Riceviamo e pubblichiamo.
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Potrebbe urtare le sensibilità odierne sostenere che la guerra non fa che innescare violenza su violenza. E dire che, spesso, in guerra la mia vita è legata alla morte di qualcun altro. Il nemico.
Ma il 12 aprile 1945, in Italia, e in particolare nella nostra provincia, come nel Nord, c’era la guerra. Alleati e patrioti contro i nazifascisti, quelli dei fratelli Cervi, di Villa Cucchi, dei Servi, di Cervarolo, di Bettola, ecc.
In specifico, sull’Appennino i tedeschi, in quell’inizio di aprile ’45, a pochi giorni dalla Liberazione, stavano effettuando un rastrellamento. Gino Rozzi, Oscar, responsabile del carcere partigiano in Val d’Asta, in un rapporto al Comando Unico, di cui faceva parte anche Pasquale Marconi, scritto il 16 aprile 1945, racconta gli avvenimenti di alcuni giorni prima. Il rischio che i nazisti circondassero i partigiani era alto, perciò dai boschi della Cisa, i patrioti si spostarono a Ca’ Vogno, oltre Cervarolo, vicino a Gazzano. Tuttavia venne deciso di muoversi anche da lì, secondo le disposizioni del Comando Unico.
Scrive Rozzi: “Trovandoci nell’impossibilità di continuare oltre la marcia in altre zone ritenute da noi più sicure e avendo tra i prigionieri, che passavano il centinaio parecchi ammalati, abbiamo creduto [fosse] giunto il momento di eseguire gli ordini datici in merito dal Comando Unico e giustiziammo 19 elementi tra i più pericolosi e responsabili che avevamo. Infatti, una nostra squadra di 10 uomini eseguì l’esecuzione in un crepaccio a sud dei paesi di Gazzano e Cervarolo verso Civago.
Arrivando poi una staffetta, appositamente mandata in Val d’Asta nella notte e apprendendo la nuova situazione, abbiamo sospesa l’esecuzione... ”.
Prima di passare all’esecuzione, Rozzi scrive un biglietto al Comando Unico, per chiedere delucidazioni. Sul documento – intestato Corpo Volontari della Libertà (aderenti al CLN), Comando Unico Zona, Brigate Garibaldi e Fiamme Verdi e firmato da Osvaldo Salvarani e Didimo Ferrari – datato 11 aprile 1945, ore 21, si legge:
“Quegli elementi che hanno a loro carico gravi accuse e che hai già potuto assodare che sono responsabili di attività antipatriottica li devi tenere sotto severo controllo. A questi devi incorporare anche i tedeschi. In caso di emergenza e che ti dovessi spostare, li devi giustiziare... ”.
Il racconto di Gino Rozzi dal titolo Il carcere partigiano della Val d’Asta è stato pubblicato in “RS-Ricerche storiche” n. 34 del 1978.
Istoreco si unisce alla condanna del gesto vandalico.
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Pezzi correlati:
- In merito alla Croce di Cervarolo (19 agosto 2008)
Morti di serie A e di serie B
Ci uniamo alla condanna del gesto vandalico, ma… Nell’incipit della nota trasmessa da Istoreco c’è già tutto. Come sempre Istoreco brilla per distinguere tra morti di serie A, ovvero le vittime del nazi-fascismo, e morti di serie B, ovvero le decine di persone trucidate in periodo di guerra E NON dai partigiani. Io dico solo una cosa: profanare una croce E’ UN ATTO VANDALICO, punto e basta, senza se e senza ma. La nota suddetta quindi mi risulta del tutto fuori luogo: si condanni l’episodio e basta, nulla conta per chi fosse stata eretta quella croce.
(Riccardo Bigoi, Ligonchio)
Invece…
Trovo invece sia necessario tanto condannare il gesto vandalico quanto ricostruire il fatto storico, come fa puntualmente Istoreco. A meno che non si ritengano (tendenza che va tragicamente per la maggiore) i fatti e la storia un accessorio superfluo, quasi inutile…
(y.t.)
Accomunare vittime e carnefici
Purtroppo, sig. Bigoi, non solo la tendenza a ritenere la STORIA un accessorio inutile, ma anche e soprattutto accomunare troppo spesso, come ha affermato Cleonice Pignedoli, le VITTIME ai CARNEFICI, è una cosa che fa pensare e che indigna e non le sembra che l’aggettivo trucidate per quanto riguarda le persone uccise dai partigiani in guerra e non non sia il più indicato? Gli atti vandalici, in quanto tali, vanno sempre condannati da chiunque vengano commessi. Grazie per una sua risposta.
(Lorena Campi, consigliere comunale a Castelnovo ne’ Monti)