ovviamente un po' ostiche, ma il solo pensare che questo monaco si è dilettato a scrivere trattati filosofici di settantacinque pagine, spinge il lettore a continuare e arrampicarsi sui suoi discorsi. per una lettura più frugale inceve, rimangono le note bibliografiche che rivelano una vita leggendaria non meno interessante. Il testo è adatto a chi ha qualche cognizione di base di buddismo, dopodichè la lettura procede per moto proprio con la consapevolezza di avere sotto di sè un Kant o un Platone, ma estremamente più raffinato, e magari la speranza religiosa di leggere il vero.
In effetti è molto attuale quello che viene descritto e non è un caso che le menti orientali siano predisposte alla quantistica in maniera maggiore degli occidentali, basati a un mondo fatto su poche labili certezze. Come prosa filosofica è affascinante e ardua, come libro sicuramente un titolo alternativo. Non che valga la pena di lasciarlo chiuso per non tentare.